Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Pensiamo che questo Spazio Donna sia il luogo ideale per raccontare la storia di donne che con il loro lavoro con la loro presenza nella zona di Migliarino hanno contribuito a migliorare la vita sociale, economica e culturale del paese. Intervistandole possiamo condividere i loro ricordi con chi l’ha conosciute e farle conoscere a chi prima di ora non ha mai sentito parlarne. Invitiamo quindi tutte a farsi protagoniste di questa iniziativa mandando a loro volta interviste. Grazie
Essere la sarta di paese (Migliarino)
Mi chiamo Paoletti Iolanda Bruna ma tutti mi chiamano Franca. A quel tempo, quando sono nata io (6/5/1927), chi lavorava la terra altrui metteva i nomi dei padroni ai loro figli e alle figlie.
Io sono nata a Fauglia che è un comune della provincia di Pisa, in Toscana. C’era molta miseria e allora i miei genitori si sono trasferiti a Migliarino per lavorare quando avevo 7 anni. Lo Sbragia, proprietario di tanti terreni e case, ci dette un alloggio all’Isola (che oggi è un’ansa del fiume Serchio nel parco regionale di Migliarino San Rossore). Accanto a noi abitavano i Vazzoloretto, i Cardelli e i Cinacchi, più avanti nel grande casamento abitava la famiglia del padrone.
In famiglia eravamo 12 persone, fra mamma, babbo, fratelli, sorelle, zii, zie e nonno Pasquale, che nonostante fosse paralizzato, era il capofamiglia; comandava tutti dal suo seggiolone, ed era rispettato da tutte e tutti.
Frequentai per un anno la scuola elementare comunale, poi saputo che alla scuola delle suore facevano anche il doposcuola i miei genitori preferirono mandarmi là per finire gli studi. Per andare a scuola noi bambine e bambini si passava dal viale Isabella con gli zoccoli per non consumare le scarpe "buone" che mettevamo quando si arrivava alla scuola, però le guardie mi facevano paura perché ogni volta mi fermavano per chiedermi il permesso che non avevo…
I nostri genitori non avevano tempo da perdere e non si confondevano con i figlioli e le bimbe per la scuola o per i permessi che ci servivano per attraversare il bosco.
Io a scuola per maestra avevo suor Giulia una suora proprio cattiva. La mia classe era mista; eravamo femmine e maschi insieme. Si portava qualcosa da mangiare da casa. Ho fatto fino alla quinta elementare poi i miei genitori, come tutti i contadini che avevano le figlie femmine, cercavano di farle imparare dei mestieri e i miei genitori mi mandarono a imparare a cucire per fare la sarta.
Leda, è stata la mia prima maestra di cucito, però lei andava spesso a cucire nelle case della gente e allora io rimanevo a casa senza fare e senza imparare. Così parlarono con Senna un’altra sarta sempre di Migliarino, che fu ben lieta di prendermi come allieva e fu per me davvero una grande maestra di cucito e anche di vita. Io avevo conosciuto (quello che poi è diventato mio marito) Antonio Bazzo tanto tempo prima di sposarlo, perché era nipote dei Vazzoloretto e quando veniva a trovarli all’Isola ci siamo fin da subito piaciuti, noi non abbiamo avuto figli né figlie, però c’era Romano il bimbo della Senna che era piccino quando sono arrivata in casa loro, io mi ci perdevo e gli volevo un bene dell’anima!
Per le famiglie contadine mandare una figliola a imparare a fare la sarta era una cosa ben vista perché le avrebbe rese indipendenti e svincolate dal lavoro pesante dei campi. La famiglia ne traeva vantaggi perché, anche se poi questa non faceva la sarta, avrebbe comunque realizzato grembiuli, vestiti per i piccoli bambini di casa, aggiustato gli abiti di famiglia, preparato i capi e la biancheria da corredo. Insomma era un vero e proprio investimento per la famiglia tutta.
All’inizio io infilavo gli aghi, facevo le imbastiture, i punti molli, piano piano ho imparato tutto il resto, io guardavo e capivo. La manualità e trucchi arrivano con l’esperienza, ci vuole tempo. Ma quando cominci a pensare di essere brava, devi saper responsabilizzarti di quello che fai, ed è quello il momento in cui impari di più. Se tagli un vestito e lo sciupi…non puoi dare la colpa alla tua maestra.
Però ci vuole passione, quando nasce questa il gioco è fatto, io cucivo anche da uomo, però la stoffa la preparava il sarto perché preferivo che lui tagliasse e prendesse le misure. A volte le donne mi chiedevano dei modelli di abiti che indossati dalle loro corporature non stavano bene, allora con gentilezza provavo a far cambiare idea alle signore. Saper dire senza offenderle, non era facile. Le più delle volte non le convincevo e mi dispiaceva poi se pensavano che la sarta non era stata brava a cucire, in realtà era l’abito che non andava bene per la corporatura o l’età.
Prima avevo la macchina da cucire a pedali e appena potei comprai la mia prima macchina elettrica nel 1960, una bellissima Pfaff verdolina con le manopole tonde e beige che sembravano d’osso, incassata in un mobiletto in legno di noce. L’ho così amata e adorata che questa mi fa compagnia tutt’oggi che siamo nel 2022, mi assiste ancora alle macchinature che faccio.
In paese ogni signora aveva la propria sartina e tante famiglie in paese prenotavano la sarta per averla in casa anche una settimana all’anno. In quella settimana era ben controllata per un certo numero di ore. Si cucivano abiti nuovi, si stringevano, allungando o scorciando quelli vecchi, si riutilizzavano rivoltandoli se erano consumati e a quelli che non stavano più veniva data loro una vita nuova. Anche io a volte andavo nelle
famiglie che mi chiamavano lavorando a domicilio, ma per me era troppo stressante perché avevo sempre l’occhi addosso!
Per chi mi vedeva avevo sempre il metro penzolante intorno al collo, le forbici a portata di mano e spilli dappertutto, anche attaccati alla stoffa del petto per averli a portata di mano alle prove e anche in bocca
stretti tra le labbra. In terra fili e pezzetti di stoffa avanzata dai ritagli e sulle seggiole stoffe e lavori cominciati da finire. Scatoline di bottoni, qualche cerniera, gancini gros-grain e fettucce non mancavano mai in casa.
Cominciai anche a preparare gli abiti da comunione per le bambine e gli abiti da sposa e, devo dire che gli abiti da sposa mi hanno data tanta soddisfazione!
Ripensandoci ora credo di essere stata per il paese la sarta dei matrimoni; ho fatto più di 200 abiti da sposa!
Arrivavano persone che da me non si servivano, però quando si sposava la figliola si facevano mie clienti. Io pensavo che avevano stima di me e mi gratificava cucire per loro, anche selavoravo tante ore del giorno e a volte ho fatto le ore piccole e anche nottate per finire in tempo questi maestosi abiti nuziali.
La gente pensava che la sarta guadagnasse soldi a cappellate, in realtà era faticoso riscuotere; c’erano delle signore che mi chiedevano di cucire e poi avrebbero pagato piano piano oppure, cucivo per Natale e poi mi dicevano che mi pagavano a Pasqua.
C’era una donna in particolare che una volta riuscì a non pagarmi perché disse che si era messa in tasca i soldi per liquidarmi però si era fermata a fare tante spese e alla fine li aveva spesi tutti! In quel caso mi ricordo che ci rimasi molto male, mi sentii così mortificata che pensai che il vestito se l’era messo per sfoggiare il lusso e io non avevo soldi neppure per i bottoni…che le avevo comprato per il cappotto.
Non si consideravano le tante ore che io avevo perso dietro a quella signora per accontentarla, poi lei non mi pagò! Ci penso sempre! Comunque donne che non si vergognavano di chiedere e approfittarsi della situazione ne ho incontrato diverse.
Ho collaborato con altre sarte, ma si lavorava ognuna per conto proprio perché così si andava più d’accordo. Si copiavano i modelli che andavano di moda dalle riviste, poi è arrivata la confezione pret a porter così oggi se vuoi cercare una che sa cucire o una sarta è come cercare un ago in un pagliaio.
Il tempo è passato veloce, a me e a mia cognata ci venne in mente di aprire una lavanderia che ho tenuto per 12 anni e si guadagnava bene per lavare i panni delle famiglie e, nel frattempo per quelli che avevano bisogno di aggiustare gli abiti, di fare orli o di cambiare le cerniere, io potevo continuare a fare ciò che più ho amato cioè: cucire.
Più avanti io e mia cognata eravamo all’età della pensione per cui vendemmo volentieri la lavanderia. Dal quel giorno comunque non ho mai smesso di fare piccoli lavoretti che mi impegnano con l’ago, il filo e le forbici, un amore che oggi è sempre attivo a 95 anni. Continuo a pedalare per cucire con la mia pfaff (ho fatto sganciare il motore elettrico), trovo solo difficoltà ad infilare l’ago, per il resto le mani ormai conoscono a memoria cosa devono fare e lo fanno con il piacere del ricordo.
Paola Magli