Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Nei mesi più freddi dell'anno le sempre cacciate anguille avevano, in questa pesca, prese di mira le neonate: "le cee".
Queste piccolissime trasparenti anguilline venivano dal Mar dei Sargassi, di fronte alle coste del Messico. Erano partite più di tre anni prima, salvatesi miracolosamente dalla caccia dei grandi pesci incontrati in diecimila chilometri di mare; arrivavano alle foci dei nostri calmi fiumi italiani per crescere indisturbate e finivano invece nella rete di qualche bischero di pescatore nottambulo e, da lì, nella padella con aglio e salvia da far leccare le dita. Molte persone non sopportano neanche la vista di queste anguilline cotte perché, a dire il vero, hanno l'aspetto di vermetti bianchi e schifosi, ma basta assaggiarle una volta. Gli stimatori delle cee spendono cifre assurde per averle, ma io non mi ricordo fossero commerciabili quando ero ragazzo.
Questa pesca durava così poco e le prede erano così prelibate, che ogni posto difendeva gelosamente i propri ingressi. I livornesi presidiavano addirittura le acque dello Scolmatore, i viareggini avevano numerato e tirati a sorte tutti i metri delle banchine della darsena e del Burlamacca, ma a noi non importava nulla, perché mezzi di trasporto per andare fuori da Migliarino non ne avevamo.
In dicembre, prima del grande passo, si costruivano i porti, i posti dove andare di notte a tentare la sorte, buttando terra e canne, fango e rami, per avere un luogo asciutto dove poggiare i piedi e un ostacolo alla corrente per appoggiarvi la ripaiola.
Le cee di giorno difficilmente si muovono, mentre la notte risalgono la corrente vicinissime alla riva perché più sicure, tutte insieme, fino a formare un cordone scivoloso e schiumoso, arrotolate per penetrare meglio la forza ostacolante dell'acqua, tanto numerose che chi incapava nel momento di quel passo riempiva in due o tre retate la cassetta.
Per sapere se era il tempo giusto o si andava di persona sul Serchio di notte, oppure si faceva il giro dei negozi di ferramenta dove vendevano la rete, chiamata appunto "rete da cee", per vedere se c'era stata richiesta, perché le voci si spargevano rapidamente.
Era una pesca esclusivamente notturna e fatta con pochi attrezzi specializzati: rete, lampada a petrolio e una cassetta, non serviva altro, oltre beneinteso una buona resistenza al freddo e alla fatica e tanta fortuna.
C'erano i pro luna nuova e quelli luna piena, quelli che preferivano lo scirocco e altri il libeccio, chi la bassa e chi l'alta marea, la luna calante o la crescente, ma bisognava andare a verificare.
Succedeva spesso che le cee passassero da mezzanotte in poi e allora solo pochi accaniti le potevano prendere.
La rete era quella da zanzare, fissata intorno ad un cerchio di legno di castagno di circa un metro e mezzo di diametro, con fissato un manico più o meno lungo, a seconda della profondità dell'acqua del luogo di pesca. Si immergeva poi con la bocca rivolta alla foce e dalla parte a mare del porto, perché altrimenti la corrente te l'avrebbe levata di mano. Dopo qualche minuto di immobilità, si faceva scorrere la rete (a Viareggio la chiamano cerchiaia) in avanti, lentamente, cercando di andare incontro alle cee e poi si tirava su sperando.
Se eravamo all'imbrunire, rivolti dalla parte del mare, si vedeva subito il risultato, altrimenti bisognava accendere il lume a petrolio, sistemarlo ben sicuro a terra e mettervi controluce la ripaiola. La piccolezza delle maglie della rete faceva si che centinaia di gocce d'acqua scivolassero lungo la curvatura; molte volte eravamo convinti di aver preso qualcosa, ma poi si imparava che quelle striscine chiare e lucenti che andavano giù in verticale non erano cee, le cee scivolavano ondeggiando.
Se ne passavano parecchie, allora facevamo cadere nella cassetta quelle che scendevano più velocemente, ricalando in acqua le ritardatarie, perché la seconda passata avrebbe ricompensato la perdita di quella decina, ma se invece il passo era scarso allora aspettavamo anche più minuti, fintantoché l'ultima fosse scesa dalla rete a far compagnia alle altre.
La cassetta di legno doveva avere uno scarico per l'acqua che colava abbondante e così si praticava una finestrina in un angolo in basso, chiusa da un pezzetto della stessa rete usata per la ripaiola.
Le cee ammassate emettono moltissima schiuma bianca che non le fa respirare e muoiono più facilmente e velocemente nella loro bava che se rimassero all'asciutto. Se non si verificava ogni tanto lo scarico della cassetta che non fosse ostruito dalla molta schiuma o da qualche foglia caduta o pescata, quando si faceva ritorno a casa si aveva l'amara sorpresa di trovare un ammasso bianco di roba dura e schifosa che non era certamente appetibile.
Solo il giorno dopo in paese si sapeva se e dove erano passate più numerose, ma non ci si accaniva se era andata male a te e meglio ad un altro , un pizzicotto per fare due frittelle si prendeva sempre e semmai te le avrebbe regalate qualche amico.
Quando terminava il gran freddo, terminava anche la pesca delle cee.
Da marzo in poi non si potevano più pescare perché proibite dalla legge e poi non ci sarebbe voluta l'autorità a farti smettere, ma ci pensava la natura a dirti basta.
Le anguilline erano arrivate lì dopo un ciclo vitale che le aveva mantenute in uno stato larvale per un tempo che un altro pesce avrebbe impiegato per divenire adulto e procreare, forse perché quella trasparenza era la loro sola salvezza per un viaggio così lungo.
Ora però erano arrivate, bisognava riprendere il tempo perso e, ogni giorno che passava, la loro struttura mutava. Prima si cominciava a distinguere il rosso delle viscere, poi il giorno dopo la lischina si induriva e diveniva scura tanto che avevano un aspetto ridicolo con la carne ancora diafana e gli organi interni già formati e visibili, sembrava di guardare le lastre delle anguille. Poi, per quest'ultima muta ci volevano ancora due o tre settimane, anche la pelle si assodava e scuriva tanto che a questo punto le cee perdevano il loro simpatico nome per diventare "cannaiole", ma non perdendo neanche con questo nuovo appellativo la loro disponibilità ad essere pescate per un nuovo uso.
Ora venivano usate per fare da esca a ragni in mare e lasconi sotto i ponti e se ne avanzava qualcuna, era buona fritta, lische e tutto.
Una sera che si tornava da Bocca di Serchio, prima del solito perché il tempo metteva brutto e non valeva la pena di bagnarsi per un etto di cee, ci si interrogava sulla serata e se qualcuno avesse visto qualcosa.
Pipone serio serio rispose:
"Poe, … ma belle !"
6 giugno 1744
Qualsivoglia persona di qualsivoglia sorte o condizione si sia che in avvenire non ardisca in alcun modo pescare, o far pescare nella fossa Burlamacca, che va in mare, né dal mare di là dal ponte, né di giorno, né di notte anguille cieche, né ad altre pesche, né pescarvi in qualsivoglia maniera né tirare con archibugio a pesci in detta fossa, ciò sotto pena di scudi tre.
23 novembre 1765
E’ lecito di poter liberamente pescare nella fossa Burlamacca le anguille dette ciecoline con gli stacci e non altrimenti, con condizione però, che ciascheduna persona, sì uomo, che donna, che pescare vi vorrà deve avere in stampa la licenza del provenutale della Burlamacca, previo il pagamento per quella di una lira di bolognini dieci allo stesso provenutale
Editti (e ripensamenti) lucchesi sulla pesca delle “cee”