Il mese scorso è stato presentato un nuovo libro pubblicato dall'Editore MdS, "Il coraggio tra i fiori di ortica", un'opera intensa e profonda cheracconta l'infanzia non solo nella sua dimensione più luminosa, ma anche nelle sue ombre, fatta di giochi e risate, ma anche nelle sue ombre, tra segreti, paure, abusi e battaglie quotidiane che i più piccoli affrontano con straordinaria forza.
Un libro che ci ha subito colpito e per il quale si preannunciava un sicuro interessamento e successo a livello nazionale.
I SE E I MA SULLA MELONI - CASELLATI
Si può essere, come sono, favorevole all’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri, ma giudicare insufficiente la proposta del governo Meloni? Certamente sì.
In primo luogo perché non garantisce affatto la stabilità del governo, dato che prevede la possibilità di cambiarlo nel corso della legislatura con un altro, seppure con la stessa maggioranza (norma antiribaltone).
Noi siamo un Paese a bipolarismo di cartapesta, dove ciascun polo è una coalizione di partiti che al suo interno competono, sarebbe meglio dire si combattono più o meno palesemente, per il primato, che vuol dire l’incarico di capo del governo al leader del partito più grande.
Oggi se cade un governo può essere sostituito da un altro a condizione che, a differenza di quello caduto, abbia una maggioranza in Parlamento. Maggioranza che può essere la stessa, ma anche diversa se, visto il fallimento della prima, i parlamentari, che rappresentano il popolo, cosa che molti fanno finta di non sapere, giudichino che convenga cambiare politica. Una cosa che può dispiacere a chi perde la maggioranza, ma del tutto legittima. Quante polemiche inutili in passato su questo punto perfettamente costituzionale
Nel caso in cui, come la proposta Meloni – Casellati prevede, un governo possa cadere, ma quello successivo debba obbligatoriamente avere la stessa maggioranza si metterebbe in mano al leader del secondo o terzo partito della coalizione un’arma potente di pressione sul premier eletto: o fai come diciamo noi o vai a casa e ti sostituiamo con uno dei nostri.
Facciamo un esempio a caso. Meloni non è d’accordo con Salvini su un punto che lui ritiene fondamentale. Oggi la premier può resistere sostenendo, magari in camera caritatis, che se Salvini fa mancare il suo apporto alla maggioranza non è affatto detto che dalla crisi seguente esca un governo di centrodestra presieduto da lui. E in caso di elezioni anticipate non è detto che gli elettori premino una coalizione che si è suicidata. Quindi tutti in riga, obbligati a trovare un accordo per andare avanti. Una specialità della destra che conosce, più della sinistra, la necessità del compromesso interno per conservare il potere.
Nel caso del premier eletto secondo la proposta del governo attuale questa deterrenza viene a mancare. Ci si può combattere e trovare nuove convergenze, o convenienze, interne e sostituire l’eletto con uno nominato dalla stessa maggioranza.
Quindi libertà di tradimento, ma solo per gli “amici”, cosa che rassicura tutti i componenti della maggioranza decotta che così non vedono a rischio il potere acquisito. Altro che no alle manovre di palazzo! Questo è un incentivo alle trame interne, con l’aggravante che si restringe addirittura l’area dei “cospiratori” ad un gruppo di partiti che considerano il governo come una cosa loro.
L’antidoto? Se cade il PdC eletto si scioglie il Parlamento e si va a nuove elezioni per eleggerne uno nuovo.
Ma anche sul sistema di elezione la proposta è debole. Perché un incarico legittimato da un voto popolare rischia, col turno unico, di essere eletto da una netta minoranza o da una esigua maggioranza degli elettori. Soprattutto con la frammentazione politica esistente, dove non mancherebbero, del tutto legittimamente, i Paragone o i Montanari di turno a imbellettarsi. E in presenza di una disaffezione politica così diffusa.
L’antidoto: elezione in due turni come per i Sindaci, con ballottaggio tra i primi due del primo turno. Al ballottaggio vanno in pochi? Coi Sindaci non è sempre così e comunque gli assenti hanno sempre torto.
Ma le cose da chiarire e modificare riguardano anche, e non sono secondarie, i poteri del Presidente della Repubblica e il quorum per la sua elezione da elevare, perché resti il garante super partes dell’Unità del Paese e della Costituzione e non la bella statuina di una sola parte politica.
Nonché i poteri del Parlamento che, proprio in virtù del rafforzamento del capo dell’esecutivo, deve vedere rafforzata la sua prerogativa legislativa e di controllo. Meglio una sola Camera con un nuovo regolamento.
Quindi in questa fase è inutile dire un si o un no netto alla proposta del governo. Si può dire si o no al principio dell’elezione diretta e il sì di Italia Viva è su questo principio non da oggi, ma, come ha sostenuto Renzi, occorre chiarire diversi punti e modificare la proposta prima di un pronunciamento definitivo.
Se, come dice il centro-destra, si ha un orizzonte di legislatura, non c’è alcuna fretta su una questione che riguarda tutti e non solo una parte. E non piace, come fa Salvini, la forzatura sul percorso parallelo e contemporaneo di questa riforma con quella dell’Autonomia Differenziata.
Al contrario l’Autonomia Differenziata presuppone debba essere modellata in coerenza col nuovo assetto istituzionale dello Stato. Altrimenti si rischia un pasticcio enorme, tipico della bassa cucina di chi scambia gli interessi, sovranisti o populisti, dei bipolari consociativi o massimalisti, per gli interessi dell’intero Paese.
Comunque basta coi soliti piagnistei sulla deriva autoritaria. La deriva è quella dove ha perduto l’intelligenza politica la sinistra immobile e conservatrice.