Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
FRATELLI MAGGIORI
So che è difficile oggi per un non ebreo come me farmi capire dagli ebrei, che pure considero fratelli.Questo considerarli così nasce da un sentimento che viene prima e va oltre la politica. Un sentimento che sento naturale, che posso spiegare razionalmente con la storia, con la cultura, ma che mi porta anche a superare storia e cultura e a sentirmi della stessa famiglia umana.Non ho il complesso della Shoah, sono nato nei giorni della nascita di Israele e i miei, prima di mettermi in guardia contro ogni dittatura, mi hanno insegnato fin da bambino che l’Olocausto fu la peggiore barbarie della storia umana e che nessuno e per nessun motivo avrebbe dovuto ripeterla.Ho sempre considerato il Sionismo dei fondatori di Israele la versione ebraica del socialismo, i kibbutzim come l’organizzazione sociale più democratica dell’economia collettiva. Sono sempre stato fiero della mia appartenenza morale alla sinistra dei camalli che bloccarono il porto di Genova, allora governato dagli inglesi, per costringere gli Alleati a far partire la nave dei profughi ebrei diretti prima a Cipro e poi in Palestina. E anche delle armi cecoslovacche che arrivavano agli israeliani, che resistevano al primo assalto dei paesi arabi nel 1948, transitando clandestinamente per l’Italia con l’aiuto dei nostri ex partigiani.
Poi molto è cambiato da allora. Israele ha subito una crudele escalation di violenza annientatrice, velleitaria ma sanguinosa, che ha via via modificato anche il sentimento del suo popolo. Chi è costretto ogni giorno a combattere per la propria vita subisce anche, per paura o per difendere il suo amore minacciato, il veleno in piccole dosi quotidiane della perdita della sua visione originaria. Rimpiango quella perdita, fortunatamente limitata, ma non riesco a condannarla essendo convinto che nel conflitto in corso da settantacinque anni, Israele sia la vittima costretta a difendersi e per farlo ad adeguarsi al livello sempre più alto dell’attacco dei suoi nemici.Nemici potenti, in grado di tirare il freno a mano dell’occidente col ricatto del petrolio. Nemici che usano il popolo palestinese, un tempo il più colto e laico del Madioriente, per trasformarlo in massa di manovra della Jihad o in scudo umano.Anche Israele ha compiuto errori, soprattutto dopo avere abbandonato la politica di pace di Rabin e avere fatto passare l’unico leader palestinese in grado di dialogare, Arafat, come un pericoloso terrorista, mettendolo fuori gioco e favorendo indirettamente la presenza crescente di Hamas. La destra israeliana ha costruito il suo consenso sulla base della paura provocata dal parallelo consenso crescente degli estremisti islamici in un popolo privato di una alternativa, come essa stessa ha favorito. L’ANP, l’interlocutore una volta più accreditato, è stata privata di fatto di ogni potere negoziale e l’impreparazione al colpo del 7 ottobre è anche il frutto avvelenato del folle gioco del divide et impera di Netanyahu. Due israeliani su tre riconoscono questo.Oggi questi fratelli maggiori li sento come fratelli minori, che hanno bisogno di protezione anche quando non condivido il comportamento del loro governo attuale. Soprattutto pensando che cadere nella trappola di Hamas sia sbagliato per loro.
Capisco che il sentimento degli israeliani oggi sia di odio per gli orrendi massacri jiadisti, di paura per la vita degli ostaggi e per la propria, di vendetta per tante vittime innocenti. Ma questa notte deve passare.E non rinuncio a pensare che debba finire al più presto il tempo della punizione, che colpisce soprattutto una popolazione innocente o plagiata dal radicalismo islamico, e Israele torni a mostrarsi al mondo per quello che è, un luogo di democrazia, di prosperità, che può vivere solo in pace e sicurezza che non verranno mai in una condizione perenne di guerra o di non belligeranza armata e precaria.
Capisco che i miei fratelli ebrei possano non capirmi oggi. Dunque, da persona costretta a guardare gli eventi, continuerò a sperare che nessuno, dentro, ma soprattutto fuori dal teatro di guerra, superi il segno, che Israele viva e a pensare al dopo.E che dopo ci sia un cambio politico a Tel Aviv che non servirà solo ad Israele, ma che potrà favorire un cambiamento anche nel popolo palestinese e quello di molti stati arabi a cominciare dall’Arabia Saudita.
Israele vive se diventa motore di pace, democrazia e prosperità per tutto il Medioriente.
L’esatto contrario di quello che vogliono l’Iran e i suoi fantocci Hamas ed Hezbollah.
Coraggio fratelli ebrei, shalom.