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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.

Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.

Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente. 

Il fu presidente Biden lascia la carica e fa un bel .....
E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di Pasquale Pasquino
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di Tonino Serra Contu
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di Tonino Serra Contu
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dal Pensiero Prismatico.(post tutto da leggere di Ermes Antonucci).
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di Ylenia Zambito, senatrice
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di - Maestra Antonella
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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Freddo vento pioggia neve gelo ed influenza
si accendono e si spengono come le lucine a intermittenza
di piazze strade vie vicoli e viali cittadini. .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Dai ponti al mare: La Tenuta.

17/5/2022 - 8:40



La nostra stagione balneare cominciava a giugno perché solamente per quel tempo alla "Catena" facevano passare per entrare nella tenuta e raggiungere la spiaggia. C'erano poi le scuole e gli esami che rallentavano, se non addirittura bloccavano, l'affluenza al mare di noi ragazzi, ma la Catena frenava più entusiasmi e biciclette della scuola e di Nello sul ponte.
Il nome derivava appunto da una grossa catena di ferro, tesa fra due cippi di pietra, di fronte ad una piccola garitta che segnava l'ingresso della tenuta Salviati.
Non vi erano altri accessi alla riserva se non quello che era presidiato giorno e notte da una guardia armata. 
La casupola aveva una sola stanza con un piccolo camino, una finestrella con un'inferriata e, accanto alla porta, un'apertura con uno sportello da dove la guardia parlava con chi aveva bisogno di entrare o solamente di informazioni.
Per trasposizione poi tutto il luogo fu chiamato Catena, anche se questa in seguito è stata tolta perché era faticosissimo aprire e chiudere ogni volta che dovevano passare i carri che portavano i prodotti dei campi ai grandi magazzini interni.
Dietro la Catena vi erano infatti immensi stanzoni dove venivano allevati i bachi da seta, nutriti con foglie di gelso e coccolati da donne come fossero bambini all'asilo. I gelsi erano stati piantati in filari interi e capitozzati ogni anno perché i nuovi getti avessero così foglie più grandi e belle appetitose per i pelosi bruchi e, anno dopo anno, le piante prendevano l'aspetto di enormi funghi, con il fusto sempre uguale ed il cappello che aumentava di spessore per i tanti tronconi dei rami tagliati.
Un'altra coltura in voga nella tenuta era la coltivazione del tabacco, in campi vastissimi tipo Sud degli Stati Uniti, ma con, al posto della manovalanza negra, donne locali migliarinesi purosangue, come poteva registrarsi solamente nelle risaie del vercellese. Le grandi foglie del tabacco venivano raccolte in mazzi, messe ad asciugare in luoghi riparati dal sole ma all'aria aperta e poi fatte definitivamente seccare in stanzoni vasti come piazze, dove venivano girate e rigirate più volte.
Ora quelle stanze sono vuote, la Tabaccaia è inattiva come la Pinolaia, con i mastodontici macchinari per sgusciare le pine ed i pinoli. Anche in questo lavoro venivano impiegate donne del paese, mentre gli uomini avevano il compito di staccare i frutti ancora verdi dai pini e portarli sull'aia di fronte al caseggiato perché seccassero piano piano.
La pineta di Migliarino era stata seminata e curata da generazioni di casate Salviati ed ora stava dando i suoi frutti, producendo tonnellate di pinoli che la stazione di Migliarino provvedeva a spedire in tutta Italia e all'estero.
Con l'aumentare di un certo genere di prodotti: bietole da zucchero, spinaci e pinoli, la ferrovia ampliò anche il parco merci e ci fu l'installazione di una pesa per carri, un proliferare di uffici di case di spedizioni, dove trovò lavoro anche Glauco per un po' di tempo e dove era impiegata la sorella di Pippo, la cui famiglia aveva la gestione del bar della stazione dove mio padre mi portava a vedere i primi quiz televisivi a volte, ma portandosi la sedia da casa perché non si trovava sempre posto.
Per entrare d'estate nella tenuta per andare al mare, si passava dalla Catena, si costeggiava l'orto, la "conigliolaia" dove venivano allevati bianchi conigli d'angora, bellissimi, con gli occhi rossi come rubini, poi si girava ai cavalli nel "Diaccio", chiamato così perché c'era sempre freddo, estate e inverno e la notte sempre nebbia, (ho saputo in seguito che il nome derivava invece da “addiaccio” perché vi stavano numerose mandrie di cavalli e mucche a dormire all’aperto, all’addiaccio appunto).
Si curvava poi a destra fino al cancello della villa per finalmente imboccare il viale Isabella (sulle carte, ma per noi viale Francesca, sorella di Isabella) che portava diritto fino alle case di Marina. Il viale sterrato correva per un paio di chilometri attraverso pini e lecci cresciuti a formare un tunnel verde, attraversando pure un tratto di palude, il "Fiumaccio", dove crescevano altissimi cipressi calvi, con le radici metà nell'acqua e metà fuori dal terreno, cresciute per una ventina di centimetri lisce e dure come clave ed atte alla respirazione. Nel fosso che dal Fiumaccio andava alle Turbine c'erano lasche, anguille, tinche e migliaia di gamberetti che riempivano quasi mezzo cerchio di bertibello quando riuscivo a calarne uno o due non visto dalle guardie.
La villa si intravedeva fra gli alberi, bianca nel grande prato verde, maestosamente silenziosa e "ducale", con lievi apparizioni di domestici in giacca a righe, senza mai l'ombra di un padrone sempre indaffarato fra altri possedimenti sudamericani, africani o solo italianamente romani.
La duchessa non aveva certo bisogno di aspettare l'apertura della stagione balneare ufficiale per andare al mare, ed il sole, da buona nobildonna di classe, lo poteva prendere anche nuda, andando da "casa sua", fra i "suoi alberi", fino alla "sua spiaggia".
Alla nostra età era già molto eccitante poter vedere una contadina con le sottane a mezze gambe, figurarsi incontrare una duchessa nuda su una spiaggia deserta che sembrava invitarti a levarti le mutande anche a te (la spiaggia, non la duchessa).
Strisciammo carponi come marines con la bocca asciutta per la tensione ed il desiderio di andare sempre più vicino, fino ad arrivare a cercare di vedere qualche pelo, quando ci imbattemmo nel cestino della merenda della bagnante e all'eccitazione della nobile coscia si unì quello di mangiare un nobile panino.
Nel cestino c'erano, oltre a qualche frutto, due fettine di pane con due foglioline di insalata, non molto invitante a dire il vero, ma era pane blasonato e così ne addentammo un po' ciascuno, meno Graziano che cominciò a brontolare così forte che attirò l'attenzione della donna che si mise ad urlare per chiamare le “sue guardie”.
Queste chiamarono i carabinieri perché o acchiappavano quelli che scappavano a sinistra o correvano dietro a quelli che fuggivano a destra.
I carabinieri a loro volta chiamarono tutti i genitori di ragazzi della nostra età per mettere sull'avviso le famiglie di non permettere ai figli l'ingresso alla tenuta se non quando la spiaggia fosse stata libera dai padroni naturisti.
Noi avevamo fatto un giuramento solenne, brindando a spuma e mangiando seme, una sera al bar del Teatro del popolo, e neanche le minacce di rappresaglie del maresciallo riuscirono a farci parlare.
L'unico che fu riconosciuto fu proprio quello che aveva fatto succedere tutto e quindi solo Graziano, a causa del fatto che andava spesso in fattoria con il calesse di suo padre a fare delle consegne, fu chiamato in caserma e si prese una bella paura e una solenne risciacquata.

 

O non lo dice anche il proverbio?
"San Giovanni 'un vole ‘nganni!" 

 

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