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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Tutto sulla famiglia, la mia:(undicesima puntata)

10/12/2022 - 14:06


Le passioni tra me e mio fratello erano come le malattie infantili, lui le prendeva poi le attaccava a me. Così successe con la montagna. Da un po’ di tempo mio fratello, zaino in spalla e scarpe comode, passava le domeniche con gli amici a fare il campeggio nella parte meridionale delle Alpi Apuane. All’inizio questo modo di passare la domenica non lo vedevo adatto a me. Non potevo camminare sulle mulattiere con i tacchi. Poi una sera lui mi fece conoscere un paio di suoi amici. Comprai uno zaino, scarpe comode e insieme a loro mi incamminai sui sentieri apuani. Era la fine degli anni ’70 quando un’altra passione spuntò all’orizzonte. Francesco venne invitato a una riunione del Gruppo Archeologico - Speleologico locale, io non mi vedevo armata di pennello e paletta a scavare per le colline di Camaiore in cerca di reperti ma partecipavo volentieri alle cene. Lui alternava la passione per l’Archeologia con la Speleologia. Ben presto il mondo ipogeo lo inghiottì.
16 marzo 1978. Ore 9.02 via Fani a Roma. Un gruppo di brigatisti rossi rapì il segretario della Democrazia Cristiana Aldo Moro e uccise cinque uomini della sua scorta. Era la vigilia di Pasqua dello stesso anno quando, mio fratello e i suoi amici speleologi mi convinsero a passare la notte nel Ramo delle Stalattiti nell’Antro del Corchia. Per la prima volta vidi la Sala del Biliardo con le trasparenti canne d’organo.
12 luglio 1979. Reinhold Messner, insieme a Michael Dacher, raggiunse la vetta del K2 dopo che la spedizione da lui organizzata si era divisa in tre gruppi autonomi per affrontare la salita.
In quel periodo il sogno di mio fratello e gli amici speleologi era di trovare la congiunzione tra l’abisso Claude Fighieà e l’Antro del Corchia sulle Alpi Apuane. Passavano giorni interi nelle cavità buie e umide illuminate solo dalla luce delle loro lampade a carburo. Le esplorazioni richiamarono in zona i migliori speleologi d’Italia. Arrivarono da Roma, Torino, Bologna, Firenze e Perugia. Un giorno di novembre decidemmo di organizzare una cena in un vecchio frantoio per riunirli tutti. Dovevamo essere una cinquantina, poi l’amico dell’amico aveva invitato altri amici.


Mio fratello racconta:


Era iniziato tutto con un giro di telefonate, per primi i fiorentini e i faentini. Loro avevano chiamato i piemontesi e gli altri. Ogni gruppo arrivò con una damigiana di vino ma visto il moltiplicarsi delle teste, le scorte alimentari non erano sufficienti a sfamare tutti. Così ognuno di noi fece sparire qualcosa dal frigorifero di casa.
Prima di cena iniziarono i brindisi. Per i nostri compleanni, le esplorazioni fatte in grotta e per l’anno che verrà. Avevo perso di vista mia sorella. La vidi in un angolo, seduta per terra, che parlottava con Michele. Cioè lui parlava, lei muoveva la bocca ma non emetteva suoni, come un luccio fuori dall’acqua. Mi avvicinai.
“Che c’è? Non si sente bene?”
“No, ecco, è che forse è più quello che ha bevuto che quello che ha mangiato” disse Michele e aggiunse “le spiegavo che ci vorrebbero un paio di uova sode, sono ottime, ecco, anche a me sono servite quella volta che…”
“Dai Michè non dire stronzate, dove le trovo io le uova sode, proviamo a farle fare due passi” dalla stanza accanto intonarono un coro:
E l’ha bevuto tutto e non gli ha fatto male,
è l’acqua che fa male, il vino fa’ canta’
Mia sorella borbottò qualcosa del tipo: “Lasciami in pace”
“Forse è meglio portarla a casa, la mettiamo a letto, poi torniamo”
“Va bene, avviso gli altri”
Michele s’affacciò nella stanza dei cori, un ragazzo di Bologna ci passò davanti con un salame intero in mano, lo usava come microfono per fare le interviste. Nessuno si sarebbe accorto della nostra assenza. Scendemmo gli scalini, facendo attenzione alle mezzane sbeccate. Fuori dalla porta c’era Betta con un’amica, in una mano aveva un bicchiere di vino, nell’altra una salsiccia arrostita infilata in uno spiedino. Un rivolo di grasso le stava scivolando dalle dita verso il polso, lei lo fermò con la lingua.
“Ve n’annate?”
“Accompagniamo mia sorella a casa e torniamo” dissi.
Tra le auto parcheggiate cercai la mia, una Fiat 127 bianca che partì al secondo tentativo.  
Entrammo in casa senza accendere la luce di cucina. Tenendo per le braccia mia sorella, attraversammo la cucina buia sperando di non incontrare mio padre. Invece lui era lì, nel corridoio, vicino alla stufa a legna, avvolto dal vapore della sigaretta. Mi inventai una scusa, quella che al momento mi sembrava la più credibile: che mia sorella aveva mangiato troppo. Dopo averla messa a letto, tornammo alla festa.
Lentamente la salute di mio padre cominciò a peggiorare.
 
Una lunga notte
 
Le esplorazioni in grotta, per trovare la congiunzione tra l’Abisso Claude Fighierà e l’Antro del Corchia continuarono. Fu durante una di quelle uscite che faticai a tenere a freno l’ansia di mia madre. Mio fratello ci aveva avvisato che quella sarebbe stata un’esplorazione lunga, disse scherzando: “Usciamo solo dopo avere trovato la congiunzione”.
Non era possibile comunicare con chi era all’interno della grotta, per questo motivo stabilivano prima la durata della punta cioè, le ore di permanenza all’interno della cavità. L’assenza di notizie dopo l’orario stabilito voleva dire che era successo un incidente. Il compito di chi rimaneva fuori era di allertare il Soccorso Alpino.
Vista la particolarità dell’esplorazione nessuno di noi si allarmò per una trentina di ore. Mia madre allo scadere delle quaranta ore senza notizie cominciò a fare domande:
“Non sono mai stati così tanto, sarà successo qualcosa”?
Per me era difficile rispondere, le ore erano tante ma conoscevo bene la loro determinazione. Mio padre girava per casa scuotendo la testa:
“Ne' buchi, vanno ne' buchi per divertirsi, io alla loro età andavo a donne per divertirmi. Se succede qualcosa là dentro, chi ci va a tirarli fuori?” diceva mentre girava da una stanza all’altra della casa come un leone in gabbia “matti! En tutti matti” continuava a dire.
I brontolii di mio padre non aiutavano l’ansia di mia madre, mio nonno Alfonso non commentava. Una sola volta in passato aveva detto: “Io di buchi ne ho visti anche troppi sul Carso”
Io non volevo pensare al peggio, sapevo che dentro quella grotta c’era il meglio della speleologia italiana. Ma le ore passavano. Erano cinquanta. Cinquanta ore che nessuno aveva notizie, noi sentinelle cominciammo ad allarmarci. Eravamo pronti a chiamare gli speleologi locali.
Cinquantadue. Cinquantadue ore, non potevamo più aspettare. Eravamo consapevoli che mettere in moto la macchina dei soccorsi non era una decisione da prendere alla leggera, ma lo dovevamo fare. Alcuni componenti del gruppo rimasti fuori decisero di avvicinarsi alla zona e andarono nel paese di Levigliani. Serviva un posto da dove coordinare le eventuali operazioni.
Cinquantatre ore, dovevamo chiamare. Il telefono di casa squillò, dall’altra parte del filo una voce roca mi disse: “Tutto bene, siamo usciti” era mio fratello.
Tutto bene! Nessuno si era fatto male ma la congiunzione Corchia - Fighierà non l’avevano trovata. Erano sicuri che era lì, ma dove? Mia madre per giorni continuò a dire: “Nella bara, io lo vedevo già nella bara” 
Mio padre rimase della sua idea, mio nonno non disse niente.
Chiamarono Via Fani uno dei rami dell’Abisso Claude Fighierà. Era a meno 260 metri in direzione dei Torrioni del Monte Corchia. Presero il nome di Baader – Meinhof, le gallerie che si diramavano in direzione nord, a Fociomboli. Alle nuove gallerie esplorate in cerca della congiunzione tra le due grotte, diedero il nome di Gallerie di Pasqua. 
 
Novembre 1979.

 

Nonno Alfonso senza preavviso decise di lasciarci per raggiungere nonna Aristea.
Le esplorazioni in grotta continuarono e spesso gli amici piemontesi passavano a trovarci. Ci raccontavano i loro viaggi a Katmandu o a Machu Picchu lungo il cammino degli Incas. Attraverso i loro racconti, quei paesi lontani entravano in casa nostra. Passavamo le serate a vedere le diapositive.
2 agosto 1980. Ore 10.25. Una bomba fa esplodere la Stazione Centrale di Bologna. Io, mio fratello e gli amici eravamo in vacanza sul massiccio del Marguareis, sulle Alpi Marittime per continuare l’esplorazione del complesso ipogeo di Piaggia Bella. La notizia arrivò la sera stessa al campo base. Marco, arrivato in auto da Bologna aveva gli occhi lucidi quando lo disse. Sotto alle macerie aveva perso un amico.  Mi ricordo ancora quel tre agosto nel 1980 quando io e lui andammo a prendere il latte e il formaggio all’alpeggio, annunciando la disgrazia:
“Ieri hanno messo una bomba alla stazione di Bologna, ci sono morti e feriti” disse Marco, nella stanza che profumava di ricotta ancora calda.
Gli occhi azzurri del pastore Giuanin fissarono il vuoto, smise di girare le forme di formaggio disposte sulla tavola di legno e disse “Io sono partito dalla stazione di Bologna per la Russia” ci guardò “una bomba? Ma la guerra è finita”
Io, Marco e il pastore abbassammo gli occhi sul pavimento in terra battuta.
Finite le vacanze tornammo casa. Dopo alcuni mesi la congiunzione Fighierà – Corchia, venne trovata ma non da mio fratello e i suoi amici. Quella che doveva essere una festa, per molti si trasformò in una grande delusione. La smania di esplorare i pozzi e i meandri che li aveva legati per mesi di colpo li lasciò andare. La compagnia piano piano iniziò a sgretolarsi.
Mio padre a causa delle precarie condizioni di salute lasciò il suo lavoro prima del tempo. Nonna Gemma lasciò la terra. Mia madre ripose in un cassetto matite e pennelli. Qualcosa iniziava a sgretolarsi anche nella nostra famiglia. (continua…)

 

Franca Giannecchini
 

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