Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
28 gennaio 1998. Parlando con Marco, il volontario romano, sono venuta a conoscenza di una certa Teresa di Padova che lavora in un’altra ala dell’istituto. Teresa è arrivata qualche mese fa mentre era in viaggio organizzato in India, a Calcutta ha deciso di fermarsi con la promessa di raggiungere il gruppo in aeroporto il giorno del rientro in Italia, ma alla fine non si è presentata al check-in perché si è sentita chiamare da questo luogo. Teresa e Marco, insieme ad altri volontari, hanno rimesso a nuovo l’orfanotrofio, imbiancato le pareti delle camerate e sistemato i letti dei bambini; per rinnovare le culle ha messo su una squadra di volontari, per lo più coreani e italiani, e nel cortile interno dell’istituto è nata una sorta di falegnameria, qui si carteggiano le strutture dei lettini, si liberano dai tarli e si tingono di fresco. Ho deciso di continuare a prestare servizio con i disabili al mattino e il pomeriggio mi unisco a questa squadra per un lavoro più fisico e all’aperto.
31 gennaio 1998. Ho fatto la scelta giusta, mi sento meglio, il mio morale sta risalendo. Ho conosciuto due ragazzi veneti, uno dei quali è arrivato qui per la terza adozione, sta aspettando di portare in Italia il suo bambino, sono commossa. Il pomeriggio è un momento di divertimento, Teresa è molto determinata e nonostante non parli una parola d’inglese riesce a farsi capire benissimo da tutti, c’è gioia nell’aria, si ride e si scherza, ci sporchiamo le mani e ci stanchiamo, in queste poche ore riesco a togliermi di dosso il peso della mattina, la sofferenza, l’insoddisfazione data dall’incapacità di non riuscire a fare di più per togliere il dolore dai corpi dei bambini.
Domani andremo insieme in un istituto salesiano per passare la giornata con i bambini di strada, non vedo l’ora.
1 febbraio 1998. È domenica, attraversiamo la città e arriviamo all’Istituto Don Bosco. I bambini arrivano alla spicciolata, sono tutti maschi, chissà perché delle bambine non vi è traccia. I ragazzi veneti devono aver già partecipato ad una simile giornata, perché si destreggiano bene tra i compiti da portare a termine e questi si traducono in: giocare rincorrendo i bambini, entrare in confidenza con loro, convincerli a togliersi i vestiti di dosso e poi insaponarli e sciacquarli, mentre altri volontari lavano i vestiti e li mettono ad asciugare su una siepe.
Alla fine di questa mattinata di allegria, ci siamo spostati davanti all’istituto e seduti in cerchio ci hanno offerto il pranzo servito su piatti di foglie di banano.
È stata una giornata ricca e spensierata, la più leggera fino ad ora.
2 febbraio 1998. Colloquio con Suor Nirmala che si occupa dei volontari, l’intento è quello di capire come sta andando l’esperienza, le parlo dei miei dubbi, delle mie paure, dell’ingiustizia, del fatto che non sono una buona credente. Lei mi osserva e mi dice “Per tutti i dubbi che affollano la tua mente, credi più di quanto tu non riesca a immaginare”. Mi congedo da questo incontro con una profonda calma interiore e tanta gratitudine.
A disposizione dei volontari c’è anche la psicologa, una donna canadese che si occupa di dare supporto e sostegno alle tante persone che si ritrovano ad affrontare l’esperienza del volontariato in un ambiente molto difficile. Pensiamo a volte che fare il volontario sia cosa semplice, come essere una compagnia per un nostro simile, regalare un sorriso, una stretta di mano o semplicemente un istante di silenzio, ma qui a Calcutta (e sicuramente in ogni città dove il degrado è alle stelle e la povertà raggiunge numeri impressionanti) la sofferenza è all’ordine del giorno per ogni volontario, anche il più risoluto. Ho saputo di una ragazza che dopo due giorni è scappata perché non ce la faceva a sopportare la vista di tanti malati, e ho capito cosa voleva dire Marco quando diceva di essere forte per almeno tre giorni, forse è il tempo che occorre per metabolizzare quello che vediamo, che non significa abituarsi perché ciò è impossibile, ma capire, scendere ad un livello di comprensione diverso, avvicinarsi alla realtà del posto, contestualizzare, e porsi al servizio del più debole.
La psicologa ci ha fatto compilare un modulo e ci ha proposto di fare visita ad un istituto di malati mentali. Le ho spiegato i miei timori, le ho detto che due settimane fa sono scappata da un altro istituto quando ero con il gruppo partito da Pisa, mi ero sentita soffocare dalla paura, che poi non è proprio quello, non so spiegare, è un misto di rabbia, di angoscia, di impotenza. Lei mi ha detto di non preoccuparmi e io mi voglio fidare.
3 febbraio 1998. L’ho fatto, sono andata in visita ai malati mentali e ho superato quell’invalicabile scoglio che m’impediva di stare serena; anche se con difficoltà, ho resistito, questa volta non sono fuggita in pianto. Ma come l’animale fiuta la preda impaurita, così oggi una donna ricoverata mi ha fatto un bello scherzo. Passavo da una stanza all’altra insieme ad altre volontarie, stanze che si affacciano su un corridoio lungo e stretto, non ero completamente a mio agio ma con la psicologa a pochi passi da me sentivo che potevo continuare a camminare. Ad un certo punto questa donna esce dalla sua stanza con un balzo fragoroso e, con la bocca aperta e un sorriso gigantesco, approda proprio davanti a me. Ho fatto un salto all’indietro e il cuore ha mancato un battito, ma tutto si è risolto con una pacca sulla spalla e un rivolo di sudore giù per la maglietta.
Oggi sono diventata un po’ più grande.
4 febbraio 1998. Giovedì giorno libero e sabato partenza. Ho chiesto a Teresa se è preferibile lasciare i soldi in contanti o se è meglio contribuire all’acquisto di qualcosa che possa fare comodo. Ci ha pensato un po’ su e poi mi ha suggerito di comprare alcune culle. Che bella idea! Mi sono fatta indicare un posto dove poter andare e mi ha indirizzata verso un grande mercato dove vendono di tutto. I mercati indiani sono un’esperienza unica, sia per i colori sia per le persone che vi si incontrano.
In fondo Calcutta è una bellissima città che risente molto del suo passato sotto la dominazione inglese, ci sono grandi viali alberati, tanti ristoranti e negozi, un via vai di gente e di rumori di ogni tipo, è una giungla dove ricchi e poveri convivono con non poche difficoltà, palazzi e ville lussuose che fanno a pugni con i teli di plastica e stoffa sdrucita sui marciapiedi antistanti, al cui interno vivono intere famiglie che dormono su letti di asfalto e si lavano con l’acqua che esce dalle colonne che emergono dal suolo, si direbbero idranti a cui i pompieri collegano le manichette dei loro camion. Tanti bambini chiedono una moneta, un pezzo di pane per riempire la pancia, sono sporchi e spettinati, ma hanno quella meraviglia al posto degli occhi, quelle due perle nere da cui non riesco a distogliere lo sguardo, occhi di velluto in volti scavati dalla fame e maltrattati dalla gente che non li vorrebbe in giro.
Arrivo finalmente al chiosco delle culle e ne scelgo tre di vimini, sono così orgogliosa del mio acquisto e me ne torno carica alla pensione, aspettando domani.
5 febbraio 1998. È finita oggi questa mia bella e importante avventura. Ho consegnato le culle a Teresa, ho salutato tutti i ‘miei’ bambini, le volontarie che condividono con me la camerata e i ragazzi che lavorano alla falegnameria dell’orfanotrofio. Sono piena di grandissime emozioni, sono carica di sofferenza e al tempo stesso di bellezza, ho pianto salutando Govindo e Sundari, e solo in serata mi sono resa conto che non ho una loro foto e adesso è troppo tardi per chiedere il permesso a Suor Nirmala. Come ho potuto dimenticare? Mi sono ripromessa di non cancellare i loro volti dalla mia mente e sono sicura che non accadrà mai, mai per nessuna ragione al mondo, loro fanno parte di me, di questo assaggio di vita a Calcutta, sono i bambini preziosi che mi hanno dato modo di fare un passo importante per la mia esistenza futura, mi hanno donato tanto Amore e mi auguro di aver lasciato anch’io, nei loro cuori, una traccia di affetto, di cura.