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di Matteo Renzi, senatore e presidente di IV
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Da un'intervista a Maria Elena Boschi
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Di Mario Lavia
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di Roberto Sbragia - Consigliere provinciale di Pisa Forza Italia
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Copmune di Vecchiano - comunicato delle opposizioni
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Mauro Pallini-Scuola Etica Leonardo: la cultura della sostenibilità
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Incontrati per caso
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APOCALISSE NOKIA di Antonio Campo
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Di Fabiano Corsini
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Una "Pastasciutta antifascista"
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Pontasserchio, 18 luglio
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Pisa, 19 luglio
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di Alessio Niccolai-Musicista-compositore, autore
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Il mare
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Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
di Claudia Fusani
Mes, Patto di Stabilità, Immigrati: il governo nel “triangolo delle Bermuda” delle decisioni europee

22/12/2023 - 17:46




 NEWS


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Politica












Mes, Patto di Stabilità, Immigrati: il governo nel “triangolo delle Bermuda” delle decisioni europee

Per cui non è stato ascoltato come sperava. Sono state le 27 ore più difficili di questi quattordici mesi a palazzo Chigi. Il voto sul Mes deciso per vendetta dopo il patto di Stabilità. Si spacca la maggioranza e anche l’opposizione. Forza Italia si astiene. I 5 Stelle votano contro. Torna l’asse populista, antieuropeo e anti Nato Lega-M5s-Fratelli d’Italia.

Renzi: “Morto il campo largo. I progressisti del Pd non possono stare con i 5 Stelle”. L’irritazione del Quirinale

 

Patto per l’immigrazione, il Patto di Stabilità e il Mes.  E’ come il triangolo delle Bermude. E il governo ci si trova nel mezzo. Ha mezzi e capacità per tirarsene fuori. Ma la situazione è complessa e questa vigilia di Natale è un passaggio cruciale della legislatura, segna un prima e un dopo. In poco più di 24 ore palazzo Chigi si è trovato “approvati” da Bruxelles provvedimenti chiave, attesi da anni e da anni fonte di polemiche. Mercoledì mattina la presidente Ursula von der Leyen ha annunciato, con la presidente Metsola e la commissaria Johansson un Patto per l’immigrazione e l’asilo che se cambia qualcosa, lo farà in peggio per l’Italia. Il motivo è semplice: al di là delle modifiche che fanno superare in parte il trattato di Dublino, unificano le procedure per la concessione o meno dei permessi e introducono l’obbligo della redistribuzione (in alternativa il paese che rifiuta paga fino a 20 mila euro per migrante), i paesi di frontiera sono destinati a diventare l’hot spot d’Europa visto che non c’è nulla per le espulsioni nei paesi di origine. I commenti a Roma infatti sono pochi. Tranne il ministro Piantedosi per cui si tratta di un atto dovuto, gli altri tacciono. Soprattutto la Lega.

Sempre mercoledì, nel pomeriggio avanzato, tre quarti della squadra di governo è al Quirinale per gli auguri di fine anno con il Presidente Mattarella. Nessuno sa e neppure immagina che due ore dopo il ministro Giorgetti dirà che è stato approvato il nuovo Patto di Stabilità. Sono tutti convinti, i ministri, che ci sarà un altro rinvio,  alla prossima settimana. Addirittura ad anno nuovo. E così anche il Mes, il Patto salva-stati che in quelle ora staziona tra l’aula della Camera, dove Italia viva ne ha chiesto la calendarizzazione da mesi,  e la commissione Bilancio dove il governo lo ha rispedito pre prendere tempo. E’ la famosa logica a pacchetto, una parte di essa, che prevede lo scambio, il do ut des. Una partita tutta economica di cui facevano parte anche la riforma bancaria e l’armonizzazione fiscale.

Il via libera “a sorpresa” del Patto di stabilità
Il primo match prevedeva il via libera alla riforma del Patto di stabilità con le richieste italiane (più flessibilità e golden rule per gli investimenti in Difesa, transizione green e digital) in cambio della ratifica  del Mes. Invece Giorgetti mercoledì sera si è ritrovato il piatto pronto e anche un po’ mangiato sull’asse Francia-Germania. Il Patto di stabilità da firmare zitto e buono, così com’era già dieci giorni fa, all’ultimo Consiglio europeo quando invece il nostro ministro alzò il dito e disse “così non va” minacciando il veto. Escluse anche, Giorgetti, che avrebbe mai dato l’assenso ad un Patto così importante in una riunione a distanza. Anche Meloni era d’accordo, “mai in una videoconferenza”. Invece l’hanno approvato, così com’era e in una videoconferenza.  Come avevano annunciato i ministri economici francese (La Maire) e tedesco (Lindner) in una conferenza stampa della sera prima, loro due, uno accanto all’altro: “E’ stato chiuso l’accordo, siamo tutti d’accordo, anche l’Italia e l’amico Giorgetti”. Era martedì sera. Solo che pochi, in Italia, avevano colto che era tutto vero.

L’ultima carta
In realtà Giorgetti aveva capito benissimo e ne aveva parlato con la premier. Aveva ancora la speranza di un nuovo rinvio alla prossima settimana, almeno per salvare la faccia rispetto al “mai in una videoconferenza”. Dove invece ha parlato per ultimo e a cose fatte. Erano più o meno le sette di mercoledì sera.  “A quel punto - racconta una fonte di Fratelli d’Italia molto vicina al dossier - ci siano riuniti e abbiamo deciso di mandare in aula il Mes. Il giorno dopo. Lo avremmo sciolto dai lacci della Commissione dove lo avevamo rimandato per prendere tempo e lo avremmo mandato in aula la mattina. All’improvviso”. Una vendetta per il Patto di Stabilità? Un segnale a Bruxelles che non state zitti e buoni? “Non esageriamo. Sicuramente il via libera al Patto ha dato una grossa mano. A questo punto era inutile attendere ancora. Tanto valeva togliere il dente subito”.  Il problema era tenere unita la maggioranza. Fratelli d'Italia ha ritrovato la sua vecchia anima, l’antieuropeismo convinto, senza se e senza ma, per la gioia di Borghi, Bagnai e Salvini che si sono subito intestati “la vittoria”. La Lega cammina un metro da terra per la gioia: Salvini intravede il suo sogno, riportare Fratelli d’Italia e i Conservatori a destra, con Orban, diventare il gruppo più numeroso a Strasburgo, più del Ppe, non sufficiente per governare la prossima Commissione ma per essere centrale in una coalizione e dare così le carte. Il problema è Forza Italia, che è il Ppe in Italia. Lunghe telefonate con Meloni e Salvini. Il compromesso migliore che gli viene in mente è l’astensione. “Noi non possiamo votare contro” ha chiarito Tajani segnando il punto massimo dove può spingere l’asticella. Una decisione difficile per il segretario di Forza Italia. “Quindi mercoledì sera, molto tardi, abbiamo chiuso. Sapendo cosa sarebbe successo l’indomani” racconta la fonte di Fdi.
Torna l’asse populista
In realtà ieri mattina i deputati ancora non sapevano bene cosa fare e come. C’è stata addirittura un’inversione dell’ordine del giorno dell’aula perché il Mes era il terzo punto. E’ diventato il primo. Sui telefonini sono iniziati ad arrivare i messaggi, “tutti in aula, si vota il Mes”. Alcuni parlamentari erano fuori, con la bella giornata di sole, a fare interviste con le tv o a fare shopping.  Alle 12 e 48 il dado è tratto: 72 voti a favore della ratifica (Pd, Italia viva, + Europa, parte del Misto), 184 i contrari (Fdi, Lega e 5 Stelle, 44 gli astenuti (Forza Italia, Sinistra e Verdi e Noi Moderati di Lupi). Le coalizioni implodono. Macerie. Le dichiarazioni di voti sono uno triste spettacolo. Riccardo Magi di +Europa parla di un’Italia costretta ad obbedire all’asse franco-tedesco, “fatta uscire dal salotto buono e messa alla stanza dei bambini insieme ad Orban mentre gli adulti decidono sul futuro, anche dell’Italia”. Matteo Renzi vede in tutto questo la prova di come i populismi in Italia “non siano mai stati superati, anzi.

Oggi abbiamo visto la saldatura perfetta tra Lega e 5 Stelle e Fratelli d’Italia.

Il tris Salvini, Conte, Meloni. Un caro ritorno”. Il problema vero, per il leader di Italia viva, è Forza Italia: “Tajani ha tradito il mandato del suo partito, il legame con il Partito popolare, doveva votare a favore ma invece della chiarezza ha scelto l’astensione, il dubbio. E comunque - ha aggiunto l’ex premier - anche il campo largo è finito per sempre. Oggi è stato una volta di più chiaro perché i progressisti del Pd non possono accettare l’alleanza con i 5 Stelle”.  Si è spaccata la maggioranza. E si è spaccata l’opposizione, mai stata del resto troppo unita. Lo scontro è stato polarizzato tra Conte e Meloni. Solo in parte Giorgetti che, come tutti gli altri ministri non ha messo piede in aula. Decisione del Parlamento doveva essere e del Parlamento è stata. Quando serve per scaricare responsabilità il Parlamento torna centrale. Quello di Conte è stato un intervento pieno di rabbia e risentimento, in alcuni punti al limite della sollecitazione per le coronarie. “La premier che minaccia in Italia e va con il piattino in mano in Europa” diceva Conte. “L’ex premier che contraddice se stesso, che quando era a palazzo Chigi ha impegnato il governo per la ratifica  e ora, tre anni dopo, vota contro. Bell’esempio di coerenza e affidabilità” il senso degli interventi dai banchi di Fratelli d’Italia, dal capogruppo Foti in giù. Macerie, appunto.


Palazzo Chigi “prende atto” del voto e guarda alle Europee
Curioso come in aula ieri mattina non ci fosse neppure un ministro mentre invece in Transatlantico erano presenti molti portavoce. Giorgia Meloni ha seguito da casa. Fonti di palazzo Chigi dicono che “il governo ha preso atto del voto e della decisione del Parlamento” cercando di tenere il più possibile lontano da sé questa decisione. Le stesse fonti ne ridimensionano la portata: “In realtà è di relativo interesse e attualità per l’Italia”. E cerca di andare oltre: “Questo stop può essere l’occasione per avviare una riflessione. La verità è che questo voto schiaccia anche Giorgia Meloni e i Conservatori dove lei stessa non vorrebbe andare: verso la destra europea antieuropeista e anti Nato. Un profilo opposto rispetto a quello che ha cercato di costruire la premier in questi quattordici mesi. “In realtà - spiega una fonte di Fdi vicina alla Presidente - il nostro orizzonte ora sono le Europee, puntiamo a fare molto bene come Fratelli d’Italia e come Conservatori, ad essere determinati in maggioranza con i Popolari e nella futura Commissione e una volta dentro cambieremo nuovamente le regole del gioco”. A cominciare dal Patto di stabilità e dal Mes. Che ora  esce totalmente dal dibattito e dal calendario perché per almeno sei mesi non può essere prevista una nuova votazione. La verità è che il governo, per quanto assente perché “decide il Parlamento”, esce con le ossa rotte da questa settimana. Due ministri di peso come Giorgetti e Tajani hanno “perso” le loro battaglie. Giorgetti restando in piedi e a petto in fuori ma è stato sbugiardato da Salvini (“ha vinto la Lega, gli italiani non dovranno pagare le banche tedesche” due clamorose bugie) e messo ai margini dai colleghi dell’Ecofin. Per il titolare del Mef, per come si sono messe le cose,  questo era il momento più adatto per sciogliere il nodo del Mes. Inutile trascinare ulteriormente la questione. Tanto valeva rispettare la scadenza del 31 dicembre. Giorgetti però ha avvisato governo e alleati che “ci saranno conseguenze per l’Italia”. Non sul piano dei mercati (ieri lo spread ha avuto solo un leggero aumento) ma su quello dell’affidabilità e della reputazione: non essere coerenti e non rispettare l’impegno preso tre anni fa a ratificare il Mes è un pessimo messaggio. Proprio quello che Giorgia Meloni tollera di meno: non essere credibile e rispettata.  Quindi non è il caso di farsi illusioni sulle prossime partite europee, a cominciare dalla sede dell'Authority antiriciclaggio per cui è in corsa Roma.
Il Quirinale tenuto fuori
Se per Giorgetti sono state invocate le dimissioni (Appendino dei 5 Stelle, Schlein e Amendola per il Pd), non è andata meglio per Tajani. Decidere per l’astensione non è stato un grande messaggio per gli amici del partito Popolare. “Tranquilli, è stato tutto deciso e concordato, la maggioranza sta bene, non c’è alcuna crisi” ha ripetuto ieri più volte il capogruppo di Forza Italia Barelli. Pare invece che l’irritazione sia massima al Quirinale. Che non è stato neppure avvisato del voto. Per carità, Mattarella non ha mai pronunciato l’acronimo Mes e tecnicamente non se ne deve occupare. E però il voto di ieri va in direzione opposta a quella dell’integrazione europea anche a costo di qualche compromesso che invece è il pilastro di ogni intervento del Presidente della Repubblica. Una vigilia di Natale amara per il governo. Un insidioso triangolo delle Bermude da cui non si esce come prima e come se nulla fosse. Si capisce ora anche perché, al netto di qualche linea di febbre, la premier ha rinviato a dopo Natale la tradizionale conferenza stampa di fine anno. Sarebbe stato difficile rispondere alle domande dei giornalisti.








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