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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

. . . uno sul web, ora, che vaneggia che la sua .....
. . . . . . . . . . . a tutto il popolo della "Voce". .....
. . . mia nonna aveva le ruote era un carretto. La .....
. . . la merda dello stallatico più la giri più puzza. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
Io, e un cancello con le ruote. La storia di un viaggio in bicicletta:(seconda puntata)

22/4/2023 - 11:55


In viaggio
 
13 agosto 1994. Sopra i pantaloni da ciclista indosso la maglietta grigia di cotone con la scritta nera “Star”. Anch’io, come le stelle, esco di casa che è ancora buio. Copro la maglietta con il K-way, l’aria è fresca. Sistemo la borraccia e chiudo il cancello, in mano ho una pila elettrica per illuminare la strada mentre aspetto l’alba.

 

Scendo verso Camaiore, evito lo scarso traffico della variante e passo davanti alla chiesa illuminata dei Frati. Una buca nell’asfalto e la lampada a pile mi salta di mano, fa una piroetta per aria, gira, gira, come il bastone di un giocoliere. Cade a un metro da me, si spezza in due e le pile schizzano via. “Una frontale, mi serviva una luce frontale”, penso. Raccolgo i pezzi di plastica, non trovo le pile. Le vedo sul ciglio della strada, le raccolgo e insieme a quello che resta della torcia, le metto nel marsupio che ho legato in vita. Sono al buio. Getto i pezzi della torcia elettrica nel primo cassonetto e tengo le pile.

Passo da Pietrasanta, attraverso il paese di Seravezza e dopo l’abitato di Ruosina inizio la salita per la galleria del Cipollaio. L’alba ha ormai spinto la notte più in là.


Se verrà la guerra, Marcondiro'ndero... Se verrà la guerra, Marcondiro'ndà... Sul mare e sulla terra, Marcondiro'ndera...Sul mare e sulla terra chi ci salverà?
Salgo lungo la strada canticchiando Girotondo di De Andrè. Quando finisce ricomincio da capo come facevo con il 45 giri in vinile sul piatto dello stereo, non davo il tempo alla puntina di arrivare in fondo che io la riappoggiavo all’inizio. Su quel piatto girava: In The Summertime cantata da me e i Mungo Jerry.
La bicicletta mi ricorda l’infanzia: il gioco. Ora è un’altra cosa, ma il divertimento è identico. Il mio passo mi permette di cantare, e farlo mi aiuta a tenere il ritmo. A farmi compagnia.  
Dopo una sosta alla fontana arrivo alla galleria del Cipollaio. “Devi bere anche se non hai sete e mangiare anche se non hai fame” mi ha detto Edoardo.
La galleria: una bocca nera che mi inghiotte, una bocca che per fortuna ha perso i denti. Indosso il K-way che in salita avevo tolto, mi aspetta un chilometro al buio. Inizio a pedalare piano per dare tempo alle pupille di abituarsi, non c’è la striscia bianca che delimita la carreggiata. Non posso stare troppo a destra le pareti della galleria non sono lisce, ogni tanto alcuni pezzi di roccia si sporgono e come dita leggere mi sfiorano
 “Spostati a sinistra, non troppo a sinistra altrimenti vai in mezzo alla strada, ecco così!” mi dico ad alta voce.
 L’asfalto è rovinato dall’acqua che cola dal soffitto, ogni tanto una goccia colpisce il mio casco. Toc. Avanzo piano, davanti a me filtra un po’ di luce, riesco a vedere meglio le rocce che spuntano dalla parete destra, senza rendermene conto mi sono spostata a sinistra, ritorno a destra ed evito una buca nascosta dall’acqua. Il semicerchio di luce davanti a me si allarga piano mentre avanzo. Sono fuori. Il monte Sumbra mi saluta. “Ciao nasone” gli dico piano per non disturbare.
 
L’Aquilone
Inizia la discesa. Disegno le curve come il pennello di un pittore la tela. La mente si libera: come il sole che assorbe la nebbia in un mattino d’autunno e apre le porte alla fantasia. Canto:
 
Bianco come la luna il suo cappello come l'amore rosso il suo mantello tu lo seguisti senza una ragione come un ragazzo segue un aquilone…
Lungo la discesa vedo il filo dell‘aquilone sfuggito di mano al ragazzo, con la mano sinistra l’afferro tenendo con la destra ben stretto il manubrio. Le ruote si staccano da terra, voliamo nel cielo. Da lontano vedo una nuvola bianca, il vento mi spinge e ci salgo sopra, è compatta come fosse terra battuta. Un sentiero si apre per far passare la ruota della mia bicicletta, faccio forza sui pedali e salto nel cielo azzurro per raggiungere un’altra nuvola. Giro il filo dell’aquilone intorno al manubrio, plano sulla nuvola sotto di me e subito dopo sulla striscia d’asfalto.
Un cartello a destra mi indica che sono arrivata in paese: Castelnuovo di Garfagnana. Passo il paese e mi fermo alla fontana, mangio e riempio la borraccia. Inizio la salita per il passo delle Radici.
Case in pietra che si fanno compagnia una con l’altra. Continuo a pedalare e a salire di quota.
“Ciao, dove vai?” dice l’uomo che mi affianca.
Esito un attimo “Vado all’Abetone” in quel punto la carreggiata si restringe, l’uomo mi sorpassa per permettere all’auto dietro di sfilare accanto. Gli guardo le gambe, i muscoli ben definiti sono ricoperti dalla pelle, non ha un filo di grasso. Rallenta, è di nuovo accanto a me.
“Bello, da dove sei partita?”
“Da Camaiore”.
“Un bel giro”.
Un’altra auto e lo stesso gioco si ripete. L’uomo mi riaffianca.
“L’ho fatto anch’io più di una volta” mi elenca una serie di gite fatte.
 “La più bella?” dice guardando verso di me. “Quella volta che sono salito alla Foce a Giovo, il passo più alto dell’Appennino Tosco-Emiliano”.
L’uomo fa una pausa e guarda avanti, non c’è traffico e la carreggiata è larga.
“Sono passato da Tereglio e su fino al passo. Alla mia bici da strada avevo sostituito i copertoni per limitare le forature, non bucai mai”.
L’uomo beve un sorso d’acqua dalla borraccia.
“Sai come si chiama quella strada?” un altro sorso “Strada dei Duchi si chiama, furono Maria Luisa di Borbone e suo marito Francesco a volerla nel 1818, la strada poi scende nella Val di Luce”.
Un clacson e l’uomo mi sorpassa per poi riaffiancarmi.
Edoardo mi aveva raccontato la stessa storia, lui aveva fatto lo stesso giro partendo da Viareggio. Anche lui come l’uomo che pedala al mio fianco aveva sostituito i copertoni della bici da strada per evitare forature nel tratto sterrato.
“Sono quasi arrivato, il mio giretto l’ho fatto anche oggi” mi dice l’uomo e mi indica con la mano una casa in pietra sulla destra dove l’orto e il giardino si sono sposati, ci sono le dalie che fanno da cornice alle piante di zucchini e i girasoli fanno ombra alle melanzane, alternati ai pomodori ci sono piante di tagete e nasturzi.
“Sono cinquant’anni che vado in bicicletta, non mi sono ancora stancato, io mi chiamo Lucio”.
“Io Franca”.
“Buon proseguimento” Lucio guarda il cielo “speriamo che non piova”.
“Speriamo”. (continua…)


Franca Giannecchini

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