Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Epilogo
29 giugno 2021.
Sono passati dodici anni dalla strage ferroviaria di Viareggio. Quel giorno ero a Lucca con mia mamma. Oggi il lucchetto della bicicletta fa click. Il sole non disegna ombre sull’asfalto mentre varco il cancello di ferro, sento la ghiaia che rotola sotto ai miei sandali, mi fermo. Silenzio. Calpesto una striscia di mattonelle e ritorno a sentire i miei passi sulla ghiaia. Destra ancora mattonelle, sinistra la ghiaia, ogni sassolino bianco riflette la luce del sole. Un gabbiano garrisce e se ne va.
Sono arrivata.
Un’ape si posa sui girasoli nani, un paio volteggiano sulle piantine di tagete giallo e arancio, a destra una pianta di lavanda sporge i suoi fiori oltre il confine. Una farfalla podalirio fa un ampio giro e se ne va. Mi chino e tolgo l’unica foglia ingiallita dai girasoli, mentre l’ape continua a succhiare il nettare. Mi allontano di un metro quando il suono della campana indica la mezza.
“Bella si, bella” a stento sento la mia voce.
La farfalla podalirio ritorna, si posa sul fiore di lavanda, inserisce la spirotromba e il nettare passa dal fiore a lei.
“Sei in buona compagnia” dico con lo stesso tono di voce.
Mi avvicino, mi piego sulle ginocchia e guardo la foto in basso.
“Te e il quadro. Avevi dipinto Papa Luciani a figura intera” la mia voce si confonde con il ronzio dell’ape “Quel giorno, dopo avere passato in rassegna tutto l’armadio, hai indossato un sotto giacca nero, come la gonna. Hai scelto una camicia rosa fuxia con dei disegni arabescati e al collo ai messo una lunga collana di perle di fiume. Il giorno prima ti avevo fatto la messa in piega. La mattina dopo eri in cucina che preparavi il caffè d’orzo”
“Così mi durano di più” hai detto indicando i bigodini ricoperti da una retina azzurra.
“Un velo di crema colorata, un tocco di matita marrone a ridisegnare le sopracciglia, giusto un filo di mascara, continuavi a sbattere gli occhi” “È perché non sei abituata” ti ho detto. Tu hai riso. Ho passato il rossetto rosa sulle tue labbra e ho appoggiato un fazzoletto di carta per assorbire la parte lucida, non volevi che si notasse troppo. Ti sei girata verso lo specchio, ho tolto i bigodini e ti ho pettinata. Ho scattato alcune foto con la mia Nikon e te le ho fatte vedere sul display: “Una di queste la voglio sulla mia tomba” hai detto. Ho riso insieme a te. Era il 25 settembre del 2013. Hai scelto la foto e gli abiti che avresti indossato quell’ultimo giorno. Ogni tanto cambiavi idea per gli abiti e mi aggiornavi. Ma la foto no! volevi quella. All’inizio ci stavo male, non mi veniva naturale scegliere i vestiti per il tuo funerale, poi ho imparato a cavalcare l’onda per non farmi travolgere” L’unica nuvola passa davanti al sole, le api seguono la farfalla che abbandona la pianta di lavanda, le rincorro con lo sguardo. Continuo il mio soliloquio sussurrato:
“Mi avevi parlato come doveva essere quel giorno una decina di anni prima; me lo ricordo bene. Quella mattina avevo girato la chiave nella serratura, le luci erano spente, mentre l’acqua batteva sui vetri della finestra come a voler entrare “Dormi?”, dissi a voce alta e mi affacciai alla porta di camera. Ti feci la stessa domanda e accesi la luce. “Spegnila mi dà fastidio” dicesti senza girarti. “Non ti senti bene?” chiesi, mentre l’acqua scivolava sul vetro della finestra “Non ho voglia di alzarmi” Anche la sera prima al telefono mi eri sembrata strana, come se avessi fretta di riattaccare. “Forse sta guardando la messa in televisione” pensai, guardando l’orologio appeso alla parete della cucina. Non ricordavo mai l’ora in cui la trasmettevano. Feci un altro tentativo, spensi la luce e girai intorno al letto, avevi gli occhi chiusi” “Non ho voglia di alzarmi” ripetesti. Io andai in cucina a preparare il caffè d’orzo. Dopo un tempo che non ricordo ti alzasti “Sento che tra poco lascerò questa terra, devi sapere come voglio essere vestita quel giorno” dicesti. Quella frase, fece lo stesso effetto della fetta di polenta, che da piccola lanciai nella padella con l’olio bollente. Ma lì, non c’era il nonno Alfonso a proteggermi. Mi bruciasti il viso e le parti del corpo coperte. Ascoltai in silenzio le tue direttive, il caffè d’orzo diventò freddo. Non ne parlammo per mesi. Poi, tornasti sull’argomento. Con te era come stare su un ottovolante. Capii che dopo ogni discesa iniziava la risalita. Dovevo spingerti in salita e rallentare la tua corsa in discesa. Ogni tanto, confondevo la salita con la discesa. Mi perdevo anch’io”.
La nuvola come è arrivata se ne va. Mi alzo e faccio tre passi indietro per vederla meglio; è nera, forte come il materiale con cui è stata forgiata e per anni è rimasta dietro l’armadio nella camera di mia mamma. È una croce di ferro alta un metro che ha disegnato lei: un tralcio di rose unisce la destra alla sinistra e scende in basso, ha fatto spuntare i fiori dove nostro Signore aveva i chiodi e la corona di spine. E per parlare con il suo linguaggio; ha detto una bugia bianca per farla realizzare. Non poteva dire a suo nipote Dario poco più che adolescente che dal nonno ha ereditato la passione per la lavorazione del ferro, dove la voleva collocare. Per questo motivo s’inventò una storia: “Ho un’amica molto religiosa che la vorrebbe collocare in un angolo del suo giardino”. Gli ha mostrato il disegno e ha continuato “mi ha lasciato un acconto per il materiale” da una busta bianca ha sfilato alcune banconote “non ti preoccupare per la cifra, la mia amica non ha problemi finanziari. Gli artisti devono dare valore alle proprie opere” ha ribadito.
Una scena da Oscar che mi ha raccontato Dario.
Nei giorni successivi lui ha comprato il materiale, l’ha tagliato a misura, forgiato e battuto. Ha piegato uno a uno i petali per formare le rose che poi ha saldato nei punti indicati sul disegno.
Inspiro l’aria con il naso, la trattengo alcuni secondi e la libero piano insieme alle parole:
“Buon compleanno Mamma, oggi avresti compiuto novantotto anni”.
Franca Giannecchini
p.s. la redazione della Voce del Serchio comunica che, per desiderio delle ideatrici di questo "Spazio Donna", Paola Magli e Matilde Baroni, i lavori devono essere inviati a questa mail:
paoladonna99@gmail.com