Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
26 gennaio 1998. Ieri con Jackie siamo andate all’orto botanico di Calcutta, è un giardino immenso e ricco di piante esotiche, ci siamo concesse un pomeriggio di pace e di respiro.
Sono passati tre giorni e sono ancora viva, in possesso di tutte le mie facoltà mentali.
Sebbene il mio cuore sia a pezzi, ho voglia di esserci, c’è tanto lavoro da fare, e i bambini hanno anche bisogno del mio piccolo contributo. Govindo ha capito che se mi guarda con il suo musetto tenero mi sciolgo, lo prendo in braccio e lui si stringe forte a me; ha dodici anni su un corpo di tre e un peso di farfalla, ma capace di tirare fuori una forza incredibile quando non vuol essere messo nel suo lettino o a sedere sulla sua speciale bicicletta. Però lui è fortunato perché è stato adottato, mi dicono da una giornalista italiana.
Ogni volta che apro la porta Sundari è lì che mi aspetta, i nostri sguardi s’incrociano e mi rendo conto che anch’io la cerco, adora le carezze, mi comunica il suo piacere con gorgoglii di neonato, ed io che da pochi mesi ho iniziato a frequentare un corso di Biodanza riesco semplicemente a stare lì a guardarla, ascoltando il suo respiro, offrendogli le mie mani…la mia ignoranza si sta trasformando in accettazione, quasi non vedo più la sua malformazione, la posso anche baciare.
E poi penso “Già, ma non possiamo rallegrare con un po’ di musica le giornate di questi bambini”? Chiedo alla responsabile e il giorno dopo abbiamo un mangianastri a disposizione. Vittoria, oggi si balla!! Ma la stragrande maggioranza di questi esseri preziosi è legata alla sedia, sono pochi quelli che riescono a stare anche solo per poco tempo sulle loro gambe. Allora mi siedo davanti a loro, muovo le braccia, batto il ritmo sulle mie cosce. Alcune hanno il viso sofferente, mi chiedo se non sia colpa del volume troppo alto. Mi giro e vedo Josephine che ride e muove la testa e io penso a Josephine Baker, solo che questa Josephine non ha lunghe gambe affusolate ma solo due povere ossa immobili, però è felice, eccome se lo è, e allora le dico “Vai, Josephine!”
Sundari mi guarda da lontano, lo so, sento i suoi occhi sulla mia pelle, chissà che pensa, chissà se pensa. Sundari è il mio angelo, l’angelo ‘diverso’ che ha aperto la porta del mio cuore, e spingendola con delicatezza mi ha fatto entrare nel suo mondo, quello dei silenzi, degli occhi, del sorriso, del corpo che chiede calore, che vuole amore, dei sospiri di gratitudine. Sundari, immobile sulla sua brandina mi insegna che si può andare oltre, che si può correre verso gli altri pur essendo incapaci di muovere un dito, che basta aprirsi per accorgersi di quanto possiamo donarci l’un l’altro, che la spinta dell’Amore può farci volare lontano, che questo è un giorno importante perché oggi anche loro hanno danzato.
27 gennaio 1998. Ho preso il ritmo: sveglia, Messa, colazione e poi dritta al Shishu Bhavan. Io che non vado mai in chiesa, provo un piacere enorme a iniziare la giornata in questo modo, i canti leniscono il dolore e sono una delicata carezza sul cuore, gli sguardi commossi della gente mi fanno sentire parte di una comunità speciale.
La famiglia di indiani che vive sul marciapiede è composta da padre, madre, una bambina di circa cinque anni e un bambino che ne avrà più o meno due. Io e Jackie mettiamo da parte le uova e le banane che ci danno a colazione e appena usciamo dal giardino le offriamo ai bambini, hanno bisogno di nutrirsi, sono piccoli e sporchi ma molto dignitosi nella loro povertà. Ci aspettano sorridenti, allungano le loro manine e ringraziano. Credo che il padre sia un conducente di risciò.
Dopo i saluti io e Jackie ci separiamo, lei presta servizio a Kalighat, la casa dei moribondi, dice che è meno doloroso lavorare lì che non con i bambini. Ci ha provato appena arrivata a Calcutta, ma proprio non ce l’ha fatta, forse perché anche lei ha un figlio piccolo e come madre non riesce a sopportare l’ingiustizia della malattia. Quando arriva a Kalighat, riesce a respirare un’aria di pace, l’odore della morte non toglie la gioia dal viso dei morenti e da quello dei volontari, mi ha raccontato che spesso le donne le chiedono di tingere loro le unghie, allora lei porta lo smalto e passa un tempo lungo ad accarezzare le loro mani mentre un colore di vita accompagna i loro ultimi istanti in questo mondo.
Io continuo ad andare dai bambini, anche lì c’è un ritmo scandito dal tempo. Le tate indiane prendono i bambini uno ad uno e li lavano con una maestria e una velocità che lascia sbalorditi, poi li consegnano ad altre tate che li vestono scegliendo i capi da una montagna di vestiti offerti all’istituto da gente di passaggio o molto probabilmente da famiglie indiane che li scartano perché diventati troppo piccoli per i loro figli; non c’è un colore abbinato all’altro, non vengono scelti pantaloncini e maglietta coordinati, tutto è alla rinfusa, senza criterio, e questo mi mette addosso un po’ di tristezza, sembra che aggiunga dolore al dolore. Io, che nella mia semplicità sono attenta all’estetica, vorrei poter dedicare del tempo a scegliere le combinazioni giuste, però mi accorgo che lì non c’è tempo da perdere.
All’ora del pranzo mi hanno messo una bambina in grembo per aiutarla a mangiare, è stato un momento devastante perché ho capito che a quasi tutti manca l’istinto della deglutizione, ho avvicinato il cucchiaio alla bocca sollevandole la testa ma nulla, nessuna reazione da parte sua. Al terzo tentativo, invasa da una profonda frustrazione, ho guardato le altre volontarie e in men che non si dica una tata indiana mi ha tolto la bambina dalle braccia, se l’è sdraiata sulle gambe, le ha aperto la bocca e le ha infilato il cucchiaio in gola, forzandola a buttare giù il boccone, mentre la bambina faceva smorfie di ogni tipo. Mi sono dovuta alzare, è stata una scena tremenda, mi è venuto in mente il processo di ingrasso delle oche in Francia per farne poi il famoso paté.
Serata di riflessione.
(continua)