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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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. . . . . . . . . . . a tutto il popolo della "Voce". .....
. . . mia nonna aveva le ruote era un carretto. La .....
. . . la merda dello stallatico più la giri più puzza. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Ripafratta, 12 luglio
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
Tutto sulla famiglia, la mia:(decima puntata)

30/11/2022 - 8:15


 
17 novembre 1967. L’Ateneo fondato dal Francescano Padre Agostino Gemelli: L’università Cattolica di Milano venne occupata dagli studenti. In Italia si alzò il vento del cambiamento. Un mese dopo un vento diverso ci portò via il tetto della casa. Per alcuni giorni trovammo ospitalità dai parenti, nel giro di poco tempo ci trasferimmo in una nuova casa.
Non era una casa qualsiasi, era: La Casa. Un vecchio cascinale di metà 800 in origine dipinto di rosso che il sole aveva trasformato in rosa. Tutte le stanze avevano le travi in legno e i pavimenti con le mezzane, a me e a mio fratello sembrava un castello. Un castello con quattro camere, la cucina, il salotto, il bagno con la vasca e, magia delle magie: la soffitta e la cantina. In una parte della stanza dal tetto spiovente mia madre mise un cavalletto e un tavolo dove sistemò matite e pennelli. In quella casa ci vivo ancora.
24 luglio 1968 Giorgio Vigolo con La Luce ricorda si aggiudicò il Premio Poesia al Premio Letterario Viareggio - Repaci.
Anche Francesco pochi mesi dopo scriveva. Lui racconta così:
In quel periodo mia sorella mi considerava un essere perfettissimo, quasi un Dio. Cioè ero quello che riusciva a tranquillizzare il carattere ansioso di mia madre, ad arginare gli sbalzi di umore di mio padre, a convincere nonno Alfonso a fare il bagno. Mio nonno diceva che: “Si lavano i sudici”. Io frequentavo la scuola media e Franca la scuola elementare. Un pomeriggio mi presentai in camera sua sventolando un foglio di carta:
“Ho scritto una poesia, la vuoi sentire?”
“Una poesia?”
“Si! Una poesia, la vuoi sentire o no”?                        
“… Si!”
Lei si mise sul letto con le gambe incrociate e la schiena appoggiata al muro dove avevo disegnato il ritratto di Tex Willer e Kit Carson. Mi sedetti e iniziai a leggere:
“Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta” mentre leggevo gli occhi di mia sorella si allargarono e la bocca si aprì come quando vedeva un bicchiere di Coca cola “ch’ogne lingua deven tremando muta e gli occhi no l’ardiscon di guardare”.
“Ma… è bellissima!” disse. Mr.Magoo, il nostro gatto entrò nella stanza, saltò sul letto e si accovacciò tra le gambe di mia sorella.
“Ti piace?” le dissi “l’ho scritta per Laura… quella biondina della terza effe” poi continuai a leggere.
Lasciai il foglio sul letto e uscii dalla camera. Solo dopo seppi che lei l’aveva ricopiato e messo nella cartella. La mattina dopo aspettò l’ora di ricreazione e disse alle amiche:
“Vi leggo una poesia: Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua deven tremando muta e gli occhi no l’ardiscon di guardare…” Roberta, la più brava della classe continuò, recitando a memoria:
“Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrar…”
“Come… come fai a conoscere la poesia di mio fratello? L’ha scritta ieri sera…”
“Tuo fratello? Questi versi li ha scritti Dante, Dante Alighieri” disse Roberta
Roberta aveva una sorella più grande che frequentava le scuole superiori. Spiegò a mia sorella chi era: Dante Alighieri. Le compagne iniziarono a ridere fino a che la maestra non le fece rientrare in classe. Anch’io risi tanto quando me lo raccontò. Lei no. Avevo ricopiato quelle parole da uno dei libroni che mia mamma aveva sistemato sulla libreria dicendo: “Quando siete più grandi li leggete” ne aveva aperto uno a caso. Non avevo capito bene il significato di quelle parole ma mi erano piaciute tanto da ricopiarle su un foglio a righe e portarlo in camera sua.
Per lo scherzo mia sorella non mi voleva più parlare, fece anche giurin giurello con le dita incrociate sulla bocca. Non immaginavo che ci fosse rimasta così male. In seguito mi disse: “Non mi hanno ferito le risate delle mie amiche, ma il fatto che ti sei preso gioco di me”
Come poteva credere che le avessi scritte io quelle parole, nell’ultimo compito d’Italiano avevo preso due meno.
 
Settembre 1969, a Viareggio come nel resto d’Italia iniziò la lotta operaia: L’Autunno caldo. I lavoratori di tutte le fabbriche, Fiat compresa scioperavano per ottenere i loro diritti. Gli scioperi venivano fatti a singhiozzo, due ore lavoravano e due scioperavano per creare maggior disagio all’azienda. In seguito il diritto allo sciopero venne regolamentato. Mio padre ci raccontava che alla lotta operaia si erano uniti anche gli studenti, occupando le scuole e partecipando con loro ai cortei al grido di: “Operai, studenti, uniti scioperiamo”. Quei ragazzi vestivano uno strano pastrano verde, l’Eskimo, che lui ribattezzò: il giubbone di Mao. Iniziavano gli anni ’70. Per Amelio quei ragazzi avevano due difetti: i capelli lunghi e i pantaloni troppo stretti “En tutti finocchi!” diceva scuotendo la testa e continuava con: “un ci sono più gli uomini di una volta, capelloni sono capelloni. In casa mia, uno così un c’entrerà mai!”
Erano i primi giorni d’ottobre del 1970. Mio fratello in quel periodo frequentava la scuola INAPLI a Viareggio. I professori della scuola coinvolsero gli studenti in un progetto: un Presepe. I personaggi del presepe vennero realizzati con sagome di ferro preparate dagli allievi del corso di meccanica, mentre quelli di elettrotecnica, lavorando con il movimento del sole e l'intensità luminosa dovevano riprodurre l'intera giornata. Il lavoro veniva realizzato di pomeriggio dopo l’orario scolastico. Mio padre voleva cenare presto la sera e senza guardare Carosello, andava a letto dopo il goccetto della staffa. Per questo motivo mio padre e mio fratello per alcuni giorni non si videro.
Un sabato mattina venni svegliata dalle bestemmie di mio padre, quelle delle grandi occasioni. Scesi le scale di camera mia e mi affacciai in cucina, vidi mio fratello con la moka in mano intento a prepararsi il caffè, era inguainato nei suoi nuovi Blue Jeans a zampa d’elefante con sopra una camicia a fiori. I suoi capelli nascondevano il lobo dell’orecchio. Sembrava il fratello piccolo di Mal dei Primitives, lui non si curò della minaccia di mio padre:
“Vatti subito a taglia’ i capelli, se non lo fai te, lo faccio io mentre dormi”
Mio fratello uscì di casa e rientrò molto tardi. La rivoluzione degli anni ’70 era entrata in casa nostra.
Sentimmo di nuovo le bestemmie delle grandi occasioni quando, all’inizio dell’inverno mio fratello entrò in casa con il giubbone di Mao. Per arginare le bestemmie di mio padre, mia madre pregava. Nonno Alfonso si asteneva da commentare, ma scuoteva vistosamente la testa quando vedeva arrivare mio fratello in sella alla sua Vespa 50 gialla, con i capelli al vento. La scosse ancora di più quando vide i miei vestiti accorciarsi.
 Alla fine di ottobre 1970 nonno Giacomo ci lasciò. Sapevo che non sarebbe andato sulla nuvola.
Nel mese di giugno del 1971, un docente dell’Istituto Statale d’Arte di Firenze, venne a passare le vacanze estive in una casa vicino alla nostra. Mia madre prese da lui lezioni sulla tecnica dell’acquerello. Alla fine dell’anno partecipò ad una mostra collettiva con il quadro La Zingara. Quella donna, da lei ritratta a figura intera, stringeva un bambino tra le braccia. Si aggiudicò il primo premio.
A febbraio dell’anno dopo, sulla carta bagnata, dipinse un vecchio e una bambina uniti da un nastro colorato. L’uomo tendeva la mano alla bambina. Quel quadro non si è staccato mai dalle pareti di casa. Tutte le volte che lo guardo mi risuonano in testa le parole della canzone: Il Vecchio e il bambino di Francesco Guccini. La bambina del quadro sono io, per convincermi a posare, mia madre promise di ritrarmi con i capelli lisci. Il vecchio, è nonno Alfonso. A lui regalò una scatola di sigari toscani: Toscanello.
Quando finii le scuole medie mia madre, su consiglio del professore di Italiano, mi iscrisse a un corso professionale di estetica con sede a Pisa. A quattordici anni per me Pisa era l’America. Dopo il diploma iniziai a lavorare. Anche mio fratello lavorava a Viareggio.
1974. Mia madre partecipò a una collettiva di pittura con un quadro dipinto a olio su tela che raffigurava una maternità. Si aggiudicò il Premio Speciale
  
Chirurgia donne, chirurgia uomini  
 
22 novembre 1974. A Roma durante gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine venne ferito un militante di Lotta Continua: Piero Bruno. Partecipava al corteo a favore dell’indipendenza dell’Angola, morì il giorno successivo in ospedale. La settimana dopo accadde questo.
Mi ero alzata di cattivo umore quella mattina. La sveglia non aveva suonato. Il tempo di vestirmi, un saluto veloce a nonno Alfonso e via sul Prado, per non perdere il Pullman. Giusto in tempo, aveva già messo la freccia per partire. Un cenno con la mano e la porta posteriore si riaprì per farmi salire, ricambiai la cortesia salutando e presi posto in fondo. Mi piaceva ondeggiare nella parte posteriore del Pullman.
La nebbia presto si trasformò in pioggia, vedevo le minuscole gocce portate dal vento disegnare i vetri e cadere “Ecco!” pensai “tutto inutile il lavoro di ieri sera per lisciarmi i capelli, mezz’ora di spazzola e phon. Il negozio era già aperto e il primo appuntamento era per le 8.45. Giusto il tempo di cambiarmi e la cliente arrivò.
Avevo appena iniziato a lavorare quando dalla porta d’ingresso vidi entrare mio zio, il fratello di mia madre con la moglie “Che ci facevano lì? Non certo per una piega o il trucco” pensai. Scambiarono due parole con il mio principale che con un cenno della mano mi chiamò. Erano venuti a prendermi “La mamma, ha avuto un incidente” mi dissero, cercando in tutti i modi di tranquillizzarmi.
“Non è niente di grave” continuavano a ripetere. Se non era grave, perché loro erano così agitati? pensai. Mi cambiai, e li seguii fino alla loro auto senza fare domande. La strada per arrivare a Camaiore mi sembrò interminabile, poi finalmente arrivammo in Ospedale. Aprii la porta della stanza, mia madre era cosciente ma il suo viso sembrava di cera e parlava a fatica. Un’auto l’aveva investita sulle strisce pedonali mentre usciva dall’ospedale S. Vincenzo di Camaiore, aveva passato la notte con mio padre operato due giorni prima. Un’infermiera che le aveva appena fatto un’iniezione ci disse che doveva rimanere immobile per alcuni giorni, non disse quanti. Un attimo dopo nella stanza entrò mio fratello e io mi sentì riavere. Gli occhi di mia madre si riempirono di lacrime. A interrompere quel momento ci pensò un'altra infermiera che, con fare deciso entrò nella stanza dicendo: “Questo non è l’orario delle visite, tornate più tardi, deve riposare”.
Salutammo mia madre con un bacio e andammo nel corridoio. I miei zii erano già usciti.
“Ora come facciamo?” chiesi a mio fratello.
“Prendiamo le ferie, te ti occupi della mamma, e io di papà, a colazione pranzo e cena. Lo sa il nonno Alfonso?” disse, mentre scendevamo le scale.
 “Si, la mamma ha provato a farsi accompagnare a casa dopo l’incidente ma poi ha avuto un malore, hanno chiamato l’ambulanza e l’hanno portata qui, me l’ha detto lo zio. Ha pensato lui ad avvisare i nonni di Camaiore”
“Bene” disse mio fratello “allora nonno Alfonso lo lasciamo a dirigere la casa, racconta sempre che in tempo di guerra era attendente alla moglie del Capitano. Anzi è meglio che andiamo a casa. Chissà come sarà preoccupato. Papà lo sa?” aggiunse.
“Lo sa! Lo hanno avvisato. Lo sai lui com’è” cercando di imitare la sua voce dissi: “Non vi preoccupate per me, mi guardano le infermiere, non ho bisogno d’altro”
“Stanno fresche…” disse, e rise.
“Fa un po’ di scena, a modo suo si preoccupa”.
“A modo suo, sì”.
Uscimmo dall’ospedale che pioveva, non pensai ai capelli.
Per venti giorni io e mio fratello ci dividemmo tra i reparti di chirurgia uomini e di chirurgia donne dell’ospedale S. Vincenzo di Camaiore.
Ottobre 1975. Mia madre partecipò ad una collettiva di pittura, il premio le venne consegnato da una sorridente annunciatrice televisiva: Nicoletta Orsomanno. Per la nostra famiglia veder rientrare mia madre a casa con una coppa o un trofeo in mano stava diventando un’abitudine. (continua…)

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6/12/2022 - 10:13

AUTORE:
AUTRICE Franca

L'arte è stato il motore che le ha dato la forza di andare avanti, una cosa che all'inizio non avevo capito e ho scoperto raccontando

4/12/2022 - 9:02

AUTORE:
AUTRICE Paola

ciao Franca, finalmente si manifesta la tua mamma con la sua creatività, nonostante tutte le traversie della famiglia mantiene questa passione per la pittura che sicuramente l'aiuta a superare tante difficoltà. Il tempo non cancella il suo amore per il disegno e questo dono lo porta avanti custodendolo e proteggendolo.
Bene cara...alla prossima puntata!