Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
CHE FARE DOPO LA LEZIONE DELL’EXPO’?
La domanda da farsi è se può una città statica da almeno trenta anni competere con le realtà dinamiche delle città globali. La risposta è no e chi conosce Roma, l’Italia e il suo isolamento in un’Europa anch’essa marginalizzata nel mondo globale, questo lo sapeva da prima della sentenza sull’Expò.
Questo mi fa apprezzare ancora di più la generosità di chi, come il presidente della commissione regionale Luciano Nobili, ha partecipato alla battaglia conoscendone la difficoltà, ma anche criticare chi, come la presidente della commissione comunale Virginia Raggi, per incompetenza e inconsapevolezza reiterata, dopo fallimento come sindaca ha giocato il nome di Roma in un confronto impari.
Ma la domanda immediatamente seguente è se possiamo continuare a (non) ragionare su Roma senza sapere di che Stato Roma sarebbe la Capitale.
Non solo perché la candidatura era quella di una nazione, non di una città, ma perché la differenza tra una città, anche importante, e una Capitale è che la seconda non rappresenta solo uno Stato ma, a differenza della prima la, sua vita ne è condizionata radicalmente. E se lo Stato perde colpi la prima vittima è la sua Capitale, non l’inverso.
Negli anni ’50 si disse “Capitale corrotta, nazione infetta”. In realtà era il contrario.
Oggi dovremmo dire Nazione sbandata, Capitale allo sbando. Non lo diciamo perché nessuno accetta di sentirsi parte di un fallimento. Meglio illuderci di essere vittime incolpevoli di potenti lobby internazionali. Che ci sono, ma segnano solo la nostra incapacità di conoscerle e saperle vincere.
Siamo vittime di noi stessi, ossificati nell’autocompiacimento di un grande passato che continuiamo a considerare futuro. Archeologia del pensiero, presuntuoso e provinciale, come refugium peccatorum, dal Campidoglio a Palazzo Chigi, politicamente trasversale, con rare eccezioni, in tutte le Istituzioni locali e nazionali.
E’ dalla prima metà degli anni ’80 del secolo scorso, che le Capitali e le grandi città europee hanno iniziato a correre su binari diversi dai nostri e che l’UE ha indicato politiche urbane e modalità nuove per la loro attuazione. E di tutto questo, chi doveva saperlo era avvertito quaranta anni fa.
Siamo in ritardo, non su Doha o Busan, ma su Londra e Parigi, come su Lione o Zurigo. Costretti a competere, su turismo e cultura ad esempio, con città come Barcellona, magnifica, ma con un potenziale cento volte minore di quello di Roma sotto ogni profilo.
Colpa dei romani? Certamente anche loro. Soprattutto per non reagire all’inerzia dei gruppi dirigenti che hanno scelto.
Ma quell’inerzia della Capitale ha origine e sta nella testa di uno Stato che non sa dove andare e usa la sua Capitale solo come uno scenario barocco e pesantissimo che la immobilizza.
C’è bisogno di uno scossone politico e culturale che svegli la città delusa e le ridia coscienza delle sue enormi potenzialità sociali ed economiche.
Che valorizzi le forti dinamiche positive, imprenditoriali e culturali, anche di avanguardia, che si sono affermate spontaneamente, spostando il baricentro dell’innovazione dal centro della città in quella che si continua a chiamare periferia e invece è il vero centro economico di un territorio che influenza almeno grandi parti di cinque regioni confinanti.
Basterebbe, tanto per cominciare, chiamare a raccolta quelle forze dinamiche e concordare con loro un progetto condiviso di trasformazione e crescita territoriale.
Ma per farlo ci vogliono Istituzioni aperte all’innovazione, comunicanti e unite nell’incentivare la partecipazione, le competenze.
Da quelle sociale a quelle economiche. Roma è un forziere di competenze e risorse inutilizzate che va aperto.
Nel febbraio del 1974 la svolta positiva della Capitale, che ci fu nella seconda metà degli anno ’70, fu anticipata dal convegno diocesano su“ I mali di Roma”.
Oggi il Campidoglio, se avesse coraggio e capacità di rappresentanza dinamica della Capitale, dovrebbe convocare, dallo Stato all’ultimo comitato di quartiere, un’assemblea generale su “I beni di Roma”, per mettere in moto la realizzazione di un progetto condiviso di sviluppo della città e di Capitale dello Stato.
Una idea astratta, velleitaria, troppo ambiziosa?
Dobbiamo accontentarci della “rometta” che chiacchiera a cena in qualche circolo di canottieri o simili? Cosa altro abbiamo da perdere?