Evento davvero memorabile a san Giuliano Terme il 25 luglio a partire dalle ore 18, all'interno del Fuori Festival di Montepisano Art Festival 2024, manifestazione che coinvolge i Comuni del Lungomonte pisano, da Buti a Vecchiano."L'idea è nata a partire dalla pubblicazione da parte di MdS Editore di uno straordinario volume su Puccini - spiega Sandro Petri, presidente dell'Associazione La Voce del Serchio - scritto da un importante interprete delle sue opere, Delfo Menicucci, tenore famoso in tutto il mondo, studioso di tecnica vocale e tante altre cose.
Il Leccio, lunga vita e dignità.
Robusto, sempreverde. Circonda e arricchisce tutta questa bella terra mediterranea. E il significato di questa pianta è presto detto: lunga vita, perseveranza, dignità, maestosità, e forza. Tanta forza.
Uno stemma della Repubblica Italiana ha proprio come simbolo un ramoscello di Ulivo per identificare la pace e un ramoscello di Leccio per simboleggiare la forza. Una forza buona. Una forza che lavora per la pace.
La mazza di Ercole era un nodoso ramo di leccio!
Il Leccio, detto anche Elce, in una leggenda venne accusato di tradimento nei confronti di Gesù in quanto accettò di offrire il suo legno per la costruzione della dannata croce quando tutte le altre piante del regno si erano invece rifiutate. Ma San Francesco non ci mise molto ad innalzare di nuovo la beltà e la bontà di questa pianta e il suo vero significato. Il Leccio offrì il suo legno semplicemente perchè capì che doveva sacrificarsi per la redenzione così come lo stesso Cristo.
Io ne avevo uno grandissimo nel mio giardino, era un ombrello verde che dava sollievo alla famiglia e riparo a una lunga serie di uccelli finché non venne attaccato da una dannata famiglia di xilofagi che in pochi anni lo ha portato alla morte. A nulla sono valse le iniezioni di veleni, la chiusura dei fori di espulsione della “segatura”, le larve del cerambice si nutrivano di linfa e andavano sempre più in alto e quindi necessario il suo abbattimento.
Ma i guai vengon sempre a coppie!
Sull’angolo della casa, vicino ad una pianta di rosa, vent’anni fa piantai un ramoscello della seconda pianta più caratteristica del nostro bosco, ho detto bosco non pineta, dopo il leccio: una periploca greca, pianta, non liana come sembra da come si comporta.
Dioscoride, intorno al 30 d.C., per primo incontrò e studiò la Periploca, forse in Anatolia oppure lungo il Peloponneso. Nei suoi appunti la chiama Apocino e così rimane descritta per secoli (e secoli e secoli e secoli) tra le pagine del suo erbario: “Simile alle serpi, ripiena di un succo candido oppure giallo in grado di uccidere uomini, cani e pantere”.
I botanici del Medio evo attribuirono proprietà venefiche al suo succo bianco che producono i rami, ma gli etruschi lo usavano come ricostituente (droga?).
Un’altra studiosa scoprì da resti fossili che la periploca esisteva prima della ultima glaciazione, più di dodicimila anni fa!
La pianta si trovò così bene nel suo nuovo habitat “temperato” che crebbe a dismisura, le sue volute si impadronirono di un cavo teso fra casa e leccio e fiori e baccelli e rami e spire e il “serpente” salì fino alla cima del morente sostegno e non avendo più appoggio ridiscese a terra e risalì creando una selva di rami spira ed io godevo della sua vista.
La fine del leccio ne ha decretato la morte e gli amanti son caduti al suolo abbracciati come non mai.
Maledetta cerambice Thanatos migliarinese!
Ed ora basta piagnistei e scherziamo un poco.
E ti pareva, dirà qualcuno!
Ho trovato alcune notizie del leccio sulla rete, cosa che faccio raramente, le cose o le so o no, e il blog era di una certa “Topina della Valle argentina della Liguria di ponente”, molto ben scritto e ricco, ma qui la coincidenza che mi sta seguendo da tempo si riaffaccia con una domanda chiubesca:
il mio prato prima era il giardino di un sultano, ora è un camposanto di un pensionato!
?