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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
di Claudia Fusani
IL MANIFESTO DEL NUOVO PD

21/1/2023 - 12:57

Il gran giorno del nuovo Pd è ancora un rinvio. Il lodo Letta è un work in progress che riparte dal 2007

Oggi l’assemblea voterà in sostanza il via libera a più documenti, il Manifesto e la Bussola, che andranno ad integrare il vecchio Statuto. La sinistra del partito avrebbe voluto blindare il percorso e fare a meno di “democratico”. Giù le mani dal nome. Soddisfatta l’area Bonaccini. Da oggi i 4 candidati potranno parlare di programmi


IL MANIFESTO DEL NUOVO PD

Il gran giorno è arrivato. Oggi il segretario uscente Enrico Letta e i quattro candidati segretari (Bonaccini, Schlein, De Micheli e Cuperlo), dopo lungo e travagliato confronto, voteranno la nuova Carta dei valori, o Statuto o Manifesto che dir si voglia. Finalmente, si pensa, si fa sul serio. Citando Benigni in “Berlinguer ti voglio bene” possiamo dire che siamo finalmente in quel momento topico in cui il tizio della Casa del popolo, dice: “Basta con la tombola, finisce il ricreativo, principia ad avviare il culturale”. Si fa sul serio, insomma. Quindi con alla mano le cinque schede frutto del lungo confronto del Comitato costituente e gli indirizzi del documento “Bussola”, oggi sapremo chi sarà il nuovo Pd e dove andrà.

Pia illusione. Nulla di tutto ciò. Il “culturale” deve ancora iniziare se è vero, come è vero, che le cinque schede sono, con tutto rispetto, un generico rigirato di buoni, anzi, eccellenti propositi ma nessuno di loro è declinabile in un punto di programma. Ad esempio come si crea lavoro in questo paese, come si garantiscono uguaglianze e pari opportunità agli individui e alle famiglie, come si combatte l’inflazione, come si gestiscono i flussi migratori, come si combatte l’evasione fiscale, quale modello di nuovo fisco-amico, il modello di sanità dopo il Covid, come si tutela l’ambiente e come si garantisce libero accesso alla cultura.  
Nulla di pronto e definito se è vero, come è vero, che oggi Letta, Speranza e i quattro candidati prenderanno questa “bozza”, ne cercheranno una sintesi condivisa e la voteranno in quanto “aggiornamento” rispetto allo Statuto di Veltroni che fu l’atto di nascita del Pd. “Domani ci sarà una qualche votazione – è la sintesi di un senior Pd che ha seguito ogni singolo passo di questa convulsa fase – ma vedrete che in realtà non si voterà nulla perché i documenti presentati sembrano fatti apposta per non dire nulla ed evitare quindi di fare errori”. Siamo in fase di limitazione del danno, altro che giro di boa. Si potrebbe dire che il bello del Pd è anche questo, parlarsi addosso, esercizio creativo di democrazia. Ma non è più tempo di “questa democrazia”. Occorre agire e, soprattutto decidere. L’alternativa è la condanna all’irrilevanza totale.
La Carta dei valori
Diamo qui qualche cenno dei contenuti. Il Manifesto conta un preambolo che si chiama “Filo rosso” e quattro schede. “Filo rosso” parla di “democrazia, orizzonte di emancipazione e libertà, promessa di giustizia sociale, inclusione e uguaglianza”, con solidi canali di partecipazione” e un “modello sociale che trova nel lavoro dignitoso la sua organizzazione”. Sono qui i concetti chiave, identitari: “Difendere la Costituzione, valorizzare la cultura antifascista da cui nasce e impegnarci per una sua compiuta applicazione”. E pensare che la prossima settimana la ministra per le Riforme Casellati incontrerà una delegazione Pd per un confronto sulla riforma costituzionale. A parte dire no, non si capisce quale sia la linea del partito su questo delicato dossier. Il Pd sta facendo il congresso. Dal 24 settembre. “Se divento segretario – ragionava ieri Bonaccini – una delle prime cose che faccio è che non debbano più servire sei mesi per fare un congresso”.
Il sottocomitato “Sviluppo sostenibile, lavoro e imprese” esordisce dicendo che è “tempo di scelte coraggiose” e che “è necessario agire ora, con urgenza”. Sollecita a “cambiare il modello di sviluppo” e che l’unico possibile è “quello capace di coniugare a pieno le tre dimensioni della sostenibilità economica, ambientale e sociale”. Ampio spazio al “ruolo strategico dell’intervento pubblico” e all’”azione complementare strategica di uno Stato regolatore e innovatore”. Il lavoro “o è dignitoso o non è”, quindi salario minino con “una retribuzione che permetta di vivere una vita libera e dignitosa”. La dimensione valoriale irrinunciabile è la seguente: “Le prospettive di sviluppo di un Paese crescono al crescere dei diritti e degli spazi di democrazia”. Ineccepibile. Senza dubbio. Non c’è una riga però che dica come si fanno tutte queste belle cose. “Non è un programma, è la Carta dei valori” è l’obiezione.
La scheda “Italia in Europa e nel mondo” sancisce che “il futuro dell’Italia è in Europa” e punta a creare “un ecosistema globale e pacifico, giusto e solidale”. Sì alla difesa comune e ad una politica estera comune. Non è chiara però la posizione rispetto alla globalizzazione. Ha fallito? C’è ancora? E’ cambiata? Come va gestita? Anche altri temi sono neppure citati: ad esempio il fine-vita, la paternità e maternità delle coppie omosessuali, la guerra, le armi, i termovalorizzatori, sicurezza. Il sottocomitato “Diritti, welfare e coesione” comincia così: “Il cuore della nostra identità è la lotta contro tutte le forme di disuguaglianza, economiche, sociali, di genere, territoriali, generazionali” seguono due pagine di eccellenti propositi. La scheda “Democrazia e Partecipazione” riprende molti passaggi di “Filo rosso”. Qui compare la parola chiave tanto discussa e criticata: “il Nuovo Pd che guarda da sempre, in una logica di vocazione maggioritaria, agli interessi dell’intero sistema democratico”. Per il resto, la scheda è un altolà deciso a tutti gli autoritarismi e affronta il nodo della rappresentanza politica.
Dieci pagine di massimi sistemi, Inconfutabili, inattaccabili. Senza offesa per nessuno, inutili. Non perché siano scontati, nulla lo è in democrazia, ma perché sono l’aggiornamento di quelli del 2007.

“Bozza interna riservata. Non divulgare”
La frase è scritta in calce ad ogni foglio di ogni scheda. Uno zelo forse eccessivo. Che succede quindi oggi? “L’obiettivo - spiega un altro senior Pd che segue i lavori del Comitato e di area Bonaccini – è che questo documento sia in aggiunta a quello di Veltroni e che sia definito base di discussione anziché una conclusione”. Lo stesso Bonaccini spiega: “Io penso che sia opportuno tenere fermo e tener fede al Manifesto dei valori con cui il Pd è nato. Il contributo di domani deve essere, dopo un'elaborazione di un centinaio di personalità, un contributo alla discussione successiva perchè noi dobbiamo fare un congresso e dobbiamo rispettare la volontà dei cittadini, mi auguro tantissimi, che verranno a scegliere chi dovrà guidare il Pd e un gruppo dirigente nuovo”. Manca più di un mese ai gazebo che dovranno eleggere il nuovo segretario. E ogni giorno nascono comitati locali in favore di Bonaccini segretario. Ieri si sono aggiunti “Per una nuova sinistra” e “i sindaci del circondario imolese per un partito laburista e riformista”.
Gran dibattito sul nome
E’ stata comunque una vigilia di attesa e tensioni. Gli staff dei vari candidati si sono confrontati e, con la mediazione di Letta, pare si sia arrivati alla soluzione del giallo su come approvare il manifesto del Pd. Il documento dovrebbe essere votato “con un dispositivo” che in sostanza lascerebbe aperto il Manifesto a contributi successivi. Una mediazione tra chi, come l'area Bonaccini, non vuole essere vincolata ad un testo ante-voto congressuale (cioè prima si elegge il segretario poi si parla del resto) e chi, come Articolo 1, vede nell'approvazione del Manifesto la precondizione per un possibile rientro nel Pd. “Per noi quella Carta (cioè la cinque schede, ndr)  è condivisibile”, dice Arturo Scotto, coordinatore di Articolo 1 che domani sarà presente all'assemblea con 80 delegati, “40 uomini e 40 donne”.
Oltre a Roberto Speranza, garante con Letta, del percorso costituente. Tuttavia, se per i bersaniani quel testo funziona, Bonaccini non la vede proprio così e lo definisce “un contributo di un centinaio personalità per quanto autorevoli” ma c’è un congresso alle porte e “andrà rispettata la volontà di chi viene a votare per un nuovo segretario e nuovo gruppo dirigente”. Bonaccini vuole anche, soprattutto, “tenere fermo il Manifesto dei Valori con cui il PD è nato” e dove il  liberismo non è una bestemmia. In questa chiave va letto anche il nuovo tentativo del vicepresidente del Pd Giuseppe Provenzano (mozione Elly Schlein) di cambiare nome e metter e nel cassetto Pd. “Sul nome del partito avrei voluto un referendum tra gli iscritti. Lo chiederemo al prossimo gruppo dirigente” ha detto Provenzano. Un dibattito già aperto tempo fa con la proposta del sindaco di Bologna di Matteo Lepore, di cambiarlo in “Partito democratico del Lavoro”. Bonaccini chiuse già allora. Ieri lo hanno fatto altri due candidati, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli.
“Rispetto l'opinione Provenzano, ma credo che davvero adesso – ha detto il governatore dell’Emilia Romagna - i nostri elettori preferiscano che gli spieghiamo i contenuti di una proposta per il Paese piuttosto che discutere del cambio di nome. Posto che peraltro a me il nome Partito democratico piace”. Il professor Stefano Ceccanti, ex deputato, area Bonaccini cita le parole di Giorgio Tonini a Orvieto che la scorsa settimana ha ospitato la due giorni di Libertà Uguale, il think tank di Enrico Morando. “La parola democratico diventa oggi sostantivo che unisce mentre prima era solo un aggettivo legato ad un’altra identità, socialisti democratici, cattolici democratici, liberal democratici”. Definirsi “democratici”, insomma, oggi vorrebbe dire compiere quel percorso di unione e fusione di parti che finora si sono solo sommate. E male, per giunta. “Cambiare nome oggi – aggiunge Ceccanti - potrebbe significare un andare indietro. Teniamoci caro allora questo bel nome”. 
Il lodo Letta  
In serata in lavoro di mediazione del segretario Letta produce il testo del Dispositivo che dovrebbe essere approvato oggi in assemblea con la Nuova carta dei valori/Manifesto. “L’Assemblea Nazionale Costituente approva il Manifesto per il Nuovo Pd “Italia 2030”. Il Manifesto – si legge - è la base politica della nascita del Nuovo Pd e l’Assemblea invita circoli e aderenti a una mobilitazione nazionale finalizzata a diffonderne e discuterne i contenuti. Il Manifesto non ha effetti abrogativi della Carta dei Valori elaborata al momento della fondazione del Pd.
L’Assemblea decide di tenere aperta la fase costituente valutando la necessità di un tempo più lungo da offrire ai territori e agli organismi dirigenti eletti dal Congresso per approfondimenti ed eventuale introduzione di nuovi modelli organizzativi”. Fonti del Nazareno precisano che il “lodo Letta” è da leggersi in una duplice prospettiva: “Il punto centrale è che il voto dell'Assemblea sarà definitivo e cogente. Il Manifesto diventerà a tutti gli effetti la base politica della nascita del nuovo Pd, quindi senza secondi tempi, dilazioni o annacquamenti”. Il secondo passaggio fondamentale è che “il Manifesto non ha effetti abrogativi su quello del 2007 di Veltroni, frutto del contributo, tra gli altri, di giganti del pensiero democratico come Scoppola o Reichlin. Quella Carta è e rimane scolpita nella storia del Pd”.
Se proprio si deve tentare una sintesi, è un pareggio e la partita resta tutta da giocare. E, alla fine, cosa sarà il Pd lo decideranno gli elettori che andranno ai gazebo e sceglieranno il nuovo segretario e il suo programma. Di cui, da oggi, potremo forse iniziare a parlare.

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22/1/2023 - 9:39

AUTORE:
Giovanni Cominelli

Forse i lettori di queste pagine incominceranno a dar segni di noia, visto che la vicenda congressuale di un partito politico, che si chiama PD, viene ripetutamente messa al centro di un’attenzione riflessiva. Ci sono tuttavia molte buone ragioni per continuare ad occuparsene.

La prima, decisiva, è che la democrazia liberale si fonda, quanto al sistema politico-istituzionale, su una maggioranza liberale e su una opposizione liberale. Se l’opposizione si sbrindella, la base materiale oggettiva della dialettica democratica diventa più fragile. Se poi viene meno l’opposizione liberale, si profila un sistema politico, caratterizzato dal primato di un’opposizione illiberale – quella del M5S – e da una maggioranza, in cui di liberale c’è solo Forza Italia, mentre di sicuro non è liberale la Lega ed è dubbio che lo sia il partito di Fratelli d’Italia, dentro il quale convivono forze liberal-conservatrici e forze decisamente illiberali: insomma, le forze populiste e sovraniste sono egemoni tanto nella maggioranza quanto nell’opposizione. Si tratta di una potenziale rivoluzione nel nostro sistema politico, che, per il momento, non mette in discussione le istituzioni democratiche, ma certamente ne mina le basi culturali, quali sono state progettate e espresse nella Costituzione del ’48. Donde i timori non solo dei conservatori che, nel nome della Costituzione “più bella del mondo”, si oppongono a qualsiasi riforma costituzionale, relativa alla Seconda parte della Costituzione, ma anche di coloro che, ben convinti della necessità di rafforzare l’istituzione-Governo, temono che la riforma presidenzialista finisca per diventare lo strumento e il grimaldello di una disruption della democrazia liberale, fondata sulle libertà, sul pluralismo, sulla tripartizione classica dei poteri e, soprattutto, sul loro “check and balance” reciproco.
Dunque, l’esistenza di un’opposizione liberale è un tassello fondamentale dell’equilibrio politico, culturale e, infine, istituzionale della democrazia italiana.

A quanto risulta dagli attuali sondaggi, la maggioranza dell’opposizione è nelle mani del M5S. Che non è “liberale”. È un partito di ispirazione ideologica totalitaria quanto alla teoria e, soprattutto, quanto alla pratica delle istituzioni.
Resta, dunque, il PD. Riuscirà il PD a diventare una forza liberale? Il dibattito congressuale si è infilato in un labirinto di -ismi metafisici, ma Arianna si è dimenticata di portare il gomitolo di lana. Intanto, è da registrare la vicenda surreale del Manifesto dei valori, la cui stesura è stata fortemente richiesta da Art. 1 – cioè da Bersani, D’Alema, Speranza e qualche altro – quale condizione per rientrare “nella casa del padre” (in minuscolo!). La confezione del Manifesto ha offerto l’occasione ad un’ala massimalista interno/esterna di rimettere in discussione, in realtà di tentare di affondare, il Manifesto dei valori, che è stato alla base della fondazione del PD nel 2008. È stato facile rintuzzare, più sul piano procedurale che su quello sostanziale, questa pretesa. Al momento in cui scriviamo non è dato di conoscere la nuova elaborazione.
Dietro le schermaglie procedurali stanno, come è intuibile, questioni irrisolte di sostanza.

Ed è qui che affiorano gli -ismi: marxismo, socialismo, laburismo, liberalismo, ecologismo …
Eccetto l’ultimo, di conio relativamente recente, tutti gli altri -ismi hanno iniziato la loro carriera tra la seconda metà dell’800 e gli inizi del ‘900. Che siano “antichi” non significa affatto che la tavola di valori che sta a loro fondamento sia obsoleta. Quell’-ismo bimillenario che deriva da “cristiano” sta ancora alla base del liberalismo, del laburismo, nel suo filone fabiano, e del socialismo di fine ‘800. Ma in politica non si campa solo di tavole di valori. Si possono fare molti seminari e molte prediche sui valori come tali, ma fare un partito richiede un passaggio ulteriore: quello della proposta di scelte programmatiche.
A quanto pare, nel PD la discussione non è ancora arrivata in questa stazione – quella delle scelte programmatiche – perché è ancora ferma alla Stazione Termini, non avendo ancora scelto quale binario: liberalismo, il socialismo, il laburismo, l’ecologismo? …

Che significa “liberalismo”? Per una parte notevole del PD equivale a “ordoliberismo” socialmente classista, a “individualismo” selvaggio. Ci sono poi quelli del “liberalismo/capitalismo inclusivo”, che prendono atto che l’economia di mercato è la condizione “naturale” della storia umana, almeno finché non si entri in quella plaga, intravista profeticamente da Isaia 11, 6-8, nella quale “il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo giacerà con il capretto… e un bambino li condurrà” e che Karl Marx ha descritto con una certa aria sognante e consapevolmente utopica nei Manoscritti economico-filosofici. “Socialismo”: significa eguaglianza, forte intervento dello Stato-Welfare e dello Stato imprenditore in economia. Una sorta di “capitalismo politico”, secondo il modello ex-sovietico e attualmente cinese, però temperato dalla democrazia elettorale. Si richiama al collettivo sociale e alla veneranda “classe operaia”. Nella versione alla Schlein, questo tratto della sinistra comunista storica viene largamente piegato verso un neo-individualismo dei diritti, che, nonostante le apparenze, è largamente fuori asse rispetto a quella sinistra, che, per esempio, Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria, vorrebbe rappresentare. Nella versione Schlein il tutto è spruzzato di ecologismo radicale. Ultimamente sono arrivati anche “i laburisti”, che mettono al centro il lavoro e i lavori. Ne abbiamo già scritto, rilevando i limiti di questa impostazione.
Così il PD si attorciglia in un circolo vizioso: le troppe opzioni ideologiche impediscono di condensare i discorsi in un programma omogeneo di governo, quale gli elettori si attendono. Pertanto, il PD si raccoglie in un’opposizione che non è più di governo, ma è di pura rappresentanza di ogni voce, di ogni grido e di ogni istanza o interesse che provengano dalla società civile. Il gioco è già più cinicamente e meglio praticato da Conte. Ma il mancato approdo ad un Programma fondamentale impedisce la scelta di un’univoca opzione ideologica.
Prospettive? Siamo in un tempo in cui i partiti si possono liquefare. È lo stadio che precede l’evaporazione.