Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Avevo versato il caffè nella tazza che avevo comprato il giorno prima, era bianca con un fiore di calendula dipinto a mano. Guardavo dalla finestra le piccole gemme che ricoprivano i rami dell’acero campestre, mio padre l’aveva piantato nel 1968 per regalare un po’ d’ombra alla casa nelle calde giornate estive.
Lui ci aveva lasciati nel 1981, l’anno dopo mia mamma era andata a vivere nell’appartamento di mia nonna e anche mio fratello aveva cambiato casa. Ero rimasta io a curare l’acero.
Il trillo del telefono mi fece rientrare in casa.
“Ciao, no! Per il momento non ho trovato niente, certo che mi interessa. Domani? Dobbiamo essere lì alle 9? Va bene, passo io a prenderti alle 8.30”.
Avvisai mia mamma.
Alle 8.25 ero davanti a casa sua. Lea aprì la portiera e si accomodò sul sedile della mia Fiat 500 L Cabrio gialla.
Dopo una ventina di minuti entrammo con l’auto lungo il vialetto, gli alti pini indicavano la strada. Ai lati le fioriere erano state svuotate e i sacchi di terriccio erano pronti per riempirle insieme ai nuovi fiori allineati a destra. Gerani di ogni colore e qualità, quelli edera avrebbero ricoperto il bordo dei vasi ricadendo e i verticali avrebbero riempito le fioriere rotonde in mezzo al giardino. Sulla sinistra ancora nei contenitori c’erano piantine di tagete gialle e arancio. In disparte una fila di salvia splendens.
Lea mi fece strada. La porta di legno divisa in quadri rettangolari con i vetri spessi era socchiusa, con una leggera pressione della mano l’aprì. C’era un bancone in legno e dietro al bancone tante chiavi attaccate, un uomo entrò nella stanza da uno stretto corridoio a destra. Era tozzo, gambe e braccia corte, la testa appoggiata direttamente sulle spalle, se aveva il collo era sparito dentro il colletto della camicia azzurra chiusa da una cravatta blu. Allungò una mano verso di me, piccola anche quella, con le dita corte. Quell’uomo aveva le sembianze di un criceto. Mi liberai velocemente della sua mano. Lea aveva già fatto conoscenza con quella mano viscida e fredda giorni prima.
Mi spiegò in cosa consisteva il lavoro: cameriera ai piani. Dovevo iniziare da subito insieme alle altre ragazze con le pulizie generali, nell’edificio avevano fatto dei lavori di manutenzione e gli imbianchini stavano finendo la sala da pranzo.
“La paga viene calcolata a ore che possono variare secondo le necessità. Per le pulizie iniziali verrà calcolato un extra. Domattina conoscerà mia moglie” e prima di salutarci ripeté un paio di volte la stessa frase “Non c’è il giorno libero, né liquidazione né tredicesima”.
Accettai.
Era la primavera del 1987 e io ero la donna più felice del mondo. Finalmente avevo trovato un lavoro, un lavoro che mi avrebbe impiegato per almeno cinque mesi. Riaccompagnai Lea e mentre rientravo a casa iniziai a fantasticare su cosa mi sarei comprata con il primo stipendio, uno scaldabagno elettrico e subito dopo uno stereo.
Mancavano pochi minuti alle otto quando il giorno dopo arrivai sotto casa di Lea
“Parcheggia, andiamo con la mia” mi disse
Conobbi le altre ragazze che facevano parte dello staff. Giuliana, Mara, che insieme a Sara aveva lavorato lì anche l’anno prima. La prima si occupava di servire le colazioni, la seconda cameriera ai piani
“Mia moglie scende un po’ più tardi” disse l’uomo criceto. E si avviò nel ripostiglio dove erano custodite le scope, bastoni e i detersivi per le pulizie. Lo stavamo per seguire quando la porta si aprì e insieme al vento di mare entrò lei:
“No, ecco, scusate, io di solito non faccio tardi ma stamani…” la borsa le scivolò dalla spalla e si rovesciò sul pavimento, con un gesto della mano rimise tutto dentro e si rialzò “stamani io caio un c’era verso d’uscì di casa: il cane, il gatto, eccheccazzo!”
La sua voce era squillante come un ruscello alpino, una testata di riccioli rossi le cadevano scomposti sul viso e sulle spalle. La figura esile si muoveva leggera come mossa da fili invisibili. “Io sono Mirella” disse con un sorriso che le scoprì i denti bianchi come il marmo.
Eravamo tutte potevamo cominciare.
Poco prima di uscire, l’Uomo Criceto ci chiamò per presentarci la moglie: naso piccolo e rientrato, occhi grandi che si sporgevano in avanti a un passo dal cadere, le rughe della fronte aggrottate una su l’altra. La Signora assomigliava a un Carlino.
Per due giorni passai a prendere Lea.
“Domani andiamo con la mia” disse entrando in auto.
L’uomo Criceto ci aveva assegnato i compiti, io dovevo pulire i bagni del secondo piano, Mirella si sarebbe occupata delle camere. I letti li facevamo insieme.
Era passata da poco l’una quando incontrai Mara che saliva al terzo piano.
“Ha detto la Signora di finire la stanza e mettere in ordine, poi possiamo andare”.
Insieme a Mirella scesi nella Hall per firmare il registro. Segnavamo le ore fatte e accanto mettevamo la nostra firma, poi la Signora metteva la sua. Una dopo l’altra arrivarono tutte.
“Lea è rimasta sopra?” chiesi a Mara
“Lea è già andata” disse la Signora imboccando lo stretto corridoio a destra.
Mi avviai nel vialetto per vedere se era già in auto
“Lea se n’è andata” disse piano Mara passandomi accanto, un attimo ed era fuori dal cancello in sella al suo motorino. Solo la sera dopo cena Lea mi rispose al telefono.
“Mi dici cosa è successo? Matta, chi è matta? Fammi capire. Ti ha detto di andare al terzo piano insieme a Mara, poi ti ha detto di scendere al primo piano con Sara e di aiutare Giuliana a togliere i contenitori dei fiori lungo il vialetto. Hai parlato con il marito? Dai, domani prova a parlarci. Non torni? Dormici su, domattina passo a prenderti. Se ci ripensi mi chiami”
Lea non mi chiamò.
Il giovedì Santo arrivarono i primi clienti e ci vennero assegnati i piani. Sara il primo, io il secondo e Giuliana il terzo. Mirella prima di aiutare Mara a servire le colazioni puliva insieme a me la veranda. Chi finiva per prima aiutava le altre.
“Prendila con calma Mirella, se continui con questo ritmo non ci arriviamo a settembre” le dissi una mattina. Nelle sue mani la scopa era un vortice.
“Io sono fatta così” mi rispose
I giorni passavano, uno dopo l’altro.
Uscita dal lavoro mi ero fermata al mare, alla spiaggia libera di Motrone. Un tuffo, un po’ di sole e via verso casa. Dopo l’Incaba misi la freccia a sinistra ed entrai nel parcheggio. Marco era impegnato con un cliente, mi guardai un po’ intorno alla ricerca di quello che mi serviva, né grande, né piccolo. Era rimasto l’ultimo nello scaffale più alto, Marco senza bisogno di salire sullo scaleo prese lo scaldabagno da trenta litri.
“Ti do una mano a portarlo in macchina?”
“Grazie Marco, ce la faccio” il cliente entrando lasciò aperta la porta per farmi uscire.
Per un paio di mesi avevo usato l’acqua calda della stufa a legna per fare la doccia, la mettevo in un recipiente sul bordo della vasca e con un contenitore più piccolo mi bagnavo. Quel gesto mi ricordava le vacanze passate in tenda lungo i ruscelli alpini. (continua…)
Franca Giannecchini