In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Le zanzare avevano sempre pinzato.
Una di loro, del genere degli "Anopheles", diffondeva, con la puntura, una malattia che provocava febbri altissime, anemia e in molti casi la morte.
Le popolazioni che abitavano nei luoghi umidi, i più adatti alla prolificazione dell'insetto, attribuivano la malattia alla combinazione dell'acqua salata con quella dolce, tale da provocare la putrefazione della vegetazione interna e quindi un'aria cattiva: la mal-aria.
Intorno al lago di Massaciuccoli si creò quindi una zona così insalubre e pericolosa, che le comunità sotto il dominio lucchese inviarono a colonizzare quella terra ergastolani e condannati a morte.
Anche dalla parte del lago che guardava Pisa ci furono epidemie e fughe di popolazione, perchè la quasi totalità degli abitanti soffriva di diarrea, vomito e dolori all'intestino, sia per la presenza delle zanzare che per l'ingestione di acque inquinate.
I superstiti si radunarono nella chiesa costruita al limite della zona paludosa e pregarono giorni interi per un miracolo che alleviasse la loro sofferenza.
Una mattina i paesani furono svegliati da un fragore assordante di milioni di ali che battevano volando sul padule.
Era uno smisurato stormo di uccellini di colore cinerino, con la testa nera e una grande macchia nera sotto la gola che, in un batter d'occhio, mangiarono tutte le zanzare e tutte le larve che erano nel raggio di chilometri.
Così, come erano venuti, se ne andarono e se ne andarono anche i dolori di pancia e le malattie di stomaco.
Quegli uccellini che, in altri momenti e in altri luoghi, si cibavano di miglio, si chiamavano appunto "migliarini di padule" e MIGLIARINO si chiamò, in loro onore, un nuovo paese costruito lì vicino, su un terreno più asciutto.
La località vicino alla chiesa si chiamò invece MALAVENTRE, in ricordo di quei mal di pancia.
Questa è la versione fantasiosa della nascita del nostro paese.
Quest'altra invece è quella storica.
Le città nascevano sulle rive dei fiumi perchè con l'acqua e dall'acqua derivavano servizi, vita e commerci.
Il nostro paese aveva un fiume, era nato sulla riva di questo meraviglioso corso d'acqua che dava sia lavoro ai cavatori di rena, di una qualità unica nel suo genere, che ai traghettatori, sia pesci a tutti.
Non aveva però oltrepassato il greto per edificare sull'altra sponda, quello era terreno di altra gente, di un altro popolo.
La consistenza della popolazione poi non richiedeva un’edificabilità che andasse oltre le poche case lungo l'argine destro del fiume, costruite molto tempo fa, le attuali via di Piaggia e via delle Pratavecchie.
Pisa era lontana sull'altra sponda e nessuno aveva intenzione di andarci.
La vicinanza di prati per la fienagione e l'allevamento del bestiame, prati coltivati principalmente a miglio (da qui forse deriva il nome MIGLIARINO), di boschi per l'approvvigionamento di legna e per la caccia, del fiume pescoso e limpido, facevano un'isola felice di questo piccolo paese, tanto ricco di meraviglie naturali da far decidere alla famiglia Borghese di spostarvi la propria residenza dalle colline fiorentine dove cominciava ad esservi troppo inurbamento.
Il paese crebbe perpendicolare al fiume, essendo ora una parte della popolazione alle dipendenze della famiglia Borghese-Salviati che aveva creato stabilimenti per la lavorazione dei pinoli raccolti nella locale immensa pineta, dei bachi da seta allevati con le foglie dei gelsi messi a confine di ogni campo coltivato, del tabacco che aveva trovato nel nostro clima e nei nostri terreni un habitat ideale.
I pastori diventarono contadini, i contadini allevatori e tutti ebbero casa e un lavoro sicuro sotto un padrone senz'altro non peggiore di altri.
Vennero edificate le scuole e la chiesa, il circolo e la fattoria e con il benessere nacquero le prime invidie.
Il Duca Scipione, senza volerlo e senza saperlo, accrebbe e rese definitiva la divisione del paese.
La costruzione del ponte e della via che avrebbe collegato Pisa a Viareggio tagliò in due Migliarino, creando quello di qua e quello di là.
La via fu chiamata Aurelia in memoria di quella antica scomparsa e che passava lungomonte. Il ponte stradale ebbe, dopo cinquant'anni, un fratello per far passare il treno della linea Genova-Roma ed il terrapieno, fatto dalle ferrovie per scavalcare il Serchio, aumentò la divisione delle case e dei paesani che cominciarono a chiamare Migliarino "di qua e di là dal ponte", indicando con questo nome l'apertura del sottopasso ferroviario.
Quelli che vivevano nella parte sud-ovest del paese continuavano ad essere, in maggior parte, dipendenti della tenuta Salviati, mentre gli altri, a nord-est lasciavano il lavoro nei campi per metter su negozi di varia natura, lungo la strada che richiamava sempre più traffico di mezzi e di viaggiatori, oppure per essere assunti in fabbriche od uffici della città ora vicinissima.
Il treno, la Sita, la Lazzi portavano a Pisa sempre più gente per lavorare e il divario, fino allora solo geografico, diventò alla fine anche politico.
Quelli che erano sotto la cappella dei duchi, dovevano per forza essere conservatori come volevano il padronato e la chiesa, e gli altri, allora, si opposero come liberi pensatori.
Le ideologie cambiarono nome e si arrivò quasi, con le dovute eccezioni, a fare un taglio netto fra democristiani di là e comunisti di qua, senza però avere, le due frazioni e fazioni, personaggi carismatici alla Don Camillo e Peppone.
C'erano il Teatro del Popolo, ritrovo di socialisti vecchia maniera, ed il Circolo ACLI, dalla parte della tenuta, per i più chiesaioli.
Si facevano partite di pallone fra i differenti gruppi di giovani di qua e di là, come si sarebbero poi fatte fra scapoli e ammogliati, fra cornuti e segantini.
C'erano i gemelli Astolfo e Giovanni di qua e Antonio e Armenio di là, i fratelli Toti da una parte ed i Barsotti dall'altra e duri e buoni da tutte e due.
C'erano due cinema, uno per parte, la Lazzi faceva diversi biglietti, con costi differenziati, per chi scendeva a Migliarino Ponte o Migliarino Chiesa, due parroci, due chiese, due scuole e se quelli di là avevano le suore che tenevano i bambini fino a sera, quelli di qua avevano più vicino il Comune per fare i "fogli".
Togno del Lazzeri e Spinacino si equivalevano in bugie come il Palla e il Magli in forza.
Di cimitero però ne bastava uno solo e fu fatto di là, ma senza, questa volta, l'invidia di nessuno di qua perchè, se un trasporto funebre è già brutto di suo, figuriamoci come lo è uno che deve traversare l'Aurelia a passo lento.
Nel 2000, quando si predica l'unione del mondo intero e l'abolizione delle frontiere, esiste sempre un paese che, per sentirsi unito deve aspettare che vada via la corrente al semaforo della sua vera strada.
n.d.a Quando dico che la nuova “fu chiamata Aurelia in memoria di quella antica scomparsa e che passava lungomonte” dico una semi verità in quanto la n°1 da Roma arrivava solamente fino a Pisa dato che le “fosse papiriane” della laguna costiera, che formerà poi il lago di Massaciuccoli, impedivano il transito diretto lungo mare, dirottando il viaggiatore verso Lucca, la Garfagnana e addirittura il modenese per ritornare sulla costa a Luni. La strada che da qui fu “allungata” la famosa primitiva Aurelia sotto il console di allora, Emilio Scauro, fu chiamata Aurelia emilia scauri fino al confine francese.
Migliarino nel ’900 aveva una sola via per andare verso nord, una via che partiva dalla Piazza Mazzini (dove ora vi è il semaforo) e si innestava a Luni su quella detta precedentemente e come fu chiamata? Logicamente (!): Via Emilia! Ne fanno fede i numeri civici dei rimessaggi cavalli, ristoranti e caffetterie, che partono da Baroncini Arturo “Caffè, vini, liquori trattoria” via Emilia n° 9 e poi ancora Franceschi Giovanni- “Caffè dei passeggeri” al n° 14 e al n°18 Corucci Maddalena “Caffè, vini, liquori trattoria”.
In verità la via Aurelia, lasciata Pisa, prese il nome di Via Pietrasantina, nome rimasto nella toponomastica pisana e nelle carte antiche e le cui tracce si trovano nella tenuta di Migliarino.
In seguito la strada si innestò sul proseguimento della Firenze mare che voleva andare a Viareggio e di conseguenza il tratto Migliarino- Versilia fu la nuova Aurelia fino a Ventimiglia.
(le notizie dei numeri civici sono tratte da “Almacoc”, di Piero Chicca, che ha raccolto in un interessante libro numerosissime notizie sul comune di Vecchiano).