Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Cicale
Delle cicale
ci cale, ci cale, ci cale,
della formica
invece non ci cale mica...
e così cantava ridendo e ballando la bionda Parisi ridicolizzando una favola morale di Esopo.
Anch’io, senza cantare e ballare (eh guà), ma sor-ridendo, mi son cimentato in un sonetto sui due animaletti:
Novella co’ ll’…amorale
Una pillaccherona di ciala
meleggia per er verso la formïa
che dice: “Falla, falla, la maiala,
m’ar ceppo te ‘un ciarivi bella mia”!
Gel’e vvento arivin e fan tumìa.
Brezza la formiina ‘n della sala,
sente bussà, v’aprì, è lla su’ amïa:
sciarpa, collié e ori fin sull’ala.
“Eh guà a ‘nzaccà le seme ‘or porverone!
Un cervolante preso pe’ llenone
e vaggo ‘ndov’è cardo sur groppone!”
Siamo seri ora, tiriamo in ballo greci e latini, miti e poesia e guardiamo da vicino la “nostra cicala”.
In Grecia Omero scrisse questa olimpica storia:
Così Aurora dal trono d’oro rapì a sua volta Titono, simile agli immortali della vostra stirpe. Andò poi a chiedere al Cronide adunatore di nembi che fosse immortale e vivesse per sempre: e Zeus annuì e le esaudì il desiderio. Sciocca, non venne in mente alla venerabile Aurora di chiedere la giovinezza e di allontanare l’odiosa vecchiaia. Così finché egli godette dell’amabile giovinezza, abitò presso le correnti dell’Oceano ai confini della terra, rallegrandosi insieme ad Aurora mattutina, dal trono d’oro; ma quando dalla bella testa e dal nobile mento si diffusero i primi crini bianchi, la venerabile Aurora lo cacciò dal suo letto, curandolo però nella casa, con cibo e ambrosia e belle vesti. Quando poi lo prese del tutto l’orribile vecchiaia e non poteva più muovere né alzare le membra, le venne nell’animo questo ottimo progetto: lo chiuse nel talamo, e serrò le splendide porte. La voce di lui corre incessante, ma non c’è più la forza che prima era nelle agili membra.
Seguito da Alceo che puntualizzò:
Bagna i polmoni col vino, infatti l’astro compie il suo giro, e la stagione è terribile, e tutte le cose hanno sete per la calura, ed echeggia dalle foglie dolcemente la cicala, e fiorisce il cardo, e ora le donne sono più turpi e gli uomini smunti, perché Sirio inaridisce testa e ginocchia.
Non sono da meno i Nostri cominciando dal Carducci che mi ha fatto tremare leggendo questo suo pensiero:
Prima una, due, tre, quattro, da altrettanti alberi; poi dieci, venti, cento, mille, non si sa di dove, pazze di sole, come le sentì il greco poeta; poi tutto un gran coro che aumenta d’intonazione e d’intensità co’l calore e co’l luglio, e canta, canta, canta, su’ capi, d’attorno, a’ piedi de’ mietitori. Finisce la mietitura, ma non il coro. Nelle fiere solitudini del solleone, pare che tutta la pianura canti, e tutti i monti cantino, e tutti i boschi cantino: pare che essa la terra dalla perenne gioventù del suo seno espanda in un inno immenso il giubilo de’ suoi sempre nuovi amori co’l sole. A me in quel nirvana di splendori e di suoni avviene e piace di annegare la conscienza di uomo, e confondermi alla gioia della mia madre Terra: mi pare che tutte le mie fibre e tutti i miei sensi fremano, esultino, cantino in amoroso tumulto, come altrettante cicale. Non è vero che io sia serbato ai freddi silenzi del sepolcro! io vivrò e canterò, atomo e parte della mia madre immortale.
E qui chiudo con due Grandi: Quasimodo e Garcia Lorca,
Cicale, sorelle, nel sole
con voi mi nascondo
nel folto dei pioppi
e aspetto le stelle.
Ma tu, cicala incantata,
prodigando suono muori
e resti trasfigurata
in suono e luce celeste.
Ho detto chiudo ma non senza aver prima detto del perché oggi parlo di cicale, anche entrando un bel po’ nella sfera privata (non quella narrata dal greco Alceo).
Sono anni e anni che non sentivo il frinire delle cicale, facendo ridere prima la moglie e poi anche i nipoti finché non mi son deciso di “munirmi” di piccolicari auricolari.
Un’orchestra in giardino, il leccio friniva e gli facevan coro un acero e un olivo di Boemia; mi sono accorto poi che le cicale si esibivano se io rimanevo immobile e allora guidavo il canto con il movimento delle braccia, una goduria. Oggi fa caldo come ieri, ma le cicale tacciono. Perché? Sono triste, solo al portatile, con un’arietta che rinvigorisce ma… troppo silenzio. Perché? I parcheggi di Marina di Vecchiano sono esauriti e quindi il giardino è doppiamente invitante, ma son solo e mi manca la “banda cicala che non ci cala”.
Porca miseria…è come la mascherina che la portavo anche in bagno da tanto che c’ero abituato a sentirla parte di me…stamani non mi son messo gli auricolari!