Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Facendo violenza alla prassi della cadenza mensile degli articoli sulla storia di personaggi che hanno attraversato Pontasserchio, anticipiamo il quinto appuntamento con la narrazione di Stefano Benedetti.
E lo facciamo con le vicende di una Donna, non famosa, non di famiglia nobile, ma semplice, povera, di cui non si legge nei libri di storia, ma soltanto attraverso il freddo linguaggio degli atti amministrativi.
Attraverso Amabile ripercorriamo la vita di stenti, di sacrificio, di perdite che era la vita per tutti, a parte i pochi privilegiati, e di tutti i giorni, non mille anni fa, come sottolinea Stefano, ma di cento anni fa, quasi l'altro ieri. E doppiamente difficile per le donne.
Uno spaccato significativo delle condizioni della gente "normale" a quei tempi, certamente migliorate moltissimo, ma anche lasciando irrisolti molti aspetti delle differenze di allora.
Quella descritta era la realtà quotidiana di Pontasserchio, ma possiamo estenderla a qualunque luogo di campagna di quella che comunque era una Nazione che possiamo considerare avanzata nella media mondiale. E soltanto cento anni fa
Sandro Petri
ATTRAVERSO IL TEMPO(Capitolo quinto)
AMABILE MELANI
di Stefano Benedetti
(Tempo di lettura 12 minuti)
Dopo aver affrontato in un precedente capitolo la biografia di una donna proveniente dalle classi più alte della società del tempo, una aristocratica come Lodomilla Lyda Prini Aulla, questa volta ci accingiamo invece a vivere la nostra storia vicini ad una donna, una nostra antenata paesana in questo caso però della classe più umile, quella classe che viveva a quel tempo come la stragrande parte della popolazione, per dirla in una parola precisa, viveva nella “miseria”.
La prima cosa che ci sorprende e che con la quale dobbiamo convivere nel nostro excursus è il fatto che a distanza di quattro, cinque generazioni e per intenderci le nonne delle nostre nonne, quindi non cinque secoli fa ma solamente poco più di cento anni fa, la nostra società fosse afflitta da così tanto malessere sociale, da così tanta povertà in termini materiali e di conseguenza morali e dove l’emancipazione e tutto ciò che per noi oggi risulta un fatto normale in termini di benessere e di convivenza, in termini di diritti sociali e di intervento statale, allora non esistesse affatto.
Iniziamo da un giorno felice allora, domenica 16 marzo 1879, tutti i preparativi sono pronti, una lunga tavolata è apparecchiata per una trentina di persone in attesa che arrivino gli sposi dalla Chiesa di San Martino, paese della sposa, a piedi ovviamente, con tutta la processione degli invitati al seguito.
(Riportiamo per dovere di verità che comunque dall'Atto di Matrimonio, si rileva il solo rito civile).
Siamo a Vecchializia, in via d’Arena al numero 4, non sappiamo esattamente dirvi la casa esatta, ma con alta probabilità in una delle due corti che tuttora si trovano vicino alla biforcazione che porta, venendo proprio da Vecchializia, a Strada o a Sant’Andrea in Pescaiola.
E’ una bella giornata primaverile arrivata in anticipo, per fortuna non è freddo, si pranza all’aperto e in cucina le massaie hanno già pronto il cappone, la pastasciutta al ragù e l’arrosto di maiale cucinato con le patate e i fiaschi di vino impagliati sono già allineati sulle tovaglie bianche, pronti ad essere passati di mano in mano.
Amabile Melani, la nostra sposina, è una bella moretta diciottenne a malapena, vestita ovviamente in abito bianco con i capelli fermati da una leziosa passata di bocci in fiore sempre bianchi e con un leggero mantello di chiffon sulle spalle.
Nata nel 1861, l’anno proprio dell'Unità d’Italia da babbo Giovacchino, bracciante e mamma Palmira Landucci, atta a casa, purtroppo già deceduta qualche anno prima, quando Amabile e i suoi fratellini erano ancora ragazzotti.
Il padre, appena la bimba arriva ai 18 anni (la maggiore età a quel tempo era ai 21) la da subito in sposa a un bravo ragazzo del posto che abita proprio a Vecchializia, anche lui bracciante agricolo, nato nel 1856, ha ventitré anni ancora da compiere.
Si chiama Sestilio Guasticci Dell’Innocenti, figlio del capoccia di casa, Giovanni (1821-1914), bracciante e di Elvira Monacci, casalinga.
Non lasciamoci trarre in inganno dal doppio cognome, non ci troviamo certo di fronte ad una famiglia abbiente, anzi, affatto, il censimento del 1881 ci ricorda che i Guasticci abitano in 4 persone in due stanze, (gli sposi sono andati a vivere con il padre di Sestilio ormai già vedovo) i maschi lavorano la terra e la donna, l’unica presente, Amabile, lavora al telaio, è una tessiera, sono tutti nullatenenti (quindi sono in affitto) e analfabeti, non sanno nè leggere, nè scrivere.
Il fatto che abbiano un doppio cognome, il motivo è presto detto, un maschio in linea retta (potrebbe già essere lo stesso Giovanni) è di sicuro un Trovatello, lasciato forse presso la Ruota di Pisa in via Santa Maria e marchiato all’anagrafe dal cognome Degl’Innocenti, uno dei tanti cognomi che veniva dato “d’ufficio” ai bambini abbandonati e senza genitori.
Allora, l’abbandono di un bambino appena nato era certamente una piaga sociale e una consuetudine abbastanza consolidata, solamente a Pisa in quel tempo venivano abbandonati in orfanotrofio una media di un bambino al giorno, (nei primi 4 mesi del 1854, furono ben 112 i bambini lasciati nella Ruota) adagiati magari avvolti in una coperta, nelle mani pie di chi poi dopo l'orfanotrofio, li avrebbe allevati.
La povertà faceva da padrona e questo era il motivo principale dell’abbandono insieme ad altri fattori, quali figli concepiti e nati fuori dal matrimonio o da ragazze madri, oppure nati presso famiglie messe al bando per motivi politici e poi costrette ad emigrare all’estero che non avrebbero a quel momento avuto risorse per mantenerli con sé.
Eccoli, gli sposi per mano stanno entrando in corte, immaginiamoci il tradizionale lancio dei confetti bianchi in un giorno felice, spensierato, dove a fine pranzo si sarà mangiato anche le paste cotte in forno con la farina a velo sopra e si sarà anche ballato sull’aia con l’organino che suonava fino a notte.
Non ci sarà stato di sicuro il viaggio di nozze, abitudine non ancora entrata nella “cultura” delle famiglie povere; solo i ricchi potevano da sempre permettersi viaggi e vezzi di questo tipo.
Felici e spensierati però non erano affatto i giorni di quel nostro tempo.La condizione sociale delle classi più povere, che erano il 90% della popolazione, (di cui il 75% non sapeva leggere e scrivere) era veramente critica in quegli anni 80 del secolo ‘800.
Gli uomini erano dediti quasi esclusivamente al bracciantato (di Sestilio, ce lo dice sempre il censimento del 1881, sappiamo che lavorava fuori del Comune, con ogni probabilità lavorava quindi la terra in San Rossore o in Coltano) e la paga giornaliera per quel tempo era circa 1 lira al giorno o poco più, si lavorava dall’alba al tramonto, sei giorni su sette e si guadagnava quel poco solo se si era effettivamente al lavoro che spesso era a chiamata giornaliera, in quanto non esistevano permessi, contributi, ferie, malattia retribuita, sistema pensionistico.
In condizioni difficili, ma comunque meno marcate, era invece una parte della popolazione che viveva di una piccola attività propria, quali bottai, barrocciai, zoccolai, falegnami e baristi o commercianti di generi commestibili.
Tanto per avere un parametro in quegli anni un kg. di pane comprato al forno costava circa 40 centesimi di Lira e tanto per capirci una giornata di lavoro nei campi valeva neanche tre kg di pane.
Il pane della fame, quindi.
Alla classe povera ormai inizia ad esser chiaro in quegli anni che bisogna darsi una mossa e a Pontasserchio già in quel decennio iniziano a nascere le prime organizzazioni sindacali che aprono la strada a quello che sarà poi, sempre pur duro, il futuro della classe operaia.
Nel 1883 viene fondato il “Circolo Repubblicano Giuseppe Nathan” (dal nome del rivoluzionario di origini ebraiche e grandissimo amico di Mazzini e morto di recente) con idee mazziniane e il Ponte ne ha una grossa tradizione, invece già nel 1880/81 nasceva anche il primo Fascio Operaio (non lasciamoci trarre in inganno dalla parola fascio, il fascismo arriverà solo tra 40 anni), organizzazione di lavoratori di sinistra che inizia a fare quadrato e a mettere ammortizzatori sociali in ballo, i quali, autotassandosi mensilmente, creano fondi a disposizione di lavoratori ammalati o che si infortunano sul lavoro e per le loro famiglie, oppure che scioperano; iniziano anche a formarsi i primi loro rappresentanti, che saranno ovviamente subito schedati (spesso come sovversivi) da Questura e Carabinieri.
Bisogna anche rilevare il fatto che a Pontasserchio, negli anni 70, fu persino creata una associazione di tipo anarchico-insurrezionale (che ovviamente fu sciolta in quanto sovversiva dal Prefetto di Pisa) tanto per rimarcare, se ce ne fosse bisogno, il carattere e la vocazione “paesana” piuttosto portata ad impegnarsi sia politicamente che fattivamente su piani e lotte sociali al limite della legalità costituita.
Inoltre nel 1888 a Pontasserchio nascerà anche un’altra organizzazione, i lavoranti “da cima”, ossia un'associazione di lavoratori specializzati (di quelli che stavano in “cima” alle liste di chiamata, da cui deriva il detto “non sei una cima..”) che si dà uno statuto molto all’avanguardia per il tempo. Si legge ad esempio all’articolo 13 del regolamento: “...si deve fare propaganda contro quella resistenza che non è atta a migliorare la condizione dei lavoratori e persuadere i padroni che è finito il tempo dei servi della gleba e dei salari e delle mercedi irrisorie.”, da queste parole sembra quindi tutto molto chiaro.
E le donne? Le donne lavoravano a casa, facevano tanti figli (di solito nella media uno ogni tre anni, per poterli meglio gestire, e indice del fatto che esisteva comunque una certa contraccezione cosciente) ma in quegli anni a Pontasserchio si era instaurato un fattore nuovo, il telaio. Erano nate infatti le “tessàndore” o “tessiere”, (poi chiamate tessitrici) che avevano iniziato a lavorare in casa o in uno scantinato adiacente o addirittura nella stalla delle vacche con un telaio per tessere stoffa, fornito da un padrone in comodato d’uso.
Ed erano tantissime come Amabile a farlo.Amabile si alzava all’alba, preparava il caffè latte a Sestilio, e dopo che lui andava (a piedi) al lavoro, non prima di aver velocemente rassettato la camera, si metteva a lavorare al telaio.
A Pontasserchio ce n’erano un bel po’ (erano di proprieta’ della Famiglia Paoletti la maggior parte, nei paesi limitrofi invece era la Famiglia Nissim che deteneva il monopolio) ed il lavoro consisteva nel “fabbricare” lenzuola e coperte.
Il telaio era ovviamente tutto mosso a mano (non c’era ancora illuminazione nelle case a quel tempo, e neanche l’acqua corrente) col piede si muoveva tutto il meccanismo e con l’estensione del braccio (72 cm era la larghezza-tipo idonea al braccio di una donna, infatti le lenzuola e le coperte tradizionalmente erano alte 210 cm, ovvero tre altezza cucite insieme) si muoveva la “liccia” e quindi si tesseva trama e ordito e più si andava svelte (ecco il termine gergale “allicciare”) e più il lavoro compariva e più si guadagnava. Poco.
Nel 1865, cioè pochi anni prima, le donne "impiegate" al telaio erano 126 a Limiti, 81 a Pappiana, 84 al Pontasserchio, veramente tante rispetto a una popolazione meno di metà di quella attuale.
Un telaio che lavorava una giornata intera e quindi non si fermava quasi mai, (per questo ci si dava il turno eventualmente con mamma o con la suocera anziana o con addirittura le bambine di casa, era normale consuetudine il lavoro minorile) si riusciva a tiraci fuori il minimo.
Ogni settimana, quando passava il “caporale” a ritirare il manufatto sempre lo stesso giorno prestabilito e a consegnare i rocchetti del filato da lavorare, la nostra Amabile riusciva a tirarci fuori anche 10 lire settimanali, più del marito, ma di fatto lei faceva due lavori.
Il giorno del matrimonio Amabile (non ve lo avevo ancora riportato e furono attesi i suoi 18 anni compiuti per lo sposalizio) era già incinta di sette mesi, dal vestito bianco non si poteva certo nascondere quel suo bel pancione, infatti a maggio del ‘79 di lì a poco partorirà (in casa, con la balia e senza dottore, come usava allora) la primogenita Elvira con il nome della nonna paterna.
Lieta notizia per poco perché la bambina, cagionevole di salute fin da subito, il 17 novembre dell’anno successivo, purtroppo morirà.
Bisogna rimarcare che al momento dell'Unità d’Italia nel 1861 la mortalità infantile entro il primo anno di vita era del 23,2 %, (il doppio che in Inghilterra e la meta’ in più che in Francia) ovvero un bimbo su quattro trovava morte certa nel primo anno di vita e nel ventennio in questione era scesa solamente al 22,7: un dato enormemente alto e impressionante di quelli da rabbrividire.
Saranno anni duri per la nostra Amabile, di lutto e lavoro eppure nella sua gioventù insieme a Sestilio si affronta; finalmente tenta e ritenta nell’ottobre dell’83, tre anni dopo nasce un’altra femmina, Coltella e onestamente non sappiamo dirvi di più sul motivo per cui venga scelto un nome così insolito.
Il 23 gennaio del 1885, però, in un inverno che immaginiamo freddissimo come non mai per Amabile, a tredici mesi compiuti da qualche giorno, muore anche la piccola secondogenita.
Un dato di fatto è certo, non siamo di fronte ad un campione di famiglia sfortunata o attaccata dal male, perché se andiamo a scorrere le statistiche e gli Atti di Morte del nostro Comune coevi, rileviamo in questi una devastante disarmante normalità; ogni famiglia perdeva uno, due o a volte anche tre bambini in tenera età e non ci sorprenda affatto che l'assetto sociale dalla nostra Pontasserchio a quel tempo fosse molto diverso dall’attuale, ovvero il 35% della sua popolazione aveva meno di 14 anni e solo l’8% ne aveva più di 60 anni.
Tradotto in soldoni, si moriva da giovani (tanto eravamo tanti) e non da vecchi perché non ci si arrivava a esserlo, con una vita media di poco sotto i 50 anni, (ciò se non comprendiamo nel calcolo i bambini; altrimenti se consideriamo nella media ogni “nato vivo” si arriva a un devastante numero medio di aspettativa di vita di solo 14 anni di età!). Terzo mondo diremmo oggi.
Questa volta, e siamo già nel ‘93, Amabile ha 32 anni e Sestilio 37, il motivo della scelta del nome lo sappiamo eccome, mi pare chiaro, perché nasce Garibaldo!
Finalmente il maschio di famiglia, tutti felici e contenti.
Garibaldo morirà a 6 anni nel ‘99, anno fatidico perché lui morì, ma la classe che invece nacque in quell’anno fu la più giovane ad essere mandata al massacro nelle trincee della Grande Guerra che di lì a poco inghiottira’ il mondo.
Potrebbe essere sufficiente per esserci emozionati così tanto ed aver provato compassione umana per la nostra Amabile e la sua famiglia, ma non è finita, pochi giorni dopo la fine del XIX° secolo (e non sappiamo riferirvi se al Ponte ci sia stato un qualche festeggiamento per la fine di un secolo così duro in quel 31 dicembre del 1900) il caso e’ che leggiamo tra i vari Atti di Morte del Comune dei Bagni di San Giuliano: “L’anno millenovecentouno, addi venticinque di Gennaio in Pontasserchio a ore sei di oggi, nella casa posta…. è morto Guasticci Sestilio di anni quarantaquattro, bracciante…"
Oddio!, vedova e senza figli, con il suocero vecchio in casa. Sola, Amabile, ha appena compiuto 40 anni e perde, non sappiamo la causa del decesso, il suo amato marito.
Non è che ci volesse molto, non serviva scomodare TBC, tumori o Vaiolo, bastava una semplice rosolia, oppure un morbillo presi in età adulta o una infiammazione alle vie aeree, tipo pertosse o una polmonite o il tetano a spedire un giovane adulto in buone condizioni di salute, direttamente all’altro mondo.
C’era un solo Dottore in paese, purtroppo non c’erano vaccini, non c'era profilassi, non c’era una farmacia, non c’era un ospedale se non arrivandoci in due ore sdraiato sul pianale di un barroccio sgangherato in una strada piena di buche.
Questo era quel mondo e a questo punto la vita si fa veramente dura e triste per la nostra protagonista che si ritrova vedova e senza un sostentamento.
L’era dei telai sotto casa volge al tramonto inesorabile in quei primi anni del ‘900, infatti iniziano a sorgere per molteplici motivi le fabbriche; l’evoluzione nella meccanizzazione e l’elettrificazione vanno a incentivare il raggruppamento della produzione e della manodopera in opifici attrezzati che consentono una pianificazione e un controllo più attento della filiera (e delle operaie) che renderà più profittevole per il datore di lavoro la produzione.
Amabile farà a questo punto una scelta precisa, tornerà di nuovo ad abitare a San Martino e deciderà, come si diceva allora, di “portare in fondo” il vecchio padre Giovacchino in quanto rimasto solo perché gli altri figli erano andati nel frattempo ad abitare nella Lucchesia e uno addirittura emigrato in America.
Questa donna farà di nuovo una mossa di vita che la porterà a sacrificare ancora una parte dei suoi anni; il padre, a settantaquattro morirà in casa la vigilia di Befana del 1908.
Ancora un altro salto nella vita ci vuole perché c’è bisogno di un sostentamento e di un futuro immediato per la nostra Amabile; a 48 anni una donna è troppo anziana per andare a lavorare in fabbrica, saranno assunte infatti per la maggior parte ragazze giovani che apprenderanno più in fretta una specializzazione alle nuove macchine industriali della Nissim, della Calamini&Modigliani, della Pontecorvo (poi Marzotto), che un vecchio telaio a mano non aveva assicurato ad Amabile negli anni duri di Vecchializia.
Amabile allora si sposa per la seconda volta!
Siamo alle soglie della Grande Guerra, le nuvole all’orizzonte cominciano a diventare scure di un futuro imminente e disastroso e allora nel 1911 convola di nuovo a nozze.
Questa volta immaginiamo solo per comodo, solo per reciproca sistemazione, come era d’uso allora e non solo allora, ovviamente lasciandosi andare lontano dal paese natio, che non avrebbe “accettato” di buon grado una vedova risposata e senza più abito nero, pezzola nera e lutto; questa era ancora la mentalità del tempo.
Infatti sposa un anziano signore di quattordici anni più vecchio di lei, Gelasio Pardini di Torre del Lago. Non sappiamo dirvi come avrà conosciuto quest’uomo, magari attraverso un "sensale", una sorta di facilitatore di congiungimenti, come all’epoca usava, oppure attraverso un incontro casuale, questo non lo sapremo mai.
Possiamo però supporre che questo Gelasio, essendo sul Certificato di Matrimonio ben specificato “pensionato”, fosse stato un impiegato con un buon lavoro impiegatizio e avesse avuto un qualche agio reddituale e magari la casa di proprietà, considerando che allora, purtroppo e ci vorrà ancora tempo, il bracciantato e tutti gli altri lavori umili che conosciamo, non avevano affatto un sistema pensionistico che riservasse una qualche tranquillità economica dopo il duro lavoro, nell’ultima fase della vita.
Sarà dopo tredici anni di matrimonio, nel 1924, vedova per la seconda volta; Gelasio muore (abitavano proprio al n. 6 sull’incrocio dell’Aurelia con l’attuale Viale Puccini) e comunque Amabile a 63 anni, immaginiamo (e speriamo) abbia di che, (quel poco) per vivere gli ultimi anni della sua vecchiaia, in fondo a una vita così travagliata.
La Grande Guerra Mondiale nel frattempo aveva mandato a casa i suoi reduci in una Italia talmente ferita, conquassata e povera, da consegnarla nel breve giro di quattro anni, nelle mani del Fascismo e con questo ultimo passo, Amabile, insieme alle speranze dure e deluse dell’Italia, entra anche lei negli anni 30.Nel 1931, per ironia della sorte in estate, quando tutti i suoi tanti lutti erano caduti in inverno, alle 6,30 di mattina, col sole appena sorto all’orizzonte, il 31 di Luglio era un venerdì, nella sua casa di Torre del Lago, la nostra Amabile muore, lascia la vita terrena a 70 anni.
Non possiamo a questo punto non provare un senso di commozione, avendo concluso questo nostro volo radente sul tempo passato, su una vita vera, su una vita vissuta in carne ed ossa, sì certo, di una persona che non abbiamo conosciuto (non abbiamo neanche una foto) ma che nel suo scorrere abbiamo in qualche maniera sentito in parte anche nostra.Non ci resta, al termine di tutto, alla fine di una vita e di un racconto, che scegliere un’ultima immagine che colga il profondo rispetto che una donna come questa esige e merita.
Il giorno del matrimonio a Vecchializia di tanti anni prima, quando arriva il dolce nuziale sulla povera, degna, onesta, tavola imbandita e Amabile afferrando lei, e non lui, la mano dello sposo, con i capelli ancora legati da una corona di fiori bianchi, con gli occhi truccati d’azzurro sfumato, si volta verso un uguale azzurro di cielo e per un attimo fissa, sorridendo, il sole al tramonto che gli si presenta davanti.
Lei che sopravvisse a tutto, alla miseria, al Risorgimento, alla perdita di tre figli e due mariti, al lavoro duro, alla non facile vita di donna di quel tempo, alla Grande Guerra, all’avvento delle camicie nere, al mondo che cambiava, in quell’attimo di primavera del 1879, sotto una pergola d’edera, le passerà per la testa una, non sappiamo quale, immagine felice che sarà una sua speranza.
Noi, le tue speranze, Amabile, le abbiamo già conosciute tutte una per una.
Per la ricerca storico-documentale, un ringraziamento all’amico Gabriele Giachetti.
Ricerca archivistica digitale:
-Archivio Digitale Stato Civile Comune dei Bagni di San Giuliano
-Archivio Digitale Stato Civile Comune di Viareggio
-Ancestry.org
-Familysearch.org
Legenda fotografica:
1-Telaio a mano fine '800
2-Atto di Matrimonio Amabile Melani e Sestilio Guasticci (primo marito)
3-Atto di Morte Elvira Guasticci (prima figlia)
4-Atto di Morte Coltella Guasticci (seconda figlia)
5-Atto di Morte Garibaldo Guasticci (terzo figlio)
6-Atto di Morte Sestilio Guasticci (primo marito)
7-Atto di Morte Giovanni Guasticci (suocero)
8-Atto di Morte Giovacchino (padre)
9-Atto di Matrimonio con Gelasio Pardini (secondo marito)
10-Pubblicazioni Comune di Viareggio Matrimonio Pardini-Melani
11-Atto di Morte Gelasio Pardini (secondo marito)
12-Atto di Morte Amabile Melani