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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Domenica 7 Luglio mercatino di Antiqua a San Giuliano T
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Ripafratta, 12 luglio
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
di Alessandro De Angelis
Effetto Meloni. Il Pd risponde col populismo di Schlein

27/2/2023 - 15:20

Effetto Meloni. Il Pd risponde col populismo di Schlein

E’ una cesura radicale nella storia del Pd: c’è un prima e un dopo. Bonaccini ha sbagliato tutto ma questa vittoria è un rigurgito identitario post-sconfitta ed è figlia della semina giallorossa. Ma per Schlein non è un plebiscito, si ritrova comunque ostaggio delle correnti

Per la prima volta nella storia del Pd il voto delle primarie rovescia quello degli iscritti. E già, detta così, la novità è clamorosa: il segretario, che ha preso la tessera del Pd per l’occasione, cosa che non fu consentita qualche lustro fa a Beppe Grillo, lo scelgono “i passanti”, avrebbe detto Massimo D’Alema con baffuto sarcasmo.

Appuntiamoci questo spunto di riflessione su cosa sia, oggi, un partito. Magari, prima o poi una riflessione si farà. Un non iscritto eletto leader e votanti esterni: e già qui c’è un grumo di populismo vestito di nuovismo. Diciamo le cose come stanno: questo voto che ha portato Elly Schlein ad essere la prima segretaria donna del Pd, non è un normale avvicendamento. E’ una cesura radicale nella storia del Pd: c’è un prima e un dopo, per quello che significa.


Va bene, Bonaccini – una Caporetto per lui – ha sbagliato tutto. Sarà quella sindrome emiliana stigmatizzata già da Palmiro Togliatti, per cui chi era di quelle parti poteva fare solo l’amministratore, ma tant’è: come Bersani alle politiche nel 2013, interpretando l’usato sicuro, impostò la campagna elettorale per amministrare il vantaggio, e andò a sbattere, così al governatore dell’Emilia, sicuro di vincere, senza pathos ha perso. Sarà anche l’ombra lunga di Renzi che lo ha accompagnato per tutto il congresso. Sia come sia: il governatore dell’Emilia non ha dato un’anima al riformismo, facendolo apparire non come un cambiamento radicale, ma come mera amministrazione dell’esistente. La sua Caporetto è non solo nei numeri, ma nella geografia del voto che registra la sua resistenza nel Sud, trasformista e clientelare, a fronte di una sconfitta nelle grandi città, a partire dalla sua Bologna e dalla Firenze del suo primo supporter Dario Nardella, passando per Milano.
Però c’è qualcosa di più profondo in questa vittoria della Schlein, espressione, finora, di un certo radicalismo parolaio e radicale. Molto incentrato sui diritti, poco sulla questione sociale: più Zan che Melenchon, in un paese in cui Cipputi e il ceto medio piegato dalla crisi e dalla globalizzazione ha votato la destra e non è stato oggetto del peggior congresso del Pd, come qualità del dibattito, dopo la peggiore sconfitta dal dopoguerra. C’è, innanzitutto, il “tema donna”, figlio dei tempi. In un certo senso è l’effetto Meloni, prima donna ad aver rotto il tetto di cristallo dell’accesso al potere dell’altra metà del cielo, per cui Schlein rappresenta l’anti-Giorgia, “donna che ama una donna, e non per questo è meno donna”. Meccanismo perfetto e scorciatoia narrativa per cui nell’anti-melonismo c’è una nuova vittoria del melonismo, intesa come effetto emulativo e – è politicamente scorretto dirlo – subalternità culturale.
C’è poi, ed è un tema antico, la reazione emotiva, per cui – è accaduto spesso nella storia - il populismo di destra crea un riflesso di radicalizzazione a sinistra, tutto identitario e anche un po’ minoritario, per cui ci si stringe attorno ad antiche certezze: l’antifascismo, il ritorno ad antiche, quanto rassicuranti, parole d’ordine, insomma, la sinistra che torna ad essere sinistra. Walter Veltroni, recentemente, proprio attorno a questo verbo ha sviluppato una riflessione molto interessante, nella sua ultima uscita pubblica: la sinistra non deve “tornare” ma “deve andare”, esplorare, osare, coniugando valori e innovazione, se vuole ambire a una vocazione maggioritaria. Qui vince la sinistra che “torna”, al sicuro di parole d’ordine di cui ancora si attende la declinazione in politiche e proposta di governo. E c’è, nella sua vittoria, il raccolto della grande semina dell’esperienza giallorossa degli ultimi anni che già sta trovando sfogo in una opposizione tutta tarata sull’agenda Conte più che su una autonoma agenda del Pd, inteso come baricentro riformista in grado di essere il perno di una alternativa di governo: reddito di cittadinanza, super bonus, zero idee sulla crescita, pacifismo di maniera.
Per come nato - l’idea di coniugare riformismo e radicalità, l’idea di parlare al paese partendo da un ancoraggio politico e sociale, insomma il Lingotto come simbolo del lavoro e dell’impresa che innova, della migliore cultura del movimento operaio e dell’azionismo – quel Pd non c’è più. La vittoria di Elly Schlein rappresenta uno slittamento verso un certo populismo radicale che proietta interamente il Pd nel rapporto esclusivo con i Cinque stelle, si vedrà se in posizione egemone o subalterna. Il primo dossier da tenere d’occhio sarà proprio la collocazione internazionale sull’Ucraina.
E tuttavia c’è una questione fondamentale, nei rapporti di forza che hanno sancito la vittoria. Elly vince, e questa è una novità dirompente, ma non è un plebiscito. Con numeri assai meno esigui – Zingaretti vinse col 67 per cento – ci sono stati segretari messi sulla graticola dalle correnti. Col 54 per cento, la neosegretaria, che si è giocata finora la carta del “cambio tutto” è inevitabilmente esposta al negoziato interno, e non solo con chi la sostiene. All’inizio avrà buon gioco a vestire i panni della “rottamatrice”, poi partirà il solito film – caminetti, “gestione collegiale”, negoziati nella distribuzione delle cariche - e lì si vedrà il peso delle correnti che l’hanno sostenuta. Se sarà solo una foglia di fico dei gattopardi all’insegna del “cambiamo tutto per non cambiare nulla” o avrà una forza autonoma. E anche di quelle correnti che non l’hanno sostenuta destinate a diventare oggetto delle lusinghe del quarto polo quindi con un grande potere interno per evitare una scissione.

 
Ma al di là delle nomenklature c’è il tema del popolo. Un milione di votanti è un risultato decoroso, per come è messo il Pd, ma è il minimo storico della partecipazione ai congressi, specchio anch’essa della crisi, che squaderna il tema della rappresentanza, diciamo così anche se la parola è abusata, del popolo riformista, che è stato a casa o che considera Renzi respingente ma la proposta di Elly Schlein poco convincente. A lei spetta il compito di non perderlo. Lì si misurerà la sua vittoria: se allarga, incarnando una proposta di cambiamento e una speranza, sarà vera vittoria ma dovrà trasformare le bandiere in una politica; se stringe perché “meno siamo, meglio stiamo” la sconfitta sarà senza appello. E, ancora una volta, avremo raccontato un congresso non risolutivo nel rapporto con la società italiana. Le prossime primarie sono già alle Europee. Un anno e qualcosa.

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27/2/2023 - 23:52

AUTORE:
Tommaso

Questo è del Post. Post sbronza ?
La peggiore sconfitta dal dopoguerra... per chi, per il PD ?
Ammazza, è nato nel 2007...
Vai De Angelis, prendi il volo, l'infinito ti aspetta...