Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Il mio primo Cammino
L’occasione si presentò il giorno in cui, facendo pausa con una collega/amica di lavoro, ci ritrovammo a parlare di Santiago de Compostela. Lei aveva problemi al menisco e, convinta di non essere in grado in futuro di poter camminare senza provare dolore, aveva espresso il desiderio di fare l’esperienza del Cammino. Io lo sognavo da anni, era un pensiero che si affacciava alla mia mente regolarmente, aspettavo solo il momento giusto. Fare il Cammino Francese, quello più conosciuto e più battuto, lo escludemmo quasi subito, ci concentrammo invece sul Cammino Portoghese che parte da Lisbona ed è lungo 630 km, ma non avevamo tanto tempo e, soprattutto lei, non era così allenata per sostenere un percorso così esteso. Normalmente il buon pellegrino inizia dal punto in cui origina il sentiero e percorre i chilometri che può fare, poi torna una seconda o terza volta per riprendere il cammino dove lo aveva interrotto e proseguire fino a Santiago. Ci sono però molte persone che percorrono solo gli ultimi 100 km, quelli che danno diritto alla Compostela, il documento che attesta che si è percorso il cammino timbrando una credenziale che certifica che si è attraversato quei luoghi, che si è dormito lungo il percorso. Fu così che iniziammo a programmare il nostro viaggio, con il passare delle settimane aumentava la nostra emozione e finalmente arrivò il giorno tanto atteso. Ci imbarcammo su un volo per Porto (via Valencia) e da lì in bus fino a Valença do Minho; era già sera per cui prendemmo un taxi e, attraversando il ponte sopra il fiume Minho, ci lasciammo alle spalle il Portogallo ed entrammo in terra spagnola, esattamente a Tui, nella regione di Galizia. La notte in un piccolo albergo prima dell’inizio della nostra avventura fu breve e il mattino successivo, il 4 aprile 2013, ci svegliammo presto, uscimmo e passammo davanti alla cattedrale in un silenzio surreale, la luna era ancora lassù e ci guardava muovere i passi verso le prime frecce gialle che indicano la direzione e la distanza, da lì 114 km per Santiago de Compostela.
Ogni persona che decide di fare una tale esperienza di cammino diventa un pellegrino, nonostante non sia più, come nel lontano passato, un errante in povertà. Ancora oggi c’è chi lo fa per devozione religiosa, ma a questa si è aggiunta una ricerca di spiritualità, un viaggio all’interno di sé, l’opportunità di ritrovarsi da soli e cercare di trovare delle risposte agli accadimenti, a ciò che ci colpisce e ci fa male. Io stavo soffocando sotto una montagna di rabbia, il mio cuore era appesantito dal rimuginare costante di episodi legati al passato che non volevano lasciarmi libera, il fardello mi piegava sempre più e stavo per esplodere. Un tempo vissuto con amore, trasformato per inerzia e finito per mancanza di coraggio, aveva bisogno di una scossa per riemergere in un presente più sereno e libero da catene mentali. “Questo sarà il mio Cammino” mi dicevo. Ero convinta che fin dal primo passo sarei riuscita ad immergermi nella natura, a dimenticare ciò che mi tormentava, invece più cercavo di scacciare quei pensieri, più essi si insinuavano dentro di me e mi facevano soffrire, a che serviva camminare tanto con il peso dello zaino sulle spalle, sentire tutta quella fatica se poi non cambiava nulla?
Andare in Galizia all’inizio di aprile significa avere la certezza che pioverà, è grazie proprio alla densità di precipitazioni che si presenta come una regione verde e ricca di vegetazione. Abbiamo avuto momenti di pioggia alternati a schiarite che facevano risaltare i colori dei campi e delle colline che attraversavamo. Tanta bellezza non riusciva a calmare il mio stato d’animo che si sentiva ancora prigioniero. il terzo giorno come di consueto partimmo presto dopo una prima colazione in ostello, qualche chilometro e ci saremmo fermate per una pausa sedute al tavolino di un bar a consumare la nostra merenda a base di succo d’arancia e brioche. Il sentiero di quel giorno era immerso in un bosco di alberi immensi, il cinguettio degli uccelli dava un ritmo ai miei passi, la mattinata era grigia e fredda, mi sentivo albero e pietra, freddo e umidità, uccello e nuvola. Ero dentro tutti gli elementi della natura e improvvisamente mi resi conto che, mentre spostavo il peso da un piede all’altro, non stavo pensando, non stavo combattendo con i fantasmi. Fu una sensazione nuova, di incredulità e di gioia, ed ebbi la percezione nitida di ciò che significa fare il vuoto. Nel percorrere quei chilometri giornalieri, quasi senza incontrare anima viva, con la mia amica (ormai la relazione “collega” era superata, ci legava un sentimento diverso) immersa nel Suo peregrinare, la mia mente si era svuotata e aveva lasciato spazio al presente, a quello che vedevo e vivevo camminando, al Qui e Ora. I giorni successivi furono più leggeri, arrivavamo in ostello dopo aver guadato ruscelli, attraversato piccoli borghi, incontrato una persona che ci augurava Buen Camino, fino a che non ci trovammo davanti il cartello che indicava il nostro arrivo: Santiago de Compostela. Solo che quel tratto era in salita, pioveva da ore ed eravamo a circa 3 km dalla Piazza do Obradoiro, ne avevamo già percorsi 21 ed eravamo stanche. L’arrivo davanti alla Cattedrale fu accompagnato dal suono di una cornamusa, la mia amica scoppiò in un pianto a dirotto, ancora stordita per avercela fatta, io rimasi immobile, fissavo la Cattedrale e non battevo ciglio. Il mattino dopo tornammo per assistere alla Messa del pellegrino, ero delusa dalla mia non-reazione dell’arrivo. Prima della cerimonia vera e propria, una suora dall’aria gioviale e dal sorriso simpatico intonò un canto e lì si aprirono le cateratte, i miei occhi era colmi di lacrime, iniziai a piangere come un fiume in piena, intorno a me gente di ogni età che si toccava il viso con commozione, stavamo tutti piangendo, avevamo tutti portato con noi un pensiero pesante, un lutto, una malattia, un ricordo, lo avevamo lasciato strada facendo e avevamo completato il nostro percorso, se non altro potevamo guardare con fiducia ad un nuovo inizio. Dopodiché andammo al Parco de Alameda dove, sotto il chiosco della musica (perché pioveva), bruciai quel pacchetto di pensieri che avevo scritto negli anni e che mi impedivano di staccarmi dal mio passato.
Un Cammino era terminato ed un altro ancora stava per iniziare.
Daniela Falconetti.