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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Circolo ARCI Migliarino-6 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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VECCHIANO AI TEMPI DEL COLERA
di Franco Gabbani e Sandro Petri

6/11/2022 - 8:13

VECCHIANO AI TEMPI DEL COLERA
di Franco Gabbani e Sandro Petri

Nell'articolo precedente era stata presa in esame la condizione dell'assistenza sanitaria nel 1800, analizzando le maggiori consapevolezze delle disastrose condizioni igieniche grazie all'affermarsi della rivoluzione industriale e al diffondersi della figura del medico nelle varie classi sociali.
Ma, come abbiamo detto, i cambiamenti avvenivano con estrema lentezza.
A rendere drammaticamente evidenti le carenze del sistema sanitario contribuirono definitivamente le tre epidemie di colera sviluppatesi nella parte centrale del secolo, tra il 1835 e il 1865.
E purtroppo ancora per tanto tempo ci si affidò alle terapie storiche, cercando di placare l'ira di Dio con il pentimento dei peccati e le processioni.
Ma sempre più comparivano e si affermavano le idee per prevenire lo sviluppo del contagio.  



VECCHIANO AI TEMPI DEL COLERA

Un’epidemia di due secoli fa

di Franco Gabbani

I medici non si era mai stancati di denunciare che nelle zone rurali, la scarsa alimentazione, l’assenza di regole igieniche, l’acqua non potabile, l’aria malsana, erano la causa di devastanti flagelli: queste mancanze  erano state, sicuramente, l’acceleratore  dell’epidemia del colera che nel corso dell’800 si era presentato per ben tre volte in Italia.

Nel 1835 si diffuse nel Regno di Sardegna, a Genova e nel Granducato di Toscana, dove furono interessate Livorno, Pisa, Lucca e Firenze. Vennero istituiti cordoni sanitari terrestri e marittimi, emanate leggi che punivano coloro che violavano i cordoni sanitari.

Molte furono le famiglie che videro peggiorare la loro già disastrosa situazione economica, in particolare quelle che si reggevano su lavori stagionali: comportavano spostamenti che il cordone sanitario impediva. E’ vero, inoltre, che il colera colpiva tutti indistintamente, ma le classi più agiate, avendo un migliore stato di salute e di nutrimento, potevano affrontare  la malattia con maggiori probabilità di sopravvivenza rispetto a quelle più misere, che erano mal nutrite e meno curate.

In quell’occasione molti parlarono di avvelenamenti voluti dal governo per colpire la popolazione troppo cresciuta numericamente, altri ne individuarono le cause nella collera divina e i Parrochi furono, come al solito, pronti a organizzare per il popolo terrorizzato numerose processioni che si snodarono per le città e ancora di più nelle strade di campagna.

Tutte le chiese risuonarono di preghiere e voti per impetrare la grazia dal tremendo morbo.

Una lapide rievoca in poche righe quell’evento:1

O. M.
DEIPARAEQUE SEMPER VIRGINI MARIAE
A MONTENIGRO
LUE GRASSANTE LIBURNI
OB RELIQUE INCOLUMITATEM HETRURIAE
SACELLOQUE INSTAURATOPOPULUS FIDELIS
COLLOCAVIT IMAGINEM

DIE VIII MENSIS DECBRISMDCCCXXXV
 

“A Dio Ottimo Massimo e alla Madre di Dio e sempre

Vergine Maria da Montenero, il giorno 8 del mese di

dicembre 1835, il popolo devoto, diffondendosi il morbo di

Livorno e restaurata la cappella, collocò l’immagine per la

salvezza della restante Etruria”


Furono emanate numerose notifiche Granducali contenenti misure per contrastare il Cholera Morbus che miravano soprattutto a conseguire la nettezza delle strade e piazze, a regolare il deposito delle immondizie, spazzatura e spurghi delle case, essendo questi i mezzi ritenuti più efficaci per conservare la pubblica salute.

Vennero pubblicate istruzioni su alcuni comportamenti da tenere per allontanare la malattia e sul modo di prestare i primi soccorsi a chi ne fosse stato contagiato. Il primo suggerimento era quello di tenere pulita e ventilata la casa, lavare il pavimento con una soluzione di cloruro di calce, come pure pulire i piani del ‘luoghi comodi’ e i vasi da notte. Seguivano indicazioni sul comportamento da tenersi da parte dei sani nell’assistere gli ammalati: non rimanere troppo a lungo presso gli ammalati, tenere presso di sé qualche cosa di aromatico da odorare spesso e per strofinarsi con esso i contorni delle narici e della bocca, etc.2

Qui di seguito due documenti connessi all’epidemia di colera del 1835.

Dal Registro delle “Deliberazioni della Giunta Municipale di Vecchiano”:

                A dì Primo Settembre 1835

Gli Ill.mi Signori Gonfaloniere e Priori componenti il Magistrato della Comunità di Vecchiano (…) persuasi che la Provvidenza Divina voglia preservare illesa dal Cholera Morbus la loro Comunità nonostante volendo prevenire tutti quell’inconvenienti che nascer potrebbero se le strade non fossero tenute tutte lavate e pulite, e massimamente ancora dalle acque stagnanti, ammassi di conci, sono venuti nella determinazione di deliberare:

l’elezione di una Deputazione Sanitaria per uniformarsi alle disposizioni Sovrane contenute nella Circolare della Camera di Sopraintendenza Comunitativa di Pisa per preservare dal Cholera la popolazione(…). Nominiamo a comporre la detta Deputazione i seguenti che per le loro qualità personali godono della pubblica estimazione cioè

Sig. Dott. Massimiliano Prato di Vecchiano

Sig. Prof. Ranieri Sbragia di Vecchiano

Sig. Gio Batta Molletta di Avane

Sig. Bonaventura Bonini di Filettole

Sig. Filippo Tabucchi di S. Frediano a Vecchiano

Sig. Giovanni Capitani Agente Borghese

Sig. Niccolajo Gabbani di Nodica


Lettera del 3 Settembre 1835 del Parroco di Torre del Lago, Raimondo Natalini, al Fattore delle Tenute Salviati Giovanni Capitani:

       (…) Ci vuole pazienza! Mentre vivamente bramava vedere e parlare con Vostra Signoria al mio ritorno da Viareggio, sapendo la di lei venuta alla Casina, mi portai in fretta al Confine, ma invano, e deluse rimasero le mie speranze, mentre Ella era partita.

All’improvviso fu tirato il Cordone Sanitario, e poco mancò che io stesso non mi ritrovassi fuori, mentre era alla visita dei suoi contadini Infermi. (…) Il male sembra che più infierisca.

Lucca questa notte è rimasta vuota di abitanti possidenti essendosi recati alla campagna alle Ville. Cinque infetti dal Morbo sono stati portati al Lazzeretto di Vignola presso la Certosa, e tre sono morti a Lucca”.3   

Nel 1854, vent’anni dopo la prima epidemia di colera, le condizioni igienico sanitarie non erano migliorate, e in Inghilterra si diffuse di nuovo il morbo asiatico, portato da una nave proveniente dall’India. In seguito il colera comparve nei porti di Genova e di Livorno.

Anche questa volta i parroci furono pronti e, nel sermone della messa domenicale, lessero ai parrocchiani la lettera inviata dalla Curia Arcivescovile:

Dio ci visita nella sua collera, provocata da tante colpe, con una malattia che spaventa sotto qualunque aspetto che si consideri.

Noi dobbiamo più specialmente dal lato della Fede riguardare il flagello che si agita minaccioso sopra di noi.

Né qui potrebbe raccomandarsi abbastanza il più importante dei mezzi che ci addita per colmare l’ira di Dio, quel di cessare dai peccati e di quietare i rimorsi della coscienza con una confessione sincera, con una penitenza verace. (…)

Quando la nostra terra di Toscana fu invasa la prima volta da questo male (1835) noi più degli altri vicini al luogo ove infieriva più crudelmente (Livorno); ne andammo quasi del tutto salvi ed illesi.

Ma chi di noi, più che alla salubrità del clima, e delle acque, più che alla nettezza delle città ed all’ampiezza delle strade, non attribuì questa sorte inattesa ad una speciale protezione dei Santi Tutelari, con tanto fervore, e tante preci invocati alla difesa di queste mura! Posti in egual periglio non sia minore adesso la nostra Fede.4

A Viareggio le conseguenze dell’epidemia furono disastrose e causarono circa cinquecento decessi.

Qui parroci e suore, a rischio della propria vita, prestarono la loro opera materiale e spirituale e, nei primi giorni di Settembre, precedenti alla festa della natività di Maria, invitarono la popolazione a pregare la Vergine  perché facesse un miracolo.

Improvvisamente, così come si era presentato, il morbo asiatico cessò. Nel Dicembre del 1854 l’epidemia sembrava finita quando un’alluvione fece straripare l’Arno contribuendo ad una nuova diffusione del colera che colpì anche il Comune di Vecchiano. Sull’epidemia del 1854 possiamo proporre i due documenti che seguono:

Nel primo, del Luglio 1854, il parroco di Vecchiano, Giovanni Vannozzi, scrive :


                                                     Ill.mo e Rev.mo Monsignor Vicario

        Il Sig.re Curry (sacerdote Gugliemo Curry) è guarito dalla sua malattia colerica così dichiarata dal medico curante, e per tale denunziata alla Delegazione di Governo di Pisa, e perciò le rimetto le spese occorse per esso dal giorno 13 corrente, fino a tutto il 20. Principio e fine malattia, le quali in tutto ammontano in Lire 32.3.41. La prego Monsignore a voler persuadere il Sig. Curry a far disinfettare la camera, dove risiedeva, unitamente ai panni che in detta camera si trovavano in tempo della malattia, perché così è stato praticato da tutte le famiglie almeno del mio paese, in cui vi sono stati dei colerosi, quantunque guariti, e perché così credo, che lo richiederà, e lo voglia la prudenza.

Il Sig.e Curry non vuole convenire di questo, non vuol convenire che il suo male fosse colerico, ed intanto in tempo di sua convalescenza in un dato giorno, senza mia aspettativa e ad onta di mie persuasioni in contrario si portò a celebrare nella mia chiesa con indosso tutto quel vestiario, che teneva sul letto in tempo di malattia, ed io costretto a mettere da parte gli arredi sacri da esso indossati per disinfettarli. Ma se in avvenire non vorrà fare quanto sopra, mi metterà nella condizione di fare una pubblicità col proibirlo, e di canonica, e di chiesa. Profitto di questa occasione per rassegnarle la mia Servitù mentre, preso dalla piò ampia stima, ossequio, e rispetto, passo all’onore di dichiararmi

Di V. S. Ill.ma e Re. Ma
Dalla Canonica di Vecchiano 20 Xmbre 1854
Dev.mo Obbl.mo Servitore

Giò Vannozzi Parroco5

I timori di Don Vannozzi risultarono più che giustificati, infatti, come si legge in    ALMADOC    :

Anno 1854 – Comune di Vecchiano – Nel mese di luglio 52 Cittadini sono “Attaccati dal cholera morbus”. 4 sono guariti, 21 sono in cura, 27 sono morti. Fra i morti c’è un certo Guglielmo Curry prete della Chiesa di S. Maria di Castello.6

Il secondo documento riporta quanto era stato deliberato dalla Giunta Municipale di Vecchiano nell’Adunanza del Maggio 1854:

Inteso il rapporto del loro Sig. Gonfaloniere intorno ai provvedimenti da lui presi per urgenza nella circostanza della invasione del Cholera Morbus nel Territorio Comunale, quali provvedimenti consistono nella nomina di una Commissione composta dai seguenti soggetti:

Prete Giovanni Vannozzi Pievani di S. Alessandro di Vecchiano
Dottor Pietro Sbragia medico condotto
Romualdo Prato
Niccolajo Sbragia
Con incarico di provvedere con ogni maniera di soccorso a spese del Comune all’assistenza di quei disgraziati colerici, che appartengono alla classe dei miserabili, all’interramento dei cadaveri nei modi prescritti dalle istruzioni già comunicate al Medico, ed ai Curati, ed a fare quanto occorre onde arrestare il progresso della malattia.

Nel 1865 il Morbo Asiatico imperversò di nuovo in Italia con un bilancio particolarmente drammatico: 160.000 morti.

Il paese stava uscendo dalle Guerre di Indipendenza ed era alle prese con le difficoltà che derivavano dall’unione di tanti piccoli Stati sotto la monarchia Sabauda: un paese tutt’altro che unito.

Risultarono ancora evidenti le difficoltà nel riconoscere la malattia, nel predisporre misure sanitarie adeguate, anche per la presenza di una popolazione prevalentemente analfabeta o legata a tradizioni e superstizioni, ancora diffidente dei medici.

L’esercito intervenne in moltissimi luoghi d’Italia, in maniera più massiccia in Sicilia dove, le condizioni di vita pessime, una popolazione denutrita e i presidi sanitari sguarniti, avevano contribuito a moltiplicare i contagi e il numero dei morti.
Non si parlava di guanti, di mascherine e disinfettanti, non si parlava di Cina e di pipistrelli, ma si propagava sempre di più nel popolo l’antica superstizione che il colera fosse effetto di veleni sparsi per ordine del governo. Ricasoli e Menabrea vennero accusati di veneficio insieme alla forza pubblica, ai carabinieri, ai soldati.
Nel Settembre del 1867 il colera cominciò a decrescere e le popolazioni ritornarono a poco a poco agli uffici consueti della vita,7

Vorrei però ricordare anche un altro evento morboso che interessò il nostro territorio nell’800: l’epidemia di febbre gialla del 1804.

Nell’Agosto di quell’anno attraccò, nel porto di Livorno, un bastimento proveniente da Cadice.

La Spagna era considerata un paese sicuro dal punto di vista sanitario per cui fu autorizzato lo sbarco senza preventivi controlli, ma tutto il personale della nave era affetto da febbre gialla per cui l’epidemia si diffuse rapidamente.

 

“La popolazione si riversò nelle campagne pisane, specialmente nella Valdiserchio, non senza impensierire e tenere in costante apprensione per il contagio la popolazione locale. Molti livornesi sfollarono a Vecchiano e con la popolazione locale, visto che l’epidemia non cessava, si misero a pregare intensamente. Si levarono al Cielo preghiere incessanti e si intensificarono le suppliche alla Vergine del Castello, fu fatta perfino una processione solenne affinché la popolazione fosse liberata da quel nefasto castigo. Pochi mesi dopo, il 2 Dicembre 1804, l’epidemia cessò e la popolazione volle murata una lapide a memoria del tragico avvenimento all’esterno della porta della chiesa e come ringraziamento per lo scampato pericolo”.8

In una prima stesura di questa ricerca avevo raccontato le epidemie del diciannovesimo secolo come avvenimenti lontani, dei quali volevo conoscere e far conoscere come erano nati, come si erano sviluppati, che portata avevano avuto, conseguenze e segni lasciati nella società di allora.

Ma, nel Marzo 2020, ho/abbiamo dovuto fare i conti con il coronavirus. Oggi sembra di essere tornati ad un lontano passato per cui, a conclusione di questo articolo, riporto una testimonianza del difficile e lungo periodo che stiamo vivendo, con la speranza che presto sia solo un ricordo dal quale poter trarre utili riflessioni per una gestione del nostro futuro che miri ad una società più sana e più umana:

Tutto diventava tristemente attuale, non era più passato: miliardi di esseri umani stavano rivivendo in contemporanea l’esperienza che i popoli avevano già sopportato nei secoli precedenti. Questa volta non era più un racconto, eravamo diventati noi i personaggi della storia. All’improvviso ci siamo resi conto del valore e dell’importanza  delle nostre libertà, perché ci sono state negate. Ci è mancata la libertà di andare a correre in un parco, di vedere gli amici o le fidanzate, di uscire con i figli, di vedere una mostra, di andare a fare shopping (…) questi giorni di quarantena forzata hanno rappresentato una rivoluzione del nostro vivere quotidiano.9


1 La lapide all’interno della cappella de La Befa ricorda la collocazione di una immagine della Madonna di Montenero per scongiurare l’arrivo del colera.

2 “Cenni sul modo di preservarsi dal Cholera Morbus” del Cav. Prof. Pietro Betti (27 Agosto 1835). Archivio Storico del Comune di Vecchiano.

3 Scuola Normale Superiore – Archivio Salviati, Serie V, N. 89.

4 Archivio Storico Diocesano-Pisa.: Fondo Curia Arcivescovile (13) -  Epidemia di colera 1854. Dalla lettera, del 14 Agosto 1854, della Curia Arcivescovile ai Parrochi  di Pisa e della Diocesi.

5 A. S. D. P. -  Da Fondo Curia Arcivescovile (13): “Epidemia di colera 1854”.

6 P. Chicca – ALMADOC Centosessant’anni di cronaca Vecchianese, Felici Editore, 2000, pag. 46.

7 F. Margiotta Broglio, “Quando la zona rossa era il Sud”, Corriere Fiorentino, Giugno 2020.

8 M. Noferi, Vecchiano. Storia del territorio e delle sue chiese, Felici Editore, 2008, pag.119.

9 Prefazione a: G. Lupo : I giorni dell’emergenza. Diario di un  tempo sospeso,  Editore Il Sole 24 Ore publishing and digital, Milano 2020.

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