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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Circolo ARCI Migliarino-6 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
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Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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I Salviati e i Comunisti
2)Le Comunità della Valle del Serchio
di Franco Gabbani e Sandro Petri

6/3/2022 - 14:07

Completiamo l'esame delle vicende giudiziarie tra la famiglia Salviati e i Comunisti, con dispute che si sono protratte per tutto il 1800, riportando, dopo quanto avvenuto con la comunità di Malaventre, la storia dei rapporti con le cinque comunità della Val di Serchio e i relativi diritti di servitù per la Fattoria di Vecchiano.


Come già ricordato, queste narrazioni confermano l'italica propensione a qualunque tipo di scontro.

Non meravigliamoci perciò dei problemi che incorrono nel vivere in un moderno condominio.
Neanche il grande Scipione Salviati ha potuto vedere il termine dei contenziosi in atto. Alla sua morte , nel 1892, gli successe, anche nella gestione delle cause, il figlio Antonino.
E delle vicende seguenti, ci parlerà Franco Gabbani nel prossimo articolo.
In foto, una mappa dell'epoca della Fattoria di Vecchiano.
Sandro Petri

I SALVIATI E I COMUNISTI
(2) LE COMUNITA’ DELLA VALLE DEL SERCHIO

di Franco Gabbani

Nel precedente articolo abbiamo trattato delle servitù1 , di come erano nate, su quali terre insistevano, dei diritti spettanti alle comunità, del padrone che le voleva “temporarie e non perpetue ed intangibili come pretendevano i comunisti”, di come l’esercizio di questo diritto  fosse stato l’elemento cardine nei rapporti fra le Comunità e i proprietari terrieri: Mensa Arcivescovile Pisana prima, Casa Salviati successivamente.

Prenderemo qui in considerazione i diritti di servitù vantati, sulla Fattoria di Vecchiano, dalle cinque Comunità della Valle del Serchio, composta dai popoli di S. Alessandro di Vecchiano, S. Frediano di Vecchiano, Nodica, Avane e Filettole, e, successivamente, alcune delle numerose vicende giudiziarie che hanno accompagnato l’esercizio di queste servitù. Alle origini di queste vicende sta quanto si legge in un documento presente nell’Archivio Salviati presso la Scuola Normale Superiore di Pisa:

“Il Granduca Francesco I° de’ Medici acquistò un territorio paduloso che, attiguo ai monti di Avane e di Legnaio, si estendeva sotto il nome di Padule di Vetriceto e di Padule di  Vecchiano,  fino  al Lago di Massaciuccoli. Quelle paludi appartenevano per dominio diretto alla Mensa Arcivescovile di Pisa, e per dominio utile spettavano alle cinque Comunità della Valdiserchio. Si stipularono, così, due contratti, nel 1576 e nel 1578, rispettivamente con ciascuna delle Comunità e con l’Arcivescovo di Pisa, consegnando a titolo di permuta una quantità di beni prativi situati nel contado Pisano. Dai contraenti fu stabilito che i beni ricevuti in cambio dei padulosi sarebbero divenuti, a tutti gli effetti, feudali, ossia livellari della Mensa Arcivescovile, per goderne gli uomini delle cinque Comunità il dominio utile, con le stesse condizioni già in essere sui beni che si cedevano al Granduca. Inoltre, fu convenuto, che gli uomini delle cinque Comunità avrebbero avuto, nei beni padulosi e montuosi che si cedevano, il diritto di pascolare i bestiami destinati al lavoro delle loro terre insieme alle bestie che il Granduca vi avesse posto a pascere”.2

I Comunisti avevano, inoltre, il diritto di fare:

“nella primavera la Gerba3 fresca in Padule per governare le loro bestie; la canna in Padule sì per riscaldare il forno come pure per far Cannicci da Bachi che è l’articolo che sostiene nell’inverno i poveri di detti Comuni. Fanno ancora il Serago, e Biodo che produce il Padule per uso delle loro Capanne e per fare stoie, e tessere cannicci. Fare nel Padule la legna Tramerice4 per uso del fuoco”.5

Queste servitù erano ampiamente rispettate non solo perché universalmente  riconosciute  per consuetudine ma, soprattutto,  perché supportate da atti pubblici. Anche l’atto del 1784, con cui lo Scrittoio delle Reali Possessioni vendeva al Cardinale Gregorio Salviati, la Fattoria di Vecchiano, riportava espressamente: “restino a carico del Sig. Compratore tutte le servitù passive alle quali son soggetti diversi beni della detta Real Fattoria, a favore delle cinque Comunità di Val di Serchio”.

 

Va detto, inoltre, che finché i beni furono nella proprietà del Sovrano, il diritto al godimento delle servitù fu assicurato: le liti nacquero dopo il passaggio di questi beni al nuovo proprietario. Con il contratto del 1784, le Comunità avevano avuto certezza dell’esistenza e perpetuità dei loro diritti; i Salviati si assumevano l’obbligo di rispettarli in cambio di una ragguardevole riduzione del prezzo di acquisto della fattoria: infatti, dopo aver determinato il prezzo della  Fattoria  di  Vecchiano, dal valore furono detratti Scudi 17.238 in ragione delle servitù passive. Queste servitù che erano state godute pacificamente sotto il Principe Regnante, andarono soggette a vari tipi di arbitrio che compromisero il diritto al loro libero esercizio.6

All’inizio dell’Ottocento, quando della Fattoria di Vecchiano era usufruttuaria Laura Salviati Duchessa D’Atri, sorella del Cardinale Gregorio, furono ridotti a coltura terreni nudi e padulosi, e fidate7 pecore e capre dei pastori nei suoli prativi e montuosi.

Proprio a questo proposito, il 22 Aprile del 1800, Carlo Turbati, in qualità di procuratore di molti possidenti delle cinque Comunità, comparve davanti al Tribunale dei Bagni di S. Giuliano  e domandò che fosse inibito, alla Duchessa Salviati e ai suoi Agenti, di fidare bestiame caprino e pecorino, di ridurre a coltura le terre prative, montuose e paludose, di affossare il padule, impedendo, con le fide e con i lavori, il libero esercizio delle servitù di pascolo che competevano ai Comunisti.

Il Turbati domandò che la Duchessa D’Atri e i suoi Agenti fossero condannati al ripristino del Padule, nei luoghi dove era stato affossato, perché tali opere avevano troncato la via che percorreva il bestiame dei Comunisti per andare al pascolo. Seguì una perizia dove gli agrimensori Giovanni Caluri e Domenico  Riccetti, nel  Febbraio del 1802, riferirono che l’estensione del Padule era sufficiente per il pascolo del bestiame dei Comunisti e per quello preso a fida.

I dissidi ripresero nel 1806 per parte di Cesare Pardella in nome e nell’interesse dei Comunisti. Il Magistrato Supremo di Firenze con sentenza del 29 Aprile 1808 rigettò le “dimande de’ Comunisti” (…) ammettendo  nella  Famiglia Borghese (alla morte di Laura Salviati Duchessa D’Atri era subentrata Anna Salviati Principessa Borghese) non solo il diritto di fidare il bestiame pecorino e caprino ma di operare nei paduli di Vecchiano quanto crede utile per la loro bonificazione ed anche per la loro intera disseccazione.

 

I Comunisti si appellarono davanti alla Corte Imperale, sedente allora in Firenze, che, il 25 Aprile 1809 confermò in tutte le sue parti la Sentenza del Magistrato Supremo.8

Continuano, negli anni successivi le istanze promosse dalle due parti: nel maggio del 1825,  su istanza di Giovanni Baraglia e Filippo Tabucchi in rappresentanza delle cinque Comunità della valle del Serchio, si inibisce il Principe Aldobrandini e i suoi Agenti di scavare fosse nel padule, di vangare e seminare nelle terre paludose, di rendere coltivabili le terre montuose, di fare opere che possano compromettere i diritti delle servitù.

Nel Settembre 1828, un’ulteriore sentenza del Tribunale dei Bagni di S. Giuliano confermò  l’inibitoria del maggio 1825: “accolse le dimande dei comunisti, e del Gonfaloniere di Vecchiano relativamente alla inibitoria del dissodamento dei terreni, e del prosciugamento delle terre palustri, dicendo che il Principe non poteva alterare lo stato dei beni a pregiudizio dei diritti di servitù competenti ai Comunisti”.

 

Anche fra le Cinque Comunità e la Casa Salviati, quindi, le liti, le cause e i tentativi di accomodamento, in relazione ai diritti di servitù, furono numerosi, durarono anni e, il più delle volte, senza approdare ad alcun risultato definitivo.

Nelle fasi che interessarono la ricerca di una soluzione che fosse condivisa dalle due parti in causa occupò una posizione di primo piano l’allora Gonfaloniere di Vecchiano, Adriano Prato.10 

Diverse lettere dell’Archivio Salviati dimostrano questa sua azione di intermediario, alla ricerca di un punto comune sul quale far convergere le opposte richieste delle parti.

Lo scoglio sarà sempre la richiesta di abolizione della perpetuità delle servitù da parte dei Salviati, mentre, per parte dei Comunisti, si sostenne sempre che nessun piano di transazione avrebbe potuto avere avvio se questa fosse stata la base di partenza.

In questa prospettiva il Gonfaloniere affermava che il progetto di accomodamento doveva “cadere nelle modificazioni da concordarsi, circa l’esercizio, ed alla estensione delle questionate servitù. Questa base che non da tutto alla Comunità, né toglie tutto al Sig. Principe concilia secondo la mia tenuità mirabilmente gli interessi di ambedue le parti. Se si toglie la perpetuità sparisce ogni idea di servitù che la Comunità di Vecchiano si sente, invece, chiamata a difendere”.11

Per risolvere l’eterno conflitto fra la Casa Borghese e i Comunisti fu richiesta anche la mediazione del Provveditore della Camera di Sopraintendenza Comunitativa, il quale  inviò alla Comunità di Vecchiano un Progetto di Transazione presentato dal Principe Don Francesco Borghese il 29 Agosto 1831, affinché lo sottoponesse ad esame.

Le osservazioni fatte, nel Settembre 1831, da Massimiliano Prato,12 Procuratore della Comunità, furono negative e il Progetto fu respinto.

Questa situazione durerà ancora a lungo. Nel Gennaio del 1857, l’avvocato Lamporecchi, in una sua memoria relativa alla “Pretesa perpetuità di servitù”, presentata su mandato dei Salviati alla Corte Suprema di Cassazione di Firenze, dichiarava:

A molti ricchi si rimprovera l’abuso delle ricchezze.

Moralisti, economisti, e gente idiota sono d’accordo su questo punto. Perché si dice comunemente, quell’asiatico lusso e quelle spese improduttive?

Perché non impiegate gli avanzi delle vostre rendite con più decoro vostro e a comune utilità.

Perché non migliorate i vostri possessi e fate lavorare la povera gente? Alla illustre famiglia dei Principi Borghese (lo credereste?) si fa un rimprovero opposto.

Da gran tempo vorrebbero essi bonificare e ridurre a cultura la parte incolta e malsana di un latifondo di lor proprietà.

Opera cospicua e vantaggiosa ad essi e all’universale.

E da gran tempo certi Tabucchi e Baraglia, e la Comune di Vecchiano cotesta opera disturbarono ed impedirono col pretesto di alcune servitù che dicon perpetue, ed alla perpetuità delle quali sono contrarie le regole di ragione e i documenti. (…)

Sarebbe forse possibile che questa causa nella quale si spende esagerandola, lo interesse dei comunisti tutti, fosse invece alimentata per interesse di pochissimi e per avventura dei meno bisognosi? (…) Perché dunque da gran tempo il Tabucchi, il Baraglia e principalmente la Comunità di Vecchiano si oppongono alla vasta e generosa idea?

Cessi una volta con decreto vostro l’ostacolo incivile.13

Più di vent’anni dopo, nel 1879, nella memoria di difesa presentata da Francesco Carrara, avvocato delle Cinque Comunità contro Scipione Salviati, nella causa pendente presso la Corte di Cassazione di Firenze, il nodo centrale sarà ancora il riconoscimento da parte dei Tribunali dei diritti dei Comunisti come servitù prediali (perpetue perché legate alla terra) e non personali (temporanee).

Gli scontri, quindi, anche nella seconda metà dell’800, fra la Casa Salviati e i Comunisti furono numerosissimi e, come al solito, dettero l’avvio a cause che si trascinarono per anni, sempre con un solo scopo. Dalla parte dei Duchi Salviati quello di togliere a poco a poco ogni diritto dei Vecchianesi sul padule.

Dalla parte dei Comunisti, quello di difendersi per non perdere  tutti i vantaggi che derivavano dalle servitù sul padule.

A riprova di ciò vorrei riportare una sintesi della causa “I Comunisti di Vecchiano e il Comune di detto Paese  contro il Sig. Duca Salviati” che interessò gli ultimi anni dell’800.

Da tempi lontanissimi, era un diritto riservato ai comunisti quello di usare il pascolo per mantenere le loro bestie e in particolare tagliare l’erba e la gerba sui cigli delle fosse per alimentarle dal 21 Marzo al 21 Giugno, periodo durante il quale non potevano essere mandate in padule (il pascolo era consentito solo dopo il 21 Giugno).

I Comunisti tagliavano la gerba insieme ad altre erbe e, ogni volta che questo taglio avveniva il Duca, Scipione Salviati, ne accusava alcuni di furto e li faceva condannare come ladri.

Nel 1890 furono condannati, dalla Pretura dei Bagni di San Giuliano, i Comunisti Baraglia Francesco, Vigilante Vitale, Bargi Cesare, Mela Luigi, che, nell’anno 1891, interposero appello al Tribunale penale di Pisa e chiesero  e ottennero l’intervento del Comune nella causa.

Il Comune di Vecchiano rivolse domanda al Tribunale Penale di Pisa affinché dichiarasse spettante ai Comunisti “il diritto di fare e tagliare gerba fresca ed erba di qualunque specie nel padule di Vecchiano e Tenuta di Migliarino, dal 21 Marzo al 21 Giugno di ogni anno, e nei luoghi non disseccati e non ridotti a cultura, essendo questa una delle facoltà riservate dagli antichi contratti, e compresa negli antichi usi”.

 

Il Duca presentò documenti tendenti a provare che il diritto riservato ai Comunisti si riferiva al taglio della sola gerba fresca, mentre tagliare altre erbe era un abuso.

La questione stava quindi nel chiarire se nello Jus Pascendi oltre al taglio della gerba, era contenuto pure il taglio delle altre erbe.

Nel corso dell’appello gli avvocati Buonamici e Severini, difensori dei Comunisti,  dimostrarono:

1° che quando il popolo delle cinque Comunità della valle del Serchio stipulò con il Granduca  Francesco I° de’ Medici i contratti del 1576 e 1578 si riservò il diritto di pascolo.  

Per cui i diritti dei Comunisti sono da ricercarsi non con le strette regole delle servitù, ma col concetto della piena utilità che i riservatari padroni intesero mantenersi.

2° che lo jus pascendi e lignandi era, quindi, una parte del loro dominio e un loro diritto contrattuale.

Questo diritto dello jus pascendi venne poi riconosciuto, per certe stagioni, anche sotto la forma del taglio.

3° che in passato la gerba, benché sempre mescolata a tante altre specie di erba, prevaleva su tutte le altre, e, a ragione della prevalenza, si diceva tagliare la gerba fresca. Il diritto di tagliare l’erba di qualunque specie, mancando oggi la gerba fresca, non era dunque che una forma dell’antico diritto generale del pascolo spettante ai Comunisti.

I Comunisti vollero il pascolo, quindi il pascolo di ogni erba che nascesse in padule, e si mostrasse adatta al pascolo.14

Avversario dei Comunisti, negli ultimi anni durante i quali la causa aveva seguito il suo iter, non era più il Duca Scipione Salviati ma il figlio Antonino. Don Scipione Borghese Duca Salviati era morto a Roma il 15 Giugno 1892. Con lui scompare il “Padrone”, sempre consapevole che l’attività del contadino dipendeva in massima parte dal proprietario e che se il padrone voleva aumentare i frutti dei suoi poderi    doveva “avvicinarsi” il contadino, soccorrendolo, istruendolo, premiandolo.

Con la sua morte le cose cominciano a cambiare e “Il Feudo Salviati” inizia a sfaldarsi: ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Per il momento, visto che abbiamo parlato delle cinque comunità della valle del Serchio, proprio al Serchio sarà il caso di riservare le parole conclusive.

Il Serchio ha sempre avuto una parte molto importante nella storia del nostro territorio.

Dal Serchio le Comunità traevano e traggono benefici: si pensi all’irrigazione alla pesca, o all’estrazione di ghiaia e sabbia.

Le sue acque permisero di rendere fertili, attraverso le colmate, i terreni della nostra zona, fin lì caratterizzata da una situazione ambientale degradata per la presenza di estese paludi.

Ma il Serchio fu anche portatore di danni e dolore in conseguenza delle sue numerose esondazioni.



Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre                               

 

(Giuseppe Ungaretti, I fiumi)





1 Per “Servitù” intendiamo qui genericamente un obbligo che grava su un terreno a favore di qualcuno che non ne è il possessore.

2 S. N. S. – A. S., I Serie Miscellanea, Filza n. 212, Doc. n. 7.

3 Gerba: erba palustre.

4 Legna Tramerice: la tamerice è un arbusto, legna da ardere quando è ben stagionata.

5 S. N. S.  – A. S., I Serie Miscellanea, Filza N. 122, Fascicolo N. 22.

6  S. N. S. – A. S., I Serie Miscellanea, Filza N. 156, Documento N. 5.

7 Fida: dare a Fida, dare il terreno per il pascolo dietro pagamento.

8  S. N. S. – A. S.,  I Serie Miscellanea, Filza N. 212, Doc. N. 7.

9 M. Quirici-L. Martini: Vecchiano. Nascita di una Mairie, nascita di un comune 1808-2010, Bandecchi e Vivaldi Editori, Pontedera 2011, pag.12.

10 Adriano Prato fu il primo maire della Comune di Vecchiano nata, amministrativamente, nel 1809.

11  S. N. S. – A. S.,  I Serie Miscellanea, Filza N. 141, Doc. N. 1.

12 Massimiliano Prato era stato nominato Procuratore della Comunità come risulta dal Registro N. 7 delle Deliberazioni Magistrali della città di Vecchiano, il 29 Settembre 1825 “con partito di voti due tutti favorevoli, non avendo reso a quest’ultimo partito il Sig. Gonfaloniere di Lui Padre”.

13  S. N. S. – A. S. Documenti ancora da catalogare: “Pretesa perpetuità di servitù,- Interpretazione di Contratti e Sentenze” – 23 Gennaio 1857, Studio Avv. Ranieri Lamporecchi.

14 Si veda: Tribunale Civile di Pisa – “I Comunisti di Vecchiano e il Comune di detto paese contro il Sig. Duca Salviati”. Pisa Tipografia T. Nistri e C. 1896.

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