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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Circolo ARCI Migliarino-6 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
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Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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Le "Prigioni" del Cardinale
di Franco Gabbani e Sandro Petri

4/9/2022 - 13:07

Le "Prigioni" del Cardinale
di Franco Gabbani e Sandro Petri

Nella narrazione delle vicende storiche, ci stiamo avvicinando ai grandi cambiamenti collegati con l'instaurarsi del Regno d'Italia. 
Quando abbiamo pensato di presentare ai lettori della VdS una serie di articoli con i quali ripercorrere gli avvenimenti che, durante l'800, interessarono il Granducato di Toscana prima e, successivamente, l'Italia Unita, il nostro proposito era anche quello di far rilevare come quelle vicende avessero generato effetti, più o meno evidenti, sul nostro territorio: ne è attestazione anche l'articolo che segue.
I fatti che vengono trattati relativamente ai territori di Pisa, San Giuliano e Vecchiano, illustrano i contrasti tra il nuovo Governo e il Clero, che, come abbiamo visto, era parte integrante del potere e della gestione sociale.
Il sistema, che per secoli aveva regolato la vita del popolo, si dissolve in pochi anni, perdendo il riferimento della figura del parroco, accentratore degli aspetti materiali e giuridici. 
Interprete dell'opposizione al rinnovamento storico è il cardinale Cosimo Corsi, rappresentato nella foto.

Sandro Petri  


LE “PRIGIONI” DEL CARDINALE.

COSIMO CORSI, ARCIVESCOVO DI PISA, E LO SCONTRO TRA CHIESA E STATO

 Franco Gabbani

La Chiesa, già con i Lorena e durante il dominio napoleonico, aveva visto cominciare a sgretolarsi i propri privilegi, nonché modificarsi il suo potere sia nello ambito spirituale, sia in quello temporale.

Ma è con l’avvicinarsi dell’Unità d’Italia e l’estendersi del Regno Sabaudo che la preoccupazione e la  reazione ecclesiastica si radicalizzano, perché andava scomparendo il tradizionale primato della Chiesa nello Stato.

Il Clero non poteva certamente approvare la caduta dello Stato Pontificio e il nuovo governo si trovò a fare i conti con la sua resistenza passiva. Il 1860 fu un anno veramente difficile e ne è sintomo quanto avvenne in Pisa: il Gonfaloniere di Pisa in base ad una circolare del Ministero dell’Interno, in data 8 Maggio 1860, aveva scritto all’Arcivescovo, Cosimo Corsi, affinché predisponesse quanto necessario per la festa dello Statuto (ossia, dello Statuto Albertino).

Per capire meglio ciò che seguì e quali fossero il carattere e l’atteggiamento verso i Savoia di Cosimo Corsi, converrà riportare un episodio che, vero o ben trovato che sia, dice molto di lui.

L’Arcivescovo passeggiava spesso nella campagna intorno alla Basilica di San Piero a Grado e un giorno incontrò il re Vittorio Emanuele II che, attraversato il “ponte dei moccoli” sull’Arno, passeggiava da quelle parti. Vista l’esile figura del prete, chiese al suo guardacaccia, in piemontese: “che ci fa quel prete da queste parti?”

Il Corsi, dal dialetto e dalla vicinanza della tenuta reale, capì che quella voce non poteva essere che quella del re e, voltatosi verso Vittorio Emanuele, rispose: “Io, Cosimo de’ Marchesi Corsi, Cardinale di Santa Romana Chiesa, qui Arcivescovo di Pisa e Parroco di San Piero a Grado. Principe “di mio”. E non come Voi, che l’avete rubato (il titolo di re d’Italia, s’intende)!”.1

Tornando al Maggio 1860, all’Arcivescovo di Pisa veniva richiesta la celebrazione di una messa solenne nella Primaziale per la Festa dello Statuto. Era nota la posizione di rifiuto del Cardinale Corsi rispetto al nuovo Stato nascente e due fra le più alte autorità di Governo si adoperarono affinché, anche a Pisa, la festa dello Statuto, prevista per la domenica del 13 Maggio 1860, avesse un felice esito.



 Il 10 Maggio 1860, Bettino Ricasoli2 , scrive al Cardinale Corsi:

  Eminenza

           Il Governo è informato che V. E. ha negato il suo consenso per la funzione religiosa nella Metropolitana annunziata dal Gonfaloniere di codesta Città che deve aver luogo a norma della unita Circolare nella prossima domenica 13 stante. Trattandosi di una funzione religiosa ordinata per legge dello Stato nessuno può opporsi alla medesima ed il Governo è nel dovere e nel diritto di intervenire colla sua Autorità per promuovere la osservanza della legge e tutelare insieme il Culto e l’ordine pubblico. Conseguentemente l’E. V. rimane intesa che la funzione avrà luogo alle ore 11 antimeridiane del suindicato giorno, e che vanno a darsi per la medesima le opportune disposizioni.
Accolga i miei sentimenti della più distinta considerazione.3

                                                                                                Ricasoli

Anche il principe Eugenio di Savoia, Luogotenente generale del regno durante le fasi di transizione del Granducato di Toscana verso il Regno d’Italia, scrive al Cardinal Arcivescovo Corsi:

Firenze,12 Maggio 1860                                                                            Eminenza

     Ella era nel vero quando mi manifestava il convincimento che la Maestà del Re, nostro Augusto Sovrano, vuole rispettata la coscienza dei Vescovi, come pure quella di qualunque suo suddito. Debbo però osservare all’Eminenza Vostra che, siccome m’appare dalla lettera indirizzatami l’undici corrente che Ella abbia intenzione di opporsi alla funzione religiosa da celebrarsi domani nella Chiesa Metropolitana della città di Pisa, trattandosi di una Legge dello Stato che ho giurato osservare e far osservare, non posso senza mancare ai più sacri miei doveri di coscienza transigere sulla Celebrazione della festa dello Statuto la quale è sempre stata festeggiata in tutto il Regno. In quanto al timore espressomi di violenze personali che si vorrebbero usare contro l’Eminenza Vostra nella giornata di Domenica, Ella può essere certa che, non mai essendo stato impronto di modi tirannici il Regno dei Principi Sabaudi, né in Lei né in qualunque altra persona verranno mai violati i principi di libertà che sono la base del nostro Governo. Prego l’Eminenza Vostra voler gradire i sensi della più alta mia considerazione.4                                                      

                                                          Eugenio di Savoia


Il porporato  senza tenere in nessun conto quanto gli avevano notificato le autorità del nuovo Stato, si rifiutò di celebrare la funzione per la festa dello Statuto, fece chiudere la sagrestia del Duomo, gli armadi degli arredi e fece trasportare il SS. Sacramento nella vicina chiesetta dei SS. Ranierino e Leonardo.

Il Te Deum voluto dal nuovo Governo fu comunque cantato nella Primaziale dal sacerdote Gigli dei Bagni di S. Giuliano, su espressa richiesta del Gonfaloniere e nella convinzione che lo stesso si fosse precedentemente concertato con il cardinale Corsi.

A seguito di ciò il Gigli venne immediatamente sospeso, per ordine del Vescovo, dalla facoltà di celebrare la Messa in tutta la Diocesi di Pisa. A niente valse la sua lettera al Corsi in cui dichiarava:

allorquando io mi recava alla Primaziale una mezz’ora prima della Funzione, era tale negli animi l’esasperamento, il tremito per aver visto che tutto era stato tolto di Chiesa, persino il SS. Sacramento come se quella venerabile Basilica invece di risuonare per l’eco dei sacri cantici per ringraziare Iddio del beneficio dello Statuto, fosse stata per diventare una sala da ballo, o come se dovesse entrarvi una masnada di Turchi. Se non ci fosse stata la Funzione, già con pubblici manifesti annunziata, che ne sarebbe avvenuto? Io tremo al solo pensarlo. Ebbene per evitare i gravissimi disordini che sarebbero potuti nascere, io, non esito a dirlo, avrei celebrato anche senza il permesso, per risparmiare un doloroso accidente, accompagnato forse anche dallo spargimento del sangue”5 .

Il Governo non intendeva tollerare l’opposizione del clero e non poteva restare impassibile di fronte a chi si fosse reso colpevole di un tal fatto. Al Cardinale Corsi fu pertanto inviato l’ordine, del Presidente dei Ministri Cavour, di portarsi a Torino per conferire col Ministro degli Affari Ecclesiastici.

Di fonte ai ripetuti rifiuti, il Cardinale, la sera del 19 Maggio, fu arrestato, portato a Torino e tenuto agli arresti domiciliari nella Casa dei Missionari. Rimase a Torino fino al 21 Luglio 1860 mantenendo sempre un atteggiamento duro e intransigente, per cui ben presto Cavour si rese conto che non avrebbe potuto ottenere dal Cardinale una ritrattazione del proprio operato e preferì consentirgli il ritorno a Pisa.

L’arresto e la traduzione forzata a Torino del Corsi accrebbero ancora di più la sua fama di “invitto campione della Fede”: da questo momento numerosissime saranno le visite di presuli italiani ed europei che faranno sosta a Pisa per ossequiare colui che era diventato il “santo arcivescovo”6 .

L’atteggiamento di rifiuto del Cardinale continuò come è dimostrato, anche, da un lettera inviata a tutti i parroci della diocesi con l’ordine di “cessare dal pronunziare nella S. Messa l’orazione Domine Salvum fac Regem.7

L’anno successivo, il 17 Marzo 1861, fu proclamato il Regno d’Italia e Vittorio Emanuele II assunse il titolo di Re d’Italia mentre i rapporti fra il nuovo Regno e lo Stato della Chiesa si facevano sempre più difficili.

Lo sconcerto nel Clero era grande, si andava “sgretolando” tutto un sistema che per secoli aveva regolato non solamente la vita dei suoi componenti, ma anche e soprattutto quella del popolo, per il quale i parroci cessavano di essere punto di riferimento per tutto ciò che si riferiva all’aspetto materiale e giuridico della loro esistenza.

Solo il nuovo Stato avrebbe provveduto, d’ora in avanti, a salvaguardare i loro diritti attraverso opportune leggi con il fine unico dell’interesse pubblico, dell’uguaglianza di tutti i cittadini.

La libertà di opinione, libertà di culto, uguaglianza di doveri e di diritti, che per molti significavano progresso, per molti uomini della Chiesa significavano sovvertimento dell’ordine sociale stabilito e un grave rischio per la salvezza dell’anima.

Il Clero si sentì assediato: le uniche istituzioni ecclesiastiche che lo Stato riconobbe furono le Parrocchie e le Diocesi, il cui compito doveva essere soltanto quello di dedicarsi alla cura delle anime, senza intromettersi nelle questioni sociali e politiche.

Nel 1861, dopo gli avvenimenti incresciosi che avevano caratterizzato l’anno precedente la festa dello Statuto, diversi pastori di anime chiesero al S. Padre se fosse lecito al Clero prendere parte alla festa per celebrare nella prima domenica di Giugno l’Unità d’Italia, e lo Statuto esteso alle Provincie occupate dal Governo Sardo.

Ma la Penitenzieria apostolica il 18 Maggio del 1861 rispose che non era lecito parteciparvi.8
                   Anche il parroco di Vecchiano obbedì alla linea dettata dalla Santa Sede e la sua decisione, in ordine alla Festa Nazionale commemorativa dell’Unità d’Italia e dello Statuto del Regno, fu letta dal Gonfaloniere al Consiglio Comunale,  nell’Adunanza del 27 Maggio 1861:
                                                                                                                                                                     Ill.mo Sig. Gonfaloniere

                                             A seconda delle istruzioni, ed ordini che tengo da S. Eminenza Rev.ma il Cardinale Arcivescovo di Pisa mio veneratissimo Superiore non sono in grado di accettare l’invito che VS. Ill.ma mi dirige per ciò che riguarda la Festa Religiosa che si desidererebbe eseguire nella mia Chiesa, nella prima futura Domenica di Giugno commemorativa l’unità d’Italia e dello Statuto, come pure non posso, dietro suddetti ordini, permettere la mentovata festa anche in qualunque altro Oratorio soggetto alla giurisdizione spirituale di questa mia Pieve.

Ed intanto con la più distinta stima, e rispetto passo all’onore di confermarmi di VS. Ill.ma

                                                Dev.mo Obbl.mo Servitore

                                                    Giò Vannozzi Parroco9

La situazione nell’immediato non cambiò, il Clero mantenne un atteggiamento di totale chiusura nei confronti del nuovo Stato: quanto si era verificato veniva chiamato “delitto sabaudo”.

Continuarono i quesiti dei parroci alla Sacra Penitenzieria sul comportamento da tenere nell’esercizio delle loro funzioni.

In uno di questi domandavano se, nell’occasione della Processione del Corpus Domini, il sacerdote poteva dare la benedizione ai soldati incontrati nei luoghi dove passava la processione, o alla “milizia nazionale che veniva invitata a decorare la Processione”.

In precedenza, infatti, il celebrante non si era fermato né aveva impartito la benedizione “nella persuasione di non poterlo fare lecitamente, non solo per essere quei militi al servizio di un governo illegittimo, ma anche perché molti di essi avevano occupato o avevano prestato servizio negli Stati usurpati alla S. Sede”.

La risposta (siamo nel Maggio 1862) fu, ancora una volta negativa.10 Continuarono anche le lettere dei Vescovi della Toscana al Re per denunciare “le violenze che erano fatte alla libertà dell’Ecclesiastico Ministero” e le offese arrecate in mille modi al diritto di proprietà della Chiesa, mentre, si ricordava, dalla parte del Clero si è pregato per la Patria, “per questa Italia misera ed infelice la quale può solo sperare prosperità nelle grandi tradizioni del Cattolicesimo”.11 

Continuarono pure le lettere del Cardinale Corsi ai parroci nelle quali, in ordine alla festa per la celebrazione dello Statuto e l’Unità d’Italia si leggeva: “dichiariamo sospeso ipso facto qualunque Sacerdote sia diocesano che estradiocesano il quale vi prenda parte con sacro rito, o in qualsiasi altra guisa”.12

Sempre per meglio comprendere l’atteggiamento del Cardinale merita ricordare un altro episodio legato ai suoi rapporti col Re. Nel Novembre 1869 il Re si ammalò mentre si trovava a S. Rossore e, aggravatosi, richiese i Sacramenti.

Il Corsi comunicò al cappellano Giuseppe Renai, confessore del Re, le istruzioni su ciò che avrebbe dovuto chiedergli prima di comunicarlo:

1° che si distinguesse in Sua Maestà la Persona Privata dalla Pubblica.

2° che gli si ricordassero i gran doveri che aveva come Persona Pubblica di ritrattare, e riparare per quanto fosse stato in Suo potere, i danni recati alla Chiesa.

3° che contraesse, se non l’aveva già contratto, il Matrimonio in faccia alla Chiesa con la Contessa di Mirafiori (la favorita Rosa Vercellana).

Il matrimonio “in extremis di coscienza” celebrato a S. Rossore rimase a tutti ignoto fino al 1877 quando il re si decise a contrarre morganaticamente anche il matrimonio civile. Quanto alla ritrattazione di pugno del Re, se mai ci sia stata in quel Novembre 1869, i documenti non ne parlano.

Il 2 Ottobre 1870, celebrando la messa in S. Andrea “foris portae” il Cardinale fu colto da malore. Il medico Francesco Torri gli suggerì un periodo di riposo nella villa di Agnano, proprietà del Duca di Modena, dove il Cardinale Corsi, Arcivescovo di Pisa, il 7 Ottobre cessava di vivere all’età di 73 anni.

Alla salma, per le opposizioni delle autorità municipali, fu negata la sepoltura in cattedrale, sotto l’altare della Madonna “di Sotto gli Organi”, come il Corsi aveva richiesto per testamento.

 

Solo nel Giugno 1898 si poté procedere alla traslazione della salma in quella sede, esaudendo così la volontà del Cardinale.13


1 M. Del Corso, Un vescovo nella Storia. Cosimo Corsi, Cardinale di Pisa, Pacini Editore, Pisa 1988, pag. 3.

2 Bettino Ricasoli, dopo il rovesciamento del Governo Granducale del 1859 era stato nominato governatore provvisorio della Toscana.

3 Archivio Storico Diocesano Pisa. - Carteggio per affari diversi anno 1860 e 1861, Filza  N. 14, Fascicolo N. 36.

4 A. S. D. P..- Carteggio per diversi affari anno 1860 e 1861, Filza N.14, Fascicolo N. 47.

5 A. S. D. P. - Carteggio per diversi affari anno 1860 e 1861, Filza N. 21, Fascicolo N. 63.  

6 Si veda M. Del Corso, Un vescovo nella Storia, cit.,  pp. 101- 102.

7 A. S. D. P. - Carteggio per diversi affari anno 1860 e 1861, Filza N. 14, Fascicolo N. 151.

8 A. S. D. P. Carteggio per affari diversi anno 1860-1861: Filza N. 14. Fascicolo N. 157.

9 Archivio Storico Comune di Vecchiano, Registro N. 18 – Adunanza V del 27 Maggio 1861. 

10 A. S. D. P. - Carteggio per affari diversi anno 1862 e 1863 N. 15,  da fascicolo N. 17.

11 A. S. D. P. - Carteggio per affari diversi anno 1862 e 1863 N. 15, fascicolo N. 124.

12 A. S. D. P. - Carteggio per affari diversi anno 1862 e 1863 N. 15, fascicolo N. 24.  Lettera del 26 Maggio 1862.

13 Traggo queste notizie da: Un vescovo nella Storia. Cosimo Corsi, Cardinale di Pisa, di M. Del Corso, Pacini Editore, Pisa 1988, da pag. 112 a pag. 119.

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5/9/2022 - 12:13

AUTORE:
Migliarinese

Ul lavoro certosino per un risultato eccellente. Complimenti!