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di Mario Lavia
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di Biancamaria Coli seg. PD Circolo di Nodica
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IMMAGINA San Giuliano Terme
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Crollo mura di Volterra; mozione di Pieroni (Pd)
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Di Gavia
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Forum Innovazione di Italia Economy" II EDIZIONE
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Valdottavo, 17 maggio
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Pisa: quartiere delle Piagge
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Pisa, 16 maggio
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Credevo di riuscirci mare
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La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
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Case e candele
I Prini: da Lastra a Signa a Pontasserchio
di Franco Gabbani e Sandro Petri

17/12/2023 - 11:57

 
Ci eravamo già occupati della famiglia Prini nell'ambito della prima serie di articoli di Franco Gabbani, in cui si è illustrata la storia della famiglia Salviati.
Anche per i Prini il massimo splendore si ebbe tra la fine del '700 e durante l'800, e ancora oggi ci sono testimonianze a Pisa e a Pontasserchio della loro capacità imprenditoriale.
Ma l'articolo ci offre anche un quadro profondo della vita sociale del tempo e dei rapporti tra le famiglie nobiliari.
Sandro Petri 
 
CASE E CANDELE.
I PRINI: DA LASTRA A SIGNA A PONTASSERCHIO  
di Franco Gabbani 
 
Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana, con motuproprio del 1776, riunì, con capoluogo i Bagni di S. Giuliano, ben 31 comunità, comprese quelle di Vecchiano, Malaventre, Nodica, Avane e Filettole.
Successivamente, durante l’occupazione francese, Vecchiano, verrà separato dai Bagni di San Giuliano e diventerà una Comune (anno 1808) comprendendo le comunità alla destra del Serchio.
Questa era la situazione territoriale della nostra zona tra fine ‘700 e inizio ‘800. In quegli anni, la proprietà fondiaria vede, a fianco dei Salviati, l’affermarsi di altre due famiglie, quella dei Prini e dei Dal Borgo.
I Prini costituiscono una vera e propria azienda il cui centro produttivo è il frantoio di Avane e il loro patrimonio fondiario di Avane e di Nodica si integra con le altre proprietà presenti nei territori vicini.
Nello stesso periodo costruiscono una villa-fattoria a Pontasserchio la quale unisce i caratteri funzionali dell’azienda agricola e della residenza per villeggiare.
 
E’ proprio della nobile famiglia Prini che ci occuperemo in questo articolo.
 
I Prini, provenienti da Lastra a Signa, presso Firenze, giunsero a Pisa nel Seicento con Matteo, funzionario Granducale, che fu camerlengo della Dogana e amministratore delle galere e del bagno degli schiavi a Pisa e a Livorno.
In seguito i Prini divennero imprenditori e appaltatori, con interessi in tutti i settori economici della Toscana.
Il nipote di Matteo, Giuliano Antonio di Girolamo Prini, avviò anche una “bottega di cera” in alcuni locali posti  tra via Roma e via Santa Maria, quella che oggi è via Volta. La cera era un bene di lusso, usato dalle famiglie facoltose, i poveri per le loro case usavano olio di scarsa qualità o candele di sego (1) .
L’ascesa sociale dei Prini fu rapida, tanto che furono ammessi all’Ordine di Santo Stefano, con l’istituzione di una commenda (2) di padronato sui beni a Ghezzano, dove possedevano anche una villa.
A metà Settecento ottennero il titolo di “nobili”, ma non di “nobili patrizi”: per ottenere questo secondo titolo occorreva, infatti, giustificarlo con documenti che attestassero il godimento ininterrotto di una nobiltà almeno bicentenaria.  
La ricchezza dei Prini derivava anche dai prestigiosi matrimoni contratti con le famiglie dell’antico patriziato pisano come i Leoli, i Nervi, gli Aulla Poggi Carnesecchi ed i Rosselmini Ricciardi.
 
Nel 1770, in occasione del matrimonio di Giuliano Franco, figlio di Pier Gaetano Prini, con Anna Nervi, erano entrati in possesso del palazzo Nervi di via Santa Maria (dove per un periodo abitò Vittorio Alfieri).
Il loro patrimonio era stato accresciuto anche per altre vie.
Ad esempio, il cavalier Pietro Leopoldo Aulla Poggi Carnesecchi aveva sposato Maria Virginia di Cristoforo Buccella, ed avevano avuto una sola figlia, Vittoria Maria Teresa, morta in tenera età.
Eredi della famiglia furono perciò i Prini, avendo Camilla, sorella del cavalier Pietro Leopoldo, sposato Pietro Gaetano Prini. Il palazzo Aulla che essi ereditarono è ubicato in via S. Frediano.
 
E’ in quegli stessi anni che Orazio Cecconi, su commissione della famiglia Prini, costruìsce a Pisa un teatro (si chiamerà “Nuovo) che avrebbe sostituito l’antico teatro dei Banchi, conosciuto come “Lo Stanzone dei Banchi” o “Degli Stravaganti”.
Il teatro “Nuovo” fu inaugurato nel 1777 con la rappresentazione dell’Antigone di Metastasio e ospitò spesso anche i Granduchi di Toscana.
In seguito il teatro passò dai Prini all’Accademia dei Costanti e nel 1824 all’Accademia dei Ravvivati, per essere successivamente intitolato all’attore livornese Ernesto Rossi che vi aveva debuttato.
 
A fine Settecento i Prini fissarono la loro residenza in un palazzo dell’odierno Lungarno Antonio Pacinotti che, tra il 1828 e il 1838, fu oggetto di un pesante intervento di ristrutturazione ad opera dell’architetto Alessandro Gherardesca il quale fuse, in un imponente palazzo ottocentesco, più unità immobiliari: quella che già apparteneva ai Prini inglobandovi alcune case che appartenevano ai Caetani ed ai Di Lupo Parra.
 
Nei primi decenni dell’800 i Prini  risultavano i maggiori “capitalisti” di Pisa assieme ai Mastiani, gli Scotto, gli Alliata, i Franceschi e gli Aulla, ed erano stati inseriti di diritto nella borsa dei gonfalonieri (3) della comunità di Pisa.
Erano anche fra i maggiori “imposti”: presso l’Archivio di Stato di Pisa, nel  Fondo Comune di Pisa, è conservato un elenco, datato 1808, delle famiglie pisane tassate per il numero del personale di servizio di cui disponevano e la nobile famiglia Prini vi figura con otto servitori.
Del fatto che i Prini figurassero fra i grandi proprietari pisani ne abbiamo conferma anche da un avvenimento del 1813, quando, la Comune di Pisa, dopo la disfatta di Russia, decise di offrire a proprie spese l’armamento di 18 cavalieri a Napoleone.
Furono accumulati, per lo più con contributi coatti, oltre 34.000 franchi e i Prini furono costretti a pagare 600 franchi: il loro patrimonio, in quegli anni, ammontava a 830.000 franchi, per una rendita di 40.000 franchi.
Va tenuto presente che allora un bracciante agricolo non arrivava a guadagnare 1 franco di salario al giorno quando il pane costava franchi 0,46 al Kg., la carne 1,09 e la legna 4,20 lo stero o metro cubo.
 
I Prini contribuirono anche allo sviluppo dell’attività ippica a Pisa.
Nel 1790, la presenza in città dell’erede al trono inglese, il futuro Giorgio IV, fu celebrata con una corsa di cavalli scossi sui Lungarni, dal lato di Tramontana.
La giornata si concluse con un fastoso ballo a palazzo Prini e un pranzo di gala con più di novanta invitati.
La passione ippica della famiglia si riaffaccia quando, nel 1853, fu fondata la “Società per le corse dei cavalli” promossa dal marchese Cesare Mastiani Sciamanna e dal conte Andrea Agostini Venerosi della Seta, mentre Giuliano Prini Aulla venne eletto vice presidente.
 
Alla morte di Pietro Gaetano Prini, avvenuta nel 1842 , gli successe il figlio Giuliano, che fu Camerlengo dell’opera del Duomo.
Nel 1848, durante l’insurrezione del Guerrazzi e dei livornesi contro il governo Granducale, fu chiesto un contributo alla causa patriottica a Giuliano Prini, Giovanni Battista Toscanelli, Lelio Franceschi e Giovanni Saladini dal Borgo, personaggi pisani in odore di idee liberali.
Furono costretti a ordinare alla Fonderia di Napoli tre cannoni da consegnare alla guardia civica pisana.
L’anno successivo Giuliano sarà uno dei consiglieri della Commissione di soccorso istituita per aiutare le famiglie di coloro che erano andati a combattere per liberare la patria dallo straniero.
 
Per sottolineare ancora come i Prini fossero compresi fra le più nobili famiglie pisane, si può citare un episodio del 1861: la sera del 31 Gennaio si svolse, nelle sale delle Stanze Civiche (4) , una festa da ballo in onore del principe di Piemonte e del duca d’Aosta, figli del re Vittorio Emanuele II.
Nelle cronache della festa si legge: “Si aprì il ballo con la quadriga, nella quale danzarono il principe di Piemonte con Madamigella Ruschi, figlia del Gonfaloniere di Pisa, ed il duca d’Aosta con Madamigella Prini” (5) (si trattava di Virginia, figlia di Giuliano Prini e di Ludmilla Tratti Bentivoglio).
Alla festa era intervenuto anche il barone Bettino Ricasoli, Governatore di Toscana, ed il marchese Massimo d’Azeglio.
 
La famiglia Prini, fino agli inizi del XX secolo, ha abitato nel palazzo di Lungarno Pacinotti.
Nel 1908 il figlio di Giuliano, Pietro Gaetano, privo di discendenza, fece testamento a favore del Marchese Giuseppe Antonio Mazzarosa, nipote di Giovanni Battista Mazzarosa e di Elena Prini Aulla, zia di Pietro Gaetano.
Giuseppe Antonio Mazzarosa ereditò tutto il patrimonio dei Prini, con l’obbligo di aggiungere al proprio il cognome Prini Aulla.
Il palazzo di Lungarno venne affittato fino al 1966, in quell’anno il fiume Arno tracimò ed il palazzo riportò lesioni profonde per cui è disabitato anche oggi.
 
Negli anni il palazzo è stato oggetto di studi e di rilievi nell’intento di ridare vita ad una così bella struttura.
Fra le varie proposte anche quella di fare di Palazzo Prini una sede di rappresentanza della Scuola Normale Superiore.
Ai Mazzarosa sono pervenute anche tutte la carte Prini insieme a quelle Aulla.
 
Vale però ora la pena di soffermarsi sulla “bottega di cera” e sulla Villa di Pontasserchio dei Prini,alle quali abbiamo fatto cenno in apertura.
 
La produzione della cera era una delle poche attività economiche che, ancora nell’800,  creavano profitto, e Pisa, come tutte le altre città, aveva numerose cererie perché le candele
erano un bene di prima necessità: un bene prezioso, indispensabile ed i governi erano tenuti ad assicurarne la disponibilità a prezzi accessibili.
Si verificavano, infatti, vere e proprie carestie di candele che facevano lievitare i prezzi costringendo i governi ad intervenire per calmierarli.
In occasione di funerali, il numero di ceri e candele che accompagnava la salma,
dalla veglia alla celebrazione delle esequie, era indicativo dell’importanza del defunto.
 
Esistevano precisi regolamenti sulla quantità di cera in base alla posizione gerarchica.
Quando a Pisa, il 9 Dicembre 1864, morì Giovan Battista Toscanelli, furono fatti funerali solenni e solo per le candele, acquistate dalla fabbrica Prini, si spesero 833 lire.
Una delle botteghe dei Prini era sotto il Casino dei Nobili, un luogo dove si giocava a carte fino a notte fonda, per cui c’era bisogno di una illuminazione continua e quindi di molta cera.
Ad esempio nella festa da ballo al Casino dei Nobili del 13 Gennaio 1826 intervennero i Granduchi di Toscana con tutta la Corte al completo.
Il numero delle candele occorrenti per l’illuminazione, stabilito con precisione, ne comportò l’ordinazione di 6000, inclusa una scorta.
Nel 1854 Giuliano Prini partecipò alla “Pubblica Esposizione dei Prodotti Naturali e Industriali della Toscana” fatta in Firenze e fu emesso il seguente giudizio: “bella e per ogni lato pregevole era veramente la cera in garzuolo (6) e quella modellata in candele di varie forgie esposta dal Sig. Cavalier Giuliano Prini.“  
E’ possibile che l’idea di usare i lumini di cera per la luminaria di S. Ranieri sia legata all’interesse economico dei produttori di cera e quindi anche dei Prini, ma, sicuramente, il primo posto, fra i loro clienti, era occupato dalla Chiesa.
 
La Famiglia Prini possedeva anche una vetreria che comprendeva una fabbrica con tre padelle (7) ed alcuni magazzini in Via Nuova (attuale via Trento) con 23 dipendenti ed una produzione annuale di 80 quintali di fiaschi, bottiglie e bicchieri.
 
Quanto alla villa di Pontasserchio fu costruita nella seconda metà del Settecento, quando i Prini incrementarono il loro patrimonio con i possedimenti di Vecchiano, Nodica e Pontasserchio, costituendo in quell’area, come detto, un’azienda agricola specializzata.
Nella bella stagione i Prini si trasferivano a Pontasserchio  dove c’erano anche una serie di edifici allineati, collegati alla villa ma separati da un muro basso e da un cancello: questa divisione rappresentava una vera zonazione sociale e sanciva il passaggio dall’ambiente nobile a quello rurale.
 
Qui dimorava il fattore con la sua famiglia, occupava l’edificio migliore ed anche quello con l’affaccio diretto nella borgata, e in quel susseguirsi di stanze c’erano le dimore dei contadini, le cantine, la falegnameria, i locali per conservare le derrate, le stalle, nonché una piccola cappella dedicata a San Ranieri.
L’allineamento di questi edifici era interrotto dall’accesso, una struttura barocca con pilastri bozzati sormontati da leoni in marmo, e arricchita da una cornice a volute.
 
La villa sorgeva al centro di un parco immenso, con giardini all’italiana e all’inglese, delimitati da boschetti di bambù, laghetti, viali con statue e fontane.
Le pitture della villa furono affidate a Giovan Battista Tempesti e a Pasquale Cioffo e i Prini vollero che rappresentassero eventi riguardanti la città di Pisa, non per una scelta casuale, ma  per affermare l’appartenenza a questa città.
 
Purtroppo durante l’ultima guerra la villa fu distrutta, venne minata e fatta saltare dalle truppe tedesche in ritirata.


 
Fonti bibliografiche:
 
– A. Panajia e F. Sainati, Il Casino dei Nobili, Edizioni ETS, Pisa 2021.
 
-  A. Panajia, Il Casino dei Nobili, Edizioni ETS, Pisa 1996.
 
-  D. Gasperi e A. Gelli, Il parco e la villa Prini Aulla Mazzarosa, uno spazio da scoprire,     2018. Testo disponibile online.
 
-  M. A. Giusti, Il fiume, la campagna, il mare, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1988.
 
-  D. Barsanti, Pisa in età Napoleonica, Edizioni ETS, Pisa 1999.
 
-  D. Barsanti, I Toscanelli a Pisa, Edizioni Plus,Pisa 2005
 
-  Autori vari, S. Giuliano Terme – La storia. Il territorio, Giardini Editore, Pisa 1990.
 
NOTE
 
1) Fatte con il grasso di maiale.
 
2) Donazione di un bene da parte di un proprietario che si riserva su quel bene l’usufrutto per sé e i suoi discendenti. Il commendatario aveva diritto all’inalienabilità del bene commendato ed anche all’ambito grado di nobile.
 
3) Era l’urna che conteneva i nomi di coloro che aspiravano a diventare Gonfaloniere: i Prini vi erano inseriti di diritto.
 
4) Nel 1851 la Società del Casino dei Nobili si era sciolta ed era stata incamerata dalla Società delle Regie Stenze Civiche.
 
5) A: Panajia – F. Sainati: Il Casino dei Nobili,  Edizioni ETS, Pisa 2021.
 
6) Cera vergine, molto pura e raffinata, cera bianca ottenuta sbiancando la gialla.
 
7) Padella o crogiolo era il contenitore dove la miscela delle varie materie prime, mecsolate a rottame, veniva portato a fusione per preparare il vetro.

 

Nella foto Palazzo Prini a Pisa

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