Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Alle pendici del monte che divide il territorio pisano da quello lucchese, più collina che monte, ma sembrava tale a quelli che vivevano nella vasta pianura verso il mare, abitava, in una casa all'incrocio della salita che portava a Ripafratta con la via pedemontana che la tradizione popolare diceva essere la primitiva e originale via Aurelia, una famiglia di vecchianesi: padre, madre, due figlioli e due cavalli.
Il vecchio era curvo per la scoliosi giovanile che gli faceva comodo quando andava a fare funghi od asparagi, perchè vedeva meglio essendo più vicino al terreno; la donna aveva invece la schiena curva per l'artrite dal troppo lavar panni nel fosso davanti casa, estate e inverno, e che riusciva comoda per la zappatura di quel pezzettino di terra riarsa e pietrosa dietro la casa.
I giovani figli andavano anch'essi sempre a testa avanti come se avessero inciampato in qualche cosa o avessero in braccio un gran peso che li sbilanciava. Erano stati invece gli scapaccioni dei genitori che avevano allungato il collo ai ragazzi; patte date per il loro bene ed il cui risultato li aiutava ora nel loro lavoro.
I cavalli erano una coppia di bestie macilente e spelacchiate, abituate a mangiare solo falasco e cannelle che avevano tagliuzzato loro tutta la mucosa intestinale, tanto da far fare loro palle di sterco rossastro che si confondeva con la rossa terra di monte.
La volta che mangiarono del buon fieno caduto da un barroccio che andava a Lucca, stettero male due giorni ed insozzarono tutta la stalla con una diarrea verde pisello.
Tutti li chiamavano Alzai, nome quasi irriverente nei loro confronti, loro che erano alti nemmeno un metro e mezzo. L'appellativo non era un soprannome, ma la spiegazione e la giustificazione del loro mestiere.
Tutti a turno, un po' meno ora i vecchi che erano addetti solo a tenere i cavalli, legavano grosse funi ai barchetti che, carichi delle grosse e bianche pietre del monte, risalivano il fosso che partiva dalle cave per immettersi dritto nel lago, aiutati da stanga, cavallo e bambini.
I navicellai avevano caricato i barconi con i massi della cava situata proprio sopra al luogo da dove partivano i materiali che sarebbero poi finiti nel nuovo molo di Viareggio.
I cavatori spaccavano le grandi pietre chiare di Legnaio, i barcaioli stivavano i sassi fino al limite del bordo del navicello e la famiglia Alzai tirava il barcone fino al lago, dove la rudimentale vela di tela, che aveva preso un bel colore rosso mattone dopo essere stata bollita per qualche ora in una tinozza insieme alla scorza di pino tritata fine fine per aumentarne la robustezza, poteva finalmente prendere il bel vento lucchese per fare arrivare il carico a destinazione.
Dall'argine i cavalli ed i ragazzi tiravano il barcone, dove il timoniere aveva il solo compito di tenere la barra tutta sotto sforzo perchè la prua non si incagliasse nelle cannelle della riva.
Il lavoro di stanga e di barra, per trasposizione, diede probabilmente il nome al canale che partiva dalle cave; non è vero, come dicono gli storiografi pisani, che tale nome, Bara e non Barra, derivasse, come già era successo per il paese di Malaventre, dalla mortalità altissima della popolazione di quei luoghi malsani.
I due bambinotti aiutavano la grossa barca nel primo tratto del viaggio, tirando quasi più della pariglia dei magri cavalli, ai quali i vecchi nascondevano le verdi e tenere foglie di cardo infilando in testa una balla da cui uscivano solo le orecchie, e con un'apertura per l'occhio sinistro, perchè la fame non li distogliesse dal loro lavoro e non togliesse il diecino di guadagno.
Tutto il bordo del canale dove andavano arrancando a testa bassa quei ragazzi, dove raspavano i cavalli del tiro, dove correva dietro dietro l'altro barcaiolo che doveva pagare l'opra, dove aveva scavato camminando avanti e indietro la famiglia Alzai, tutto doveva essere libero perchè la grande fatica del cavatore e del navicellaio fosse in qualche modo alleviata.
Nessun possidente dei terreni prospicienti al fosso poteva impedire che gli Alzai svolgessero la loro opera e nel moderno diritto civile vi è una parte riguardante le servitù, che appunto limita gli ostacoli e permette il transito lungo i corsi d'acqua: la servitù di via alzaia.
I ragazzi misero su famiglia con due giovani alte e sode, figlie di cavatori, che avevano conosciuto quando portavano ogni giorno il pranzo ai padri che lavoravano nella cava dietro la casa.
I cavalli morirono arrivati al lago, dopo uno sforzo che li aveva sfiniti per cercare di disincagliare un navicello da una gerba che si era staccata dalla riva e che aveva bloccato la prua di un barcone.
Furono buttati in acqua perchè sarebbe stata troppa fatica fare una buca in quel terreno molle, nero e instabile.
Il molo dì Viareggio fu terminato, le pietre non le voleva più nessuno, i carichi di falasco che venivano fatti nel viaggio di ritorno, col vento di mare in poppa che aiutava il rientro dei navicelli colmi all'inverosimile tanto che sembrava sul lago navigassero le pagliaia delle corti dei contadini, avevano sempre meno richiesta dalle vetrerie del pisano che usavano l'erba del lago per impagliare i fiaschi.
Le fabbriche di seggiole compravano ora in maremma o al sud la rafia per l'imbottitura, materiale più morbido e lavorabile del duro e tagliente falasco nostrano.
I navicelli avevano sempre meno impiego, la Bara si riempiva di cannelle, di tife, di parapotte, di gigli d'acqua e di marobbio più velocemente di quanto potessero toglierne i cavatori e i navicellai che avevano tutto l'interesse di tenere aperta una via verso il mare.
Il traffico per via d'acqua calava a vista d'occhio, mentre prendeva voga quello per via terra, attraverso la salita di Radicata verso la Lucchesia.
I barrocci percorrevano il lungomonte carichi di mercanzie che divenivano sempre più numerose e pesanti.
I barrocciai si fermavano a bere alla fontanella che sgorgava ai piedi della salita, si ingozzavano di quell'acqua ferruginosa che andava a finire nella Barra attraverso una fossa chiamata Barretta, dove non vivevano pesci, rane o chiocciole, ma dove le erbe crescevano rigogliose, cariche di sostanze nutritive che l'acqua portava e che le rendevano sempre più color marrone, perchè fissavano con la loro peluria tutto il ferro portato dalle viscere del monte di Legnaio.
Qualche sonoro rutto e qualche puzzolente scureggia erano il solo risultato di quelle bevute, ma lo stomaco e l'intestino, liberi ormai di tutte le bolle d'aria, avevano ora bisogno di essere riempiti con qualcosa di sodo.
Le due ragazze sostavano fuori dall'uscio a bighellonare e chiacchierare e gli uomini che passavano chiedevano sempre più insistentemente se avessero avuto qualcosa da mangiare.
Così, piano piano, da una fetta di pane si passò alla frittata di asparagi o di punte di vitalba, dalla zuppa avanzata del giorno prima al fiasco del vino e la povera casa dovette assumere il ruolo di osteria.
I barrocciai aumentavano, aumentava il vino versato, aumentavano i piatti preparati e, dopo il terzo fiasco e la seconda portata, diminuiva la voglia di riprendere il viaggio e ancor più quella di aiutare il cavallo nella salita.
I mariti della cuoca e della cameriera, i fratelli Alzai, avevano da tempo voltato le spalle alla Barra, rialzata la schiena per guardare in alto verso Radicata, erano cresciuti di età e di statura, ora erano alti quasi quanto le mogli, ma prendevano ancora tante patte, sempre per il loro bene.
Il mestiere del tiratore era rimasto loro nel sangue e, con la stessa fune dell'alzaio usata per i navicelli, con due cavalli nuovi e pasciuti, comprati con i primi proventi dell'osteria, ripresero ad aiutare chi aveva bisogno di una spinta.
Il nuovo tiro, anche se con lo stesso risultato e scopo, aveva un altro nome: sull'acqua era alzaio e in terra trapelo.
Quando la voce della calda accoglienza che le donne di Legnaio davano ai clienti e quando queste, in un momento di voglia di fare pubblicità al loro commercio, misero su una bella targa con una traballante scritta, allora cominciarono i problemi
"Si Man Gia, si Be ve e Si meTTe anche TRA peli".