Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante.
Il goji è originario delle valli himalayane della Mongolia e del Tibet dove cresce spontaneamente da sempre mentre, secondo altre fonti, arriva dal Sud est europeo. In Cina è noto e usato da secoli, in Europa è scoppiata una vera e propria moda solo da pochi anni dopo che sono state diffuse le sue proprietà benefiche, è infatti considerato un “super-alimento”.
Già nel 2600 a.C. l’imperatore Chen Nung, conoscitore delle piante medicinali, tesseva le lodi delle bacche diffondendo le loro proprietà in tutto l’Estremo Oriente, Nung scrive: “Le bacche di Goji nutrono e rinforzano il corpo donando forza e vitalità, aiutano il flusso dei liquidi corporei, calmano lo spirito, rinfrescano e rigenerano la pelle e gli occhi”. Nella medicina tibetana è conosciuto come “la chiave della giovinezza”. Il nome goji è stato creato nel 1973 dall’etnobotanico nord-americano Bradley Dobos, dell’istituto botanico tibetano Tanaduk Research Institute. Egli prese ispirazione dal nome d’origine con il quale veniva identificato questo arbusto nei dialetti himalayani: “gǒuqǐ”.
Una leggenda narra che in un tempio buddista tibetano era stato scavato un pozzo attorno al quale crescevano piante di goji. Le bacche spesso cadevano nel pozzo e qui infondevano nell’acqua tutti i loro preziosi nutrienti. I monaci del tempio, bevendo l’acqua, ne beneficiarono a tal punto che raggiungevano spesso i cento anni e a ottant’anni conservavano ancora fluenti chiome corvine e soprattutto, tutti i denti.
Io ne ho una siepe nell’orto, annuso il suo profumo, mangio le sue bacche ma son “canuto e stanco”!