Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Riforma delle mie brame Il presidenzialismo equivoco alla Meloni e un’opposizione che non fa politica
Più che un’opzione realistica, si è ridotto a una parola d’ordine custodita dalla premier, che ora punta invece sul rafforzamento dei poteri di Palazzo Chigi. Il Pd vuole davvero trattare o seguirà i Cinquestelle sull’Aventino?
Già prima che inizi domani la trattativa sulle riforme costituzionali, Giorgia Meloni è rimasta sola col suo presidenzialismo, uno specchio delle sue brame che non le ha risposto che lei è la più bella del reame: è morto sul nascere, il presidenzialismo-quello-vero (elezione diretta del Presidente della Repubblica), come tutte le favole, in una nuvola di vapore, era tutta fantasia.
E lei lo sa. Infatti ora la destra chiama «presidenzialismo» l’elezione diretta del premier sapendo che questo è un terreno diverso e più praticabile intanto perché toglie dal tavolo un problema non da poco come quella della permanenza al Quirinale di Sergio Mattarella, e poi perché dal presidenzialismo vero, cioè l’elezione diretta del Presidente della Repubblica sia nella versione hard americana che in quella soft francese, nemmeno tutta la destra ci sarebbe stata, chi ha voglia di dare troppo potere a «Giorgia».
Giocando sull’equivoco su chi debba essere eletto dal popolo, dunque, Meloni continua a custodire la bandiera del presidenzialismo – parola d’ordine che ha una sua presa sull’opinione pubblica non solo di destra – più in omaggio alla memoria sua e dei suoi seguaci che non come realistica opzione politica e infatti non è a De Gaulle o a Trump che pensa, ma a lei stessa insignita dal popolo del ruolo di guida del governo.
Per avere ancora le mani più libere per fare e disfare, decidere e imporre, tagliar nastri e tagliar corto, sforbiciare i lacci e i lacciuoli che tuttora almeno un po’ imbrigliano la figura del premier che bene o male è sempre stretto nella tenaglia istituzionale Quirinale-Parlamento senza dimenticare che al fondo in lei c’è sempre questa idea del rapporto diretto tra popolo e capo che nella versione culturale della destra assomiglia a una specie di populismo tendenzialmente antiparlamentare.
Caduto sul nascere il presidenzialismo-quello-vero il punto di caduta dunque si sposta sul tema del rafforzamento dei poteri del premier, sia egli/ella eletto direttamente dal popolo o munito di maggiori prerogative nel quadro di un sistema neo-parlamentare. Anche senza elezione diretta la figura del capo del governo sarebbe rafforzata attraverso la sfiducia costruttiva, il potere di nomina e revoca dei ministri, la fiducia del Parlamento solo a lui, una legge elettorale che gli garantisca una maggioranza certa (a proposito: ma nella trattativa che si sta aprendo entrerà anche il tema del superamento del Rosatellum?).
Ma c’è evidentemente una questione tutta politica a monte della trattativa che si apre domani a Montecitorio: le opposizioni vogliono costruire davvero una trattativa o no? Mentre il Terzo Polo è deciso ad andare avanti sulla proposta del «sindaco d’Italia» (anche se ieri Carlo Calenda si è limitato a parlare di «più poteri al premier»), il Pd è davanti al bivio, se cioè seguire Giuseppe Conte in una tattica sostanzialmente «aventiniana» o accettare la sfida di Meloni per uno «scambio politico» che tornerebbe utile a tutti.
Una riforma condivisa imperniata sui maggiori poteri del premier senza elezione diretta (che di fatto discenderebbe naturaliter dal risultato elettorale, ormai i nomi dei leader sono nei simboli dei partiti) con la ragionevole certezza che questa riforma condivisa avrebbe un largo sì al referendum finale. Giacché Meloni non dovrebbe illudersi su una vittoria referendaria su un testo votato dalla maggioranza più il Terzo Polo, ammesso che Calenda e Renzi vorranno su questo rompere l’opposizione.
Ė meglio per tutti, per la premier e per la Schlein, fare la cosa più semplice: fare politica.