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La Pro Loco Ripafratta “Salviamo La Rocca” organizza per sabato 18 maggio una conferenza dal titolo “Crocevia di cammini - Il confine pisano-lucchese tra itinerari e cammini, beni storici, turismo sostenibile e volontariato culturale”. L’evento si terrà a Villa Roncioni, nel borgo di Pugnano, comune di San Giuliano Terme, alle ore 10

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di Mario Lavia
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di Biancamaria Coli seg. PD Circolo di Nodica
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di Umberto Mosso
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IMMAGINA San Giuliano Terme
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Crollo mura di Volterra; mozione di Pieroni (Pd)
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A cura di Erminio Fonzo
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da Museo del Bosco
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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Dal 17 al 19 Maggio ore 10.00 - 20.00
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Forum Innovazione di Italia Economy" II EDIZIONE
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Valdottavo, 17 maggio
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Pisa: quartiere delle Piagge
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Pisa, 16 maggio
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Credevo di riuscirci mare
Ma non ti potei solcare
Ma è vero giuro è vero
Pur cambiando la vela e mura
Se gira il vento dritta
Al cuore
Per amarti .....
La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
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ATTRAVERSO IL TEMPO
KARL BAUER
di Stefano Benedetti e Sandro Petri

4/10/2023 - 17:16

Riprendiamo, dopo una laboriosa pausa estiva, i racconti sui personaggi che hanno attraversato 300 anni della Storia di Pontasserchio.

Questa volta la vicenda è più vicina a noi, e per questo maggiormente coinvolgente.
L'encomiabile approfondimento effettuato ci porta a valutazioni e conoscenze non usuali e non scontate.
Di scontato c'è, come al solito, la dimostrazione dell'estrema imbecillità di ogni forma di guerra e dei comportamenti di chi dovrebbe poi scrivere la vera Storia.
Sandro Petri 
 
 
ATTRAVERSO IL TEMPO (capitolo undicesimo)

KARL BAUER

di Stefano Benedetti

(tempo di lettura 10 minuti)

 

Era un pomeriggio di un agosto caldissimo in quella Pontasserchio di fine anni sessanta e lui stava seduto all’aperto, da solo, al tavolino di un bar di Strada proprio sull'incrocio di San Martino.

A guardarlo si vedeva subito alla prima occhiata che non era uno dei nostri, che non era una delle facce consuete e immutabili del paese, si vedeva subito che era uno straniero, uno che veniva da lontano.

Sulla cinquantina, occhi azzurri, capelli chiari, viso spigoloso con zigomi sporgenti, un cappello scuro in testa con tesa piccola alla Lenin, camicia bianca aperta sul davanti, pantaloni corti color cremisi sotto al ginocchio e scarpe leggere di tela marroncina.

Un sola birra gli fa compagnia, una Peroni piccola, la gusta sorso dopo sorso alla bottiglia e tiene nella mano sinistra il tappino di ferro zigrinato e lo batte lentamente, senza rumore, sulla superficie gialla di fòrmica del tavolino; in quel momento, in quel preciso momento egli sembra pensare assorto, anzi ripensare assorto e il suo sguardo pare perso lì a qualche metro, sull’asfalto bollente della via che porta a Pisa.

Tutti gli altri attorno, e i bar a quell’epoca erano sempre pieni, lo scansano, evitano di avvicinarsi e si guardano bene di non incontrarlo nemmeno con lo sguardo.

Era uno straniero, certo, ma era uno straniero che in qualche modo conosceva bene il paese, conosceva bene le sue case, le sue strade, le sue stalle e la sua gente, era uno straniero, sì, ma era il peggiore degli stranieri possibili, era un tedesco.

 

Erano passati venticinque anni da quell’altra estate afosa e indimenticabile del 1944, e molti in quel bar non se l’erano ancora dimenticata, quando i tedeschi in ritirata dopo lo sfondamento della Linea Gustav, spinti dagli Alleati verso nord, si acquartierarono a Pontasserchio.

Il sergente Karl Bauer, nato il 16 dicembre del 1922 a Kleinbottwar in Friedhofstr. 25, un piccolo paese a nord di Stoccarda nel Baden-Wurttemberg, decorato con croce di guerra, era uno di loro, apparteneva alla 16. SS-Panzergrenadier-”Division "Reichsfuhrer-SS" era reduce dalla devastante Campagna in Ucraina ed ora si trovava in Italia inserito in un battaglione di specialisti pionieri, il 13° Reggimento SS Genio, che aveva il preciso compito di preparare il campo di azione alle truppe.

Il grosso delle forze tedesche erano reparti principalmente corazzati che avevano bisogno di difese passive quali fossati, ponti, trincee e ripari vari, comunque di fornire assistenza logistica ad un esercito dal destino ormai segnato dalla storia.Il Comando di zona era impiantato dentro Villa Prini proprio nel cuore di Pontasserchio, residenza che fu requisita delle forze armate tedesche (e distrutta con il tritolo al momento della ritirata finale dei primi di settembre).

Come consuetudine militare, la zona controllata veniva divisa in quadranti all’interno dei quali venivano assegnate forze che li presidiavano, che controllavano militarmente il territorio circostante e che si occupavano anche della ricerca delle derrate alimentari per il sostentamento del pur sempre poderoso esercito germanico.

A Karl, allora ventunenne, in virtù del suo grado di Sergente, fu assegnato il comando del quadrante che comprendeva Strada e San Martino Ulmiano.

Dalle poche ma certe e circostanziate notizie in merito a quei duri mesi di occupazione, abbiamo appreso che questo sotto-comando fu installato presso una abitazione prontamente requisita in San Martino, un'abitazione a tre piani tutt’ora esistente e va rilevato che a quel tempo il nostro comprensorio era fatto in maggior modo di campi in quanto le case allora presenti erano certamente e di gran lunga inferiori per numero alle quelle attuali; quella casa in particolare, quindi, poteva essere considerata un vero punto strategico in quanto a visibilità e controllo del territorio.

 

Bisogna anche considerare il fatto che in quel periodo la popolazione era composta quasi esclusivamente di donne, bambini, ragazzi e persone anziane perché i giovani e gli uomini erano in guerra a vario titolo o inquadrati nell’Esercito Italiano oppure nelle Milizie Fasciste ma nella maggior parte dei casi stavano per diventare prigionieri di guerra e di lì a breve saranno internati presso campi di prigionia e di lavoro proprio in Germania.

Una parte di loro si era anche data alla macchia a serrare le fila delle brigate partigiane che si stavano proprio ora costituendo in quel preciso momento storico.

Dalle notizie che abbiamo raccolto di prima mano dai testimoni tra cui una signora tuttora in vita, il maggior contrasto di queste forze tedesche con la popolazione civile era dovuto al fatto che fu eseguita una totale requisizione del bestiame, dei cavalli e dei prodotti ortofrutticoli, dei quali allora le nostre stalle e i nostri campi e orti erano pieni, al fine di essere usati come sostentamento e lavoro per le forze di occupazione.

Non si rileva e non ne abbiamo avuto notizia alcuna di fatti di sangue accaduti oppure di ferocia gratuita da parte dei tedeschi verso la popolazione civile in quel preciso quadrante di cui stiamo discutendo in capo al Sgt. SS Bauer, anzi tutt’altro.

Abbiamo infatti avuto notizia di due fatti circostanziati e con protagonisti paesani con tanto di nome e cognome, uno dove un Ufficiale Medico SS si prese cura di una signora anziana di Vecchializia colpita da un infarto e curata con medicinali e da sue visite quotidiane, un altro più circostanziato ancora nel quale Karl Bauer si oppose con ordine perentorio (fatto che raccontò lui stesso in una occasione proprio in quel bar al suo gestore, con il quale aveva un sincero e reciproco rapporto di stima e amicizia) a due suoi sottoposti in quanto stavano per sparare ad un adolescente che aveva tentato di recuperare le bestie del padre sottratte presso la stalla di famiglia a Strada.

A questo punto le tracce del nostro Karl stanno per scomparire da Pontasserchio, perché il suo battaglione verso i primi di agosto lascia la valle del Serchio per dirigersi verso Nord.

 

Nonostante questo però noi continuiamo a seguire questa storia difficile da affrontare.

Di sicuro in una di quelle estati anni ‘60, dopo un bel pò di anni, si vide arrivare in paese una Mercedes chiara targata tedesca con una roulotte attaccata al gancio traino, guidata da Karl con accanto sua moglie che si chiamava Mary e che sappiamo essere stata di origine polacca, sposata subito nel dopoguerra.

Immaginiamo che si sarà soffermato per le nostre strade riconoscendo esattamente i luoghi che lui aveva vissuto in quell’estate di guerra e che non erano quasi cambiati per niente eche abbia trovato il coraggio di bussare ad una porta.

Una porta di quella casa, di quel gruppo di case, dove lui, requisendola, aveva impiantato la sua dimora al piano alto per un qualche tempo insieme ai suoi commilitoni.

Sappiamo il motivo che lo ricondusse da noi dopo tanti anni considerando anche chissà quanti paesi e quanta gente abbia nel bene e nel male conosciuto nella sua gioventù e sappiamo con precisione che quella porta non gli si chiuse in faccia ma anzi lo accolse, lo accolse insieme anche ad un’altra famiglia di quella corte.

Karl tornò da noi varie estati a salutare questi nostri paesani che intanto essendo vecchi iniziavano a mancare, restando comunque in contatto con i loro figli che egli aveva potuto conoscere solo per pochi giorni, quando ancora erano poco più che adolescenti, al tempo del suo soggiorno al Ponte.

Questo all'incirca fino ai primissimi anni ottanta, poi dopo quel tempo ne perderemo di nuovo le tracce.

 

E qui la nostra forse troppo scarna narrazione potrebbe anche finire, ma non è così e vedremo subito perché.

Nella stesura di questa biografia (che sarà l'undicesima e penultima della serie) oltre alla ricerca documentale e storica in merito agli argomenti che ci siamo proposti di affrontare, visto il relativamente “recente” sviluppo degli eventi in questione, ci siamo adoperati anche nel cercare testimonianze dirette o almeno di seconda mano che avvalorassero e dessero ulteriore corso alla nostra storia.

Ebbene, oltre alla signora ultranovantenne in questione già citata sopra, abbiamo raggiunto i nipoti sessantenni di quei paesani che un tempo abitavano la casa a tre piani e la corte di cui abbiamo parlato in precedenza.

Dopo una iniziale titubanza che non era affatto una diffidenza da parte dei signori in questione ma che era esclusivamente dovuta alla “protezione” affettiva dei propri congiunti ormai scomparsi da tempo, esce fuori da un cassetto chiuso a chiave e custodito come si custodiscono le memorie care, una documentazione decisamente importante ai nostri fini.

 

Il 19 dicembre del 1980, su carta intestata del Comune di Marzabotto - Medaglia d’Oro al Valor MIlitare - Comitato per le Onoranze ai Caduti, il Sindaco di allora, Sig. Dante Cruicchi scrive una missiva protocollata al n.182 che ha come oggetto: “lettera di Karl Bauer” ed è indirizzata congiuntamente a due nostre famiglie pontasserchiesi che un tempo abitavano quel gruppo di case ed in particolare nelle persone dei loro capofamiglia dell’epoca, oggi ormai entrambi scomparsi.

Dante Cruicchi fu un personaggio politico e giornalista nonché storico molto apprezzato in quell’epoca, che oltre ad essere stato Sindaco di Marzabotto fu anche Segretario Generale dell’Unione Mondiale delle Città Martiri, oltre che essere lui stesso stato internato nel campo di prigionia vicino Berlino di Luckenwalde.

Fu un personaggio, e questo lo leggiamo nella sua biografia e nei suoi fatti, che tentò per primo di “riappacificare” la storia (e per questo fu anche fortemente avversato) creando eventi e convegni con lo scopo di riunire le parti in causa che avevano vissuto, divise, in quel preciso, devastante momento storico.

Di fatto la missiva che spedisce ai nostri due pontasserchiesi è una richiesta di notizie, “le più dettagliate possibile” in merito a Karl Bauer in quanto due mesi prima aveva lui stesso inviato una lettera al Cruicchi in merito alla sua presenza a Marzabotto che comunque lui sostiene essere stata qualche settimana prima del Grande Eccidio.

Citando nella missiva persone e particolari ritenuti interessanti in merito alla cittadina bolognese e fornendo molti dettagli su quella che era la Marzabotto pochi giorni prima dell’Eccidio, nomina espressamente i nostri due pontasserchiesi come persone lui conoscenti ed in grado di “referenziare” la sua persona, in grado di fornire informazioni su come egli si sia “comportato” in Italia durante la guerra.

Allegato a questa lettera scritta, il Cruicchi stesso allega l’altra lettera in questione scritta a macchina dal Bauer e della quale noi siamo entrati in possesso.

La prima cosa che balza all’occhio in questa lettera scritta da Karl è quell’inizio “negli ultimi tempi ho letto molto, nei giornali tedeschi, riguardo a Marzabotto”.

 

Dietro questa affermazione ci sta un’epoca storica profondamente equivoca che si intreccia con la sensazione particolare dell’ex Sergente Karl.

Siamo ai primi anni ‘80, sono passati 35 anni e più da quei tempi duri e quello che è stato riposto nella singola coscienza di ogni tedesco per bene, affiora dirompente.

La cortina fumogena sparsa dagli Alleati, vincitori della seconda guerra mondiale che fece sì che quasi tutti i crimini di guerra commessi dalle truppe naziste in Europa fossero rinchiusi dentro armadi da dimenticare, viene meno. Il motivo di questo fatto che la storia ne individua precise responsabilità fu che i vincitori non vollero troppo “infierire” sul popolo tedesco ferito a morte e inchiodato alle sue responsabilità, per non farlo cadere nelle mani dell’Unione Sovietica che fu la loro successiva nemica.

Era più comodo tenere ogni fatto nascosto e dimenticato, senza processo, senza colpevoli, senza sentenze, come Marzabotto, Stazzema, Fosse Ardeatine ecc. al fine di mantenere quieta e calma una opinione pubblica tedesca fin troppo in bilico tra est e ovest in quel triste e duro dopoguerra.

Ogni tedesco, militare o non, se non esso stesso inconsapevole o responsabile di atrocità tenne dentro ogni bene e ogni male che aveva incontrato in quegli anni, perchè nessuno gliene chiese conto.

Gli anni 80 e 90 (con strascichi fino quasi ai giorni nostri) saranno quelli che nella grande storia porteranno -finalmente- a processi e sentenze spesso rivolte a vecchi aguzzini ormai ultranovantenni o già deceduti, ma che comunque risvegliano una memoria privata che ridiventa collettiva dentro un popolo.

 

Karl, dopo 35 anni trova il coraggio di scrivere questa lettera al Sindaco di Marzabotto e scrive testualmente “Già due volte dopo la guerra sono passato per Marzabotto”.

Questa volta però scrive e parla a voce alta al suo cuore, finalmente e ci ricorda il suo soggiorno presso il paese appenninico.Un altro elemento importante della lettera sta nel fatto che Karl giudichi “inconcepibile” il massacro, “tiranno” il proprio Comandante Fischer (1), dichiari che ”mi vergogno di ciò che i miei compatrioti vi hanno fatto”, e che “io non ho mai fatto niente di male a nessuno”.

 

Questo è il passaggio più doloroso della missiva, perché dalla bocca di Karl emerge anche l’amore per la nostra terra, per la campagna rurale della quale lui si sente esso stesso figlio e per quelle persone “care a cui va tutta la mia simpatia” ed emerge la profonda consapevolezza dell’accaduto a quel tempo.

Ci lascia attoniti e senza respiro questo sentimento sul quale rimane difficile arrivare ad una riflessione distaccata e imparziale se prima non riusciamo a raccogliere dentro di noi, dentro la nostra sensibilità, dentro la nostra cultura, quella che fu la parabola di una intera generazione, quella a cui apparteneva Karl, che nacque e crebbe (e in gran parte morì) in un contesto sociale e politico impressionante.

Contesto che portò con l’ascesa del Nazismo a una devastazione mondiale da 60 milioni di morti.

Karl, e noi che scriviamo lo abbiamo conosciuto personalmente, di sicuro fu una brava persona che riuscì a affrontare il suo passato presso di noi e abbiamo la certezza che a lui fu contraccambiata sincera amicizia per lunghissimi anni da molte persone.

Fu un giovane figlio del suo tempo che provò a riscattarsi dalla complicità che aveva condiviso con il male fatto da un popolo, attraverso una profonda riflessione che gli sarà durata fino all’ultimo attimo della sua vita e ciò che leggiamo nella sua lettera non è altro quindi che un passaggio intermedio di questa catarsi e per questo motivo la rileviamo.

 

Il terzo elemento che forse è il più importante in assoluto e quasi quasi passa tra le righe ma che lo rileviamo chiaro nel contesto.

Perché Karl cerca delle “referenze”, perchè le cerca da amici coinvolgendoli e facendoli rintracciare espressamente, amici che poteva solo aver conosciuto per pochissimi giorni in quell’agosto del ‘44 in quanto la sua presenza al Ponte fu breve?

Amici, che entrambi di lì a poco, proprio intorno al 10 agosto (Karl non c’era già più da noi con il suo battaglione) furono raccolti insieme a molti altri coetanei in un campo improvvisato proprio nella conca della Baccanella e poi indirizzati attraverso la Pia Casa di Lucca, verso la deportazione.

Perché fa questo? Difficile rispondere così già a 50 anni passati dalla lettera e 80 dalla seconda guerra mondiale, guerra che noi neanche abbiamo vissuto in quanto nati molto dopo, ma certamente segnati dal quel “narrato e percepito” che a cosi distanza ancora ci attanaglia e può rendere ogni nostro giudizio anche falsato.

Karl fa questo e scrive questa lettera perché è un essere umano coraggioso.

Karl non ha altri strumenti da contrapporre al suo terribile vissuto (entrerà bambino orfano di padre e di madre in un orfanotrofio e per “premio”, diciassettenne, sarà arruolato nelle SS che saranno per lui e la sua generazione un reale concreto credo intimo e sociale con tutte le conseguenze che ne derivarono); non ha altri strumenti da contrapporre a sé stesso, uomo, militare tedesco in guerra, uomo qualunque che rimane “figlio di poveri contadini” come lui si definisce nelle ultime righe della lettera.

Un uomo che decide di vivere, decide di vivere la vita, di sposarsi, di avere figli (avrà un maschio, Gerhard e una femmina, Michelle) e di invecchiare.

L’unico strumento a cui sente di appellarsi può apparire ingenuo, fuori luogo o anche insufficiente visto il male visto in quel tempo, eppure così umano, del tutto potente e così tangibile e sorprendente al tempo stesso.

Si appella all’amicizia, all’Amicizia tra le persone!

Vuole essere riconosciuto in questo, vuole rivendicare a sé il suo umano diritto, spesso vituperato eppur cosi importante e determinante e si mette in ballo dentro quel richiedere un giudizio ad amici che lo hanno conosciuto, che sanno chi è e di quale buona pasta sia fatto, dai quali quasi implora una risposta di solo bene.

A questo punto subentra però il destino perché questa risposta, purtroppo, non arriverà mai in quanto i nostri due pontasserchiesi non avranno modo di rispondere alla lettera del Cruicchi non perché non vollero farlo, non perché non avevano positive argomentazioni, ma perché l’uno di lì a pochi mesi morirà di un male incurabile e l’altro perché annientato dal dolore di una perdita familiare prematura.

Né il Cruicchi, né noi, né il mondo, né le vittime di ogni ingiustizia, né le vittime innocenti di ogni guerra, né Karl stesso, avremo mai quella risposta.

Quella risposta resterà in sospeso insieme a tutte quelle altre che la vita ci pone.

Ci resta comunque la percezione che ogni sentimento di amicizia privata o universale tra le persone o tra i popoli, avrà per noi un valore assoluto come questa storia che vi abbiamo raccontato.

Una lettera senza risposta sarà questa volta un eterno simbolo di ogni incertezza, errore, bontà, dolore, amore dentro ogni animo umano, così insondabile, così imperscrutabile, così anche ingiudicabile.

 

Karl, Karl Bauer, ex Sergente delle SS, ora un semplice turista per caso a Pontasserchio, si alza, appoggia il tappino di latta sulla bottiglia, la porta gentilmente sul bancone del bar per non lasciarla sul tavolino, passa del barista a salutarlo con affetto, paga la birrina e saluta tutti con un educato arrivederci e si incammina fuori dal locale, verso destra, per la strada verso S.Martino.

Strada che lui conosce talmente bene al punto di fingere a sé stesso di non riconoscerla quel giorno, per costringersi a stupirsi del mondo e a ripensare ancora a quel paesaggio, a quel tempo passato, a quell'epoca vissuta, a quella sua gioventù.Alla sua vita intera. Come la nostra, piena di domande senza risposta.

 

Per la ricerca storico-documentale archivistica, un ringraziamento speciale all’amico Gabriele Giachetti.

 

Nota (1):Il nome del Tenente Fischer che Karl nella lettera definisce “tiranno” e che ricorda anche di esser stato da lui stesso minacciato di fucilazione, appare nel Fascicolo Processuale n. 1957 del Registro Gen. Procura Militare di Roma insieme al Maggiore SS Warcher, al Capitano Rachel, al Generale Simon e al Colonnello Reder, per quanto riguarda le responsabilità dell’Eccidio di Marzabotto, fascicolo “archiviato provvisoriamente” (figura giuridica inesistente nel nostro Ordinamento Giudiziario ndr.) il 16 gennaio 1960 per ordine del Procuratore Generale Militare Dott. Santacroce, dopo uno sciagurato accordo politico segreto tra i governi italiano e tedesco di allora.
 
In questo Fascicolo che poi fu riesumato più di venti anni dopo sono presenti anche altri capi di imputazione relativi ad altre stragi del 1944 precedenti a quella di Marzabotto, tra cui San Rossore, 9 agosto (8 vittime), Musigliano, 9 agosto (5), Molina di Quosa, 11 agosto (60), Nodica (14)-Migliarino (9), 14 agosto, San Giuliano Terme, 25 agosto (5).

 

Il Fascicolo in questione fu poi rinvenuto insieme a molti altri nel 1994 nel cosiddetto “armadio della vergogna”.

 

Fonti archivistiche:

-Ufficio Storico e della Memoria

- Comune di Marzabotto (BO)

-Archivi privati vari.

 

Legenda fotografie:

1. Giovane Karl Bauer in divisa - anni 1940-1942

2. Karl Bauer turista. La Spezia - anni ‘70

3.4. Villa Prini, prima e dopo il passaggio del fronte

5. Doc. Protocollo Comune di Marzabotto -1980

6.7.8 Lettera di Karl Bauer indirizzata al Sindaco Di Marzabotto Dante Cruicchi -1980-

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