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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

Ma se Trump invade la Groenlandia, territorio danese .....
Perché, si può anche scegliere i menù ? Allora .....
. . . ndove?
Nsenno' fai come Mario del Franceschi .....
. . qualcuno mi saprebbe dire in quale fascia oraria .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Angela Baldoni
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Fiera di Primavera.
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Vaiano, 4 aprile
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Pisa, 3 aprile
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Pisa, 2 aprile
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Marina di Pisa, 4 aprile
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passano gli anni
cambiano i volti belli
ma i tuoi occhi sono rimasti
quelli di allora
ed è nei tuoi occhi che vedo
l'amore che non è mutato

e .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Le Lavandaie.
Lavare i panni al fiume.

26/3/2022 - 19:14

 

Quando il fiume rallenta, fa una curva e ristagna un po’ lì, a quell’acqua fredda e pulita un tempo alcune donne andavano a lavare i panni.
Quanto tempo fa? Diciamo cento anni, ma forse anche un po’ di meno.
Ricorro ai racconti di mia madre nata a Pisa nel 1904 che ci parlava di quando era piccola e la sua famiglia era molto numerosa e non troppo povera. I panni, i tanti panni di tutta quella gente non venivano lavati in casa ma affidati alle lavandaie, donne che venivano in città dai paesini limitrofi qualche volta a piedi, qualche volta sul barroccio di un conoscente. Venivano una volta alla settimana a prendere nelle case i panni sporchi e a riportare indietro quelli puliti.
Tutto veniva raccolto in una o più tovaglie le cui “cocche” annodate le trasformavano in enormi fagotti da mettere sulla testa o sotto braccio per venir più facilmente trasportati.
“I panni sporchi si lavano in famiglia” recita metaforicamente un vecchio detto ma forse si parla di quelli proprio molto sporchi di un sudicio intimo, personale che il pudore impedisce di mandare in giro. Per il resto i panni sporchi li lavavano quelle donne al fiume.
Allora l’acqua non era ancora piena di scorie industriali, veleni colorati e chimica come invece è ora. D’inverno dopo qualche abbondante pioggia l’acqua poteva essere terrosa ma la terra si sa che come viene se ne va senza troppo macchiare.
Così le donne andavano alle pozze e in ginocchio tra qualche pietra cominciavano a lavare: si bagna, si insapona, si sfrega, si torce. Si battono quelle stoffe. Un lavoro faticoso con le mani che si “strinano” , con le ginocchia che a forza di stare nell’umido fanno male.
 Quella vita era dura come del resto lo era quella di tante altre donne.
Ma uno degli aspetti felici di quel pesante mestiere era la socializzazione perché il lavoro era individuale ma non solitario. Nonostante la fatica, o proprio per esorcizzarla, quelle donne trovavano piacere a parlare tra di loro, a scambiarsi notizie e a fare anche qualche inevitabile pettegolezzo. Qualche volta, specie col bel tempo, prendevano anche a cantare.
Il sapone allora era un bene prezioso da usare con parsimonia e maestria, e se il pezzo del sapone scivolava di mano lo si rincorreva fino dentro al fiume.
Al fiume le lavandaie andavano o a lavare o a risciacquare il bucato fatto nelle case. L’acqua bollente buttata sulla cenere del camino messa in un colino fitto fitto diventava il “ranno” un ottimo detersivo per i panni più robusti.
E ora nella conca panni, acqua bollente, ranno e un bastone a girare tutta quella roba. Ma nelle case non c’era tanta acqua per risciacquare quei panni che venivano portati al fiume, all’acqua corrente finché a forza di sbatterli non ne usciva acqua chiara segno che tutto quel lavoro era da considerarsi finito.
Poi la strada all’indietro, dal fiume a casa. Un cencio veniva arrotolato a formare una specie di caciottina, “il cercine” da mettere sulla parte alta della testa. Sopra in perfetto equilibrio la tinozza con dentro i panni puliti e bagnati. Lì vicino c’era sempre qualcuna pronta ad aiutare a mettere la pesante tinozza sulla testa dell’altra. Intorno a quelle acque un po’ tranquille le donne infatti si aiutavano l’un l’altra. I panni più lunghi come lenzuola o tovaglie venivano strizzate da due donne, una ad un capo una all’altro girando e torcendo fino a che non ne fosse uscita l’ultima goccia d’acqua. Le lenzuola, anzi, i” lenzoli”, a quei tempi erano pesantissimi fatti di cotone, di lino o di canapa molti ancora tessuti con i telai domestici di legno.
Poi è cambiato tutto.
Quelle donne di insudiciare, oggi si direbbe di “inquinare” l’acqua del fiume non se lo ponevano proprio come problema. L’acqua scorreva, se ne andava via verso il mare grande, grande, infinito fino all’America dove erano andati a cercare fortuna molti dai paesi vicini. E il sapone era fatto con ingredienti vegetali e grasso animale, tutte cose che il mare nel tempo aveva imparato ad accogliere e domare.
Ma quelle lenzuola pesanti e ingombranti non si cambiavano dai letti tutte le settimane come si usa fare oggi in molte case. Allora sull’igiene si avevano idee diverse- A noi oggi magari ci sembra che prima fossero più sudici di noi perché si cambiavano meno spesso e si lavavano denti e capelli meno di quanto facciamo ora noi, ma molti di loro si sarebbero rifiutati con senso di schifo di immergersi nel nostro bel Tirreno conciato nel modo in cui è oggi.
Così il fiume portava via quella schiumetta superficiale che un po’ più in là era già sparita.
E i panni puliti e asciugati tornavano in città nelle case da cui erano stati presi, alle volte col profumo di lavanda “lo spigo” messo a mazzetti sparsi tra i vari strati delle stoffe.

 Matilde Baroni
Concorso antichi mestieri editrice Carmignani 2015

Fonte: foto collezione privata u.m.
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2/4/2022 - 15:42

AUTORE:
Lettore Pisano

Veramente interessante.
Un grazie a Matilde Baroni e alla Voce del Serchio per la pubblicazione di questi articoli che rappresentano la nostra storia. E' attraverso questi racconti che rivivono le figure del nostro passato e ci permettono, soprattutto, di farle conoscere alle nuove generazioni.