Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Chiacchiere e diversivi I sovranisti si sono già annoiati dell’Ucraina, ma il Pd e i riformisti per fortuna resistono
Mario Lavia
È passato solo un mese dall’invasione russa ma la stanchezza avvolge il Parlamento. Gli adulti mantengono la calma e comunque c’è Draghi a Palazzo Chigi
Un mese dopo. Un mese di guerra, e gli italiani già danno il segno di essersi stancati. È la parola giusta? Stancati, sì, lo senti alla fermata dell’autobus, al bar ma anche chiacchierando in giro: certo che l’Ucraina ha ragione ma ora basta. La finiscano. La gente muore e morirà, e aumenteranno i prezzi e c’è persino il rischio che «a guera» (siamo a Roma) arrivi pure da noi, ma che scherziamo? Ma poi, esattamente, noi che c’entriamo con Kiev, con Odessa, con – come si chiama? – Mariupol.
Frastornato dalle immagini televisive, il popolo s’è rotto di Zelensky, che, poveraccio, c’ha pure ragione ma non può trascinarci nell’abisso, dice. Un mese, e gli italiani sono poco schierati, diciamo la verità, certamente meno schierati di un mese fa. È più semplice ripetere la solita banalità che i torti non stanno tutti da una parte: martedì sera l’ha detto a La7 pure un prete, il presidente di Pax Christi, e dunque deve essere così, l’ha anche ripetuto uno studioso che modula le sanzioni con i bambini ammazzati, una filosofa, il direttore del Fatto.
Questo nostro Paese disabituato alla guerra da 77 anni, è comprensibilmente insicuro, disorientato, gli italiani non hanno alcuna voglia non diciamo di morire per Kiev ma nemmeno di non riuscire a fare il pieno di benzina, o accorciarsi le ferie quest’estate. Forse ci vorrebbe un discorso in tv del presidente Sergio Mattarella per tranquillizzare, chiarire, spiegare. Gli italiani vanno capiti. È la politica che fa abbastanza impressione.
Un mese fa nessun parlamentare (tranne i soliti quattro-cinque fuori di testa) si sarebbe permesso di dichiararsi neutrale, oggi è rimasto solo il Partito democratico (e Mario Draghi) a parlare chiaro: si sta con Kiev fino alla fine, senza se e senza ma.
La crescente solitudine di Enrico Letta, imprevista, comincia ad avere un tratto nobile, è il pegno che il suo partito è disposto a pagare in nome di qualcosa di più elevato delle tattiche e finanche del consenso, qualcosa di antico nell’anteporre i valori a tutto il resto, è il complicato incedere tra le macerie della politica lasciate da Giuseppe Conte e Matteo Salvini, i grandi bugiardi – il Salvini delle pistole in casa che però inorridisce per le armi agli ucraini. Già, se si votasse oggi avendo per discrimine la posizione sulla guerra in Ucraina, tutti tranne il Pd (e i riformisti di +Europa, Italia viva, Azione, però poco protagonisti in questa storia) farebbero a gara a fare i soi disant pacifisti pur di prendere qualche voterello in più.
La destra (la Lega) non ha ritegno nel voltare gabbana, forse Giorgia Meloni tiene di più ma chissà fino a quando, e dei grillini passa la voglia persino di criticarli: mai voto popolare fu sbagliato come quello del 2018. A sinistra poi si blatera di tutto, dalla resa chiesta dal direttore del Riformista al sostegno a Zelensky ma senza mandargli le armi, lasciando perdere gli orientamenti apertamente comprensivi della scelta guerrafondaia di Putin: come ha scritto bene Gianni Cuperlo sul Domani, è in gioco l’identità della sinistra che, stringi stringi, deve scegliere se «stare nel gorgo» (Marx) e sporcarsi le mani o discettare di un realtà che non esiste più magari con i toni decadenti della gauche caviar.
Con tutti i legittimi maldipancia alla fine anche la sinistra del Pd ha deciso di stare nel gorgo, di schierarsi, a costo di rivedere alcuni aspetti della sua cultura politica. Resiste però il tabù dell’aumento delle spese militari, il grande refrain sulla bocca degli estremisti e dei neutralisti, l’imparaticcio slogan landiniano («buttiamo i soldi in armamenti invece di darli alla sanità»: ma che sciocchezza, come se la difesa del Paese non fosse il presupposto per qualunque politica sociale): ed è qui che si incuneano grillini e leghisti – due partiti di governo! – per sabotare la politica di Mario Draghi e Lorenzo Guerini che peraltro viene da lontano, dal 2014 (vertice Nato di Cardiff).
Si profila un duro scontro parlamentare al Senato la settimana prossima. Ieri il presidente del Consiglio nelle sue comunicazioni alla Camera ha ribadito che «per l’Unione europea è necessario sviluppare capacità militari adeguate per essere un fornitore di sicurezza credibile. Ciò può avvenire soltanto se rafforziamo la nostra industria della difesa e la rendiamo più competitiva e integrata a livello europeo», e dunque si mantiene l’obiettivo per le spese militari di arrivare gradualmente al 2 per cento del Pil.
Su questo però si rischia, se Conte e Salvini continueranno a fare i voltagabbana. Diciamola tutta: la maggioranza del Parlamento sta già voltando la testa dall’altra parte. Ed è passato un mese, solamente un mese