Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
IL DANNO
Secondo i sondaggi il 62% degli italiani non è contento della caduta del governo Draghi, mentre solo il 28% lo è. La colpa della caduta viene attribuita innanzitutto a Conte, seguito a ruota da Salvini e Berlusconi, poi Meloni.
Il 65% dichiara che nel voto terrà conto di quanto è avvenuto, mentre non ne terrà conto il 22% e il restante 12% non sa.
Dunque la stragrande maggioranza degli intervistati considera la caduta del governo Draghi un danno e ne attribuisce la colpa alla banda dei quattro.
Se al momento del voto gli italiani fossero coerenti, pensando che l’interesse generale del Paese è l’unica, vera condizione di quello proprio, Meloni, Conte, Salvini e Berlusconi dovrebbero prendere insieme il 30% dei voti.
In un Paese che avesse voglia di risolvere i suoi problemi, aggravati dai quattro danneggiatori, succederebbe questo.
Basterebbe capire chi è l’uomo che vorrebbero sostituire e fare un confronto.
Ci provo, per chi abbia la pazienza di voler capire.
L’avere fatto carriera tra Ministero del Tesoro e la nostra Banca di Stato, prima di essere arrivato al vertice della Banca Centrale Europea, per alcuni non solo sarebbe un limite, ma lo connoterebbe come un nemico naturale dei lavoratori e dei ceti popolari in genere.
Si tratta di un pregiudizio di chi non conosce la differenza tra un banchiere di Stato e il capo di una istituzione finanziaria privata. O di chi, pur conoscendo la differenza si ostina a ragionare su vecchi schemi, secondo i quali lo stesso governo di uno Stato democratico non sarebbe altro che “il comitato d’affari della borghesia”, come sosteneva Lenin. Figuriamoci cosa possa essere un ex presidente della BCE.
Le persone vanno valutate per quello che fanno e non c’è alcun dubbio che Draghi abbia sempre difeso gli interessi dell’Italia e dell’Europa, anche contro quelli delle potentissime banche americane che, nel 2012, tentarono di cancellare l’euro e con esso l’indipendenza monetaria, economica e quindi politica dell’UE.
Una guerra che cominciò da solo e con scarsi appoggi anche in Europa, ma che vinse dopo avere faticosamente convinto i governi europei che l’unità dell’Europa, a cominciare dalla difesa della sua moneta, era più forte di qualsiasi pretesa egemonica del dollaro.
Fu per quella guerra vinta che Draghi si guadagnò il prestigio internazionale e la stima degli stessi avversari, battuti contro ogni previsione dei pavidi. Fanno sorridere certi politici che lo definiscono “un tecnico”, come per marcarne l’inferiorità rispetto a loro. Fanno finta di non capire che quel frangente fu superato attraverso una brillantissima operazione politica internazionale che nessun capo di governo europeo di allora avrebbe mai tentato.
Come pure, successivamente, quando Draghi praticamente impose, contro l’opinione della Germania e del duro Schauble, l’istituzione del Quantitative Easing, l’acquisto con risorse comuni dei titoli sovrani dei paesi europei, per bloccare le manovre speculative delle finanziarie multinazionali, tirandosi dietro l’accusa di uso filo italiano della BCE. Quella fu una operazione che potremmo definire la madre del concetto di condivisione del debito comune europeo che sarà la base del Next Generation EU.
E’ questo l’uomo che hanno fatto saltare Conte, Meloni, Salvini e Berlusconi. Per quali meriti questi ignoranti, inconsapevoli e irresponsabili dovrebbero essere votati da chi ha cervello? Sempre innocenti difronte ai danni che hanno provocato?
Gente che non è in grado di tutelare gli interessi del proprio Paese, che garanzie può dare di saper tutelare quelli della società e dei singoli?
Draghi non è tra i responsabili della deregulation bancaria selvaggia che ha precipitato il mondo nel baratro della crisi del 2008. Quella contro la quale Obama dovette intervenire ripristinando alcune misure della vecchia regolamentazione del 1933, istituita per scongiurare che non si ripetesse la crisi del ’29, che era stata abrogata nel combinato disposto tra destra reaganiana ed estremismo centrista clintoniano.
La pandemia, più ancora della guerra, ha decretato la fine di un ciclo economico iniziato negli anni ’80 e che sembrava irreversibile. Ma non tutti hanno capito che quella fine reclamava anche un nuovo inizio.
Gli studi economici più recenti hanno superato i dogmi della politica economica imperante negli ultimi decenni. Oggi si sostiene che deve essere ripensato il rapporto tra debito e Pil, cadono alcuni parametri che si credevano inviolabili. Per esempio il criterio europeo di “convergenza” fissato a Maastricht e viene scardinata la rigidità dell’austerity.
Negli Usa, gli economisti Furman e Summers sostengono che se un Paese ha un alto livello di debito/Pil, per abbatterlo deve fare più debito, a patto che il nuovo debito generi investimenti pubblici con ritorni superiori sul Pil. E’ quello che Draghi chiamò, per la prima volta in Italia nel 2020 il “debito buono”.
Draghi è, dunque, portatore di una politica economica espansiva, vuole chiudere la stagione del “rigore” e inaugurare un nuovo corso. E’ in linea con la sua formazione economica keynesiana, da allievo di Federico Caffè: investimenti pubblici (PNRR) come volano moltiplicatore di quelli privati.
Il suo merito non è stato solo il salvataggio dell’euro, ma il suo approccio alla gestione delle crisi, con la sua teoria del “debito virtuoso utilizzato a fini produttivi”, anticipata in un articolo sul Financial Times dell’Aprile 2020, il “quantitative easing”, la contestazione delle posizioni intransigenti in materia di austerity, la sospensione del Patto di Stabilità europeo, sono la dimostrazione di una lungimiranza politica che, di certo, non ha eguali a destra, che sa esprimere solo un piatto sovranismo, una politica securitaria gretta e sforamenti improduttivi di bilancio.
Draghi rappresenta un netto cambiamento delle politiche monetarie e fiscali dominanti fino alla pandemia e l’indicazione di una strada per rigenerare l’economia, incentrata sulla transizione ecologica e il superamento delle disuguaglianze sociali attraverso il nuovo lavoro generato dagli investimenti pubblici e privati.
Più che definirlo, spregiativamente, come un neoliberista, da chi non conosce i fatti e guarda l’oggi dallo specchietto retrovisore, Draghi rappresenta, nel confronto politico economico internazionale, posizioni che possono essere definite di un liberale neokeynesiano. Per questo è mal sopportato sia dalla destra, sia dall’ala estrema della sinistra.
A settembre si aprirà il confronto in Europa per definire il futuro del Patto di Stabilità. Potete immaginare cosa possa significare per l’Italia la mancanza di Draghi su quel tavolo? Potete immaginare un qualunque leader della destra che sappia destreggiarsi con competenza e prestigio in quella battaglia?