Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Una pioggia di missili e droni, contro decine di bersagli situati praticamente in tutte le maggiori città ucraine: il più massiccio attacco aereo lanciato dalla Russia contro l’Ucraina in due anni di invasione non è soltanto una terribile cartolina di auguri di Capodanno mandata da Vladimir Putin, ma è anche uno dei primi atti di una campagna elettorale che tra due mesi e mezzo porterà alla sua riconferma al Cremlino, per un quinto mandato di un regno che vorrebbe interminabile.
Chi attribuisce la notte di bombardamenti a una “rappresaglia” per l’affondamento, pochi giorni prima, della nave militare russa Novocherkassk, colpita da un missile ucraino nel porto crimeano di Feodosia, in qualche modo ha ragione: non nel giustificare, ovviamente, un attacco deliberatamente mirato contro infrastrutture civili, ma nel cogliere il senso del metodo putiniano, ignorato per due decenni da molti osservatori occidentali.
Un politico accorto, calcolatore, il “gran maestro di scacchi” laureato con lode alla scuola di astuzia dell’ex Kgb, avrebbe colto il momento di depressione e scoraggiamento, nella fase forse più difficile della guerra.Tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea entrambi in difficoltà con gli ostruzionisti che fanno degli aiuti all’Ucraina un ricatto, l’avanzata dell’esercito russo nel Donbass, i dissidi interni alla leadership di Kyiv e lo scoraggiamento di parte degli ucraini rispetto alle prospettive di una nuova mobilitazione e delle carenze di armi al fronte, la famigerata “stanchezza della guerra” avrebbe potuto essere un sentimento su cui lavorare con abilità diplomatica, ricamando e rammendando per raggiungere quel “compromesso” che la scuola della “real politik” considera inevitabile, prima o poi.
Invece dell’ago e filo, Putin ha usato il martello, ottenendo un coro di dichiarazioni di solidarietà internazionale con l’Ucraina, e anche qualche impegno più concreto, come la promessa di portare a regime la produzione di munizioni fatta da Josep Borrell, e l’invio di nuovi missili per la difesa antiaerea da parte di Rishi Sunak. Nulla può danneggiare di più i simpatizzanti di Mosca e i fautori dell’appeasement più di ospedali, scuole e grattacieli residenziali bombardati nel cuore della notte, in un attacco spietato quanto impossibile da giustificare.
Ma Putin non cerca compromessi. È in guerra, e la guerra nella sua visione è il privilegio dei forti, oltre che l’elisir di lunga vita della sua carriera politica: diventato un idolo dei russi quando ha bombardato la Cecenia, nei 25 anni successivi si è sempre risollevato nei sondaggi grazie ai missili sparati sui vicini. La guerra è la legittimazione e la giustificazione della sua dittatura, di quell’uso e abuso della violenza che lo rende leader. Cercare un compromesso diplomatico proprio mentre sta cercando una riconferma nelle urne - per quanto le “elezioni” in Russia siano ormai uno spettacolo televisivo e non una competizione reale - è un totale controsenso nella logica del putinismo, in quel patto tra il popolo e il suo leader che fa esultare il primo quando il secondo sgancia le bombe. Del resto, «i duri non chiedono scusa», recita la frase chiave della serie La parola del pazan, la saga sulle gang giovanili degli Anni 90 (i “pazan” appunto) che si è appena conclusa ed già diventata un cult, facendo versare ai critici russi fiumi di inchiostro per spiegare come questo inno alla violenza in otto puntate sia una metafora del putinismo.
Paradossalmente, potrebbe darsi che l’idea di Putin che i russi lo amino perché bombarda gli ucraini non sia del tutto fondata: proprio ieri un sondaggio ha svelato che il desiderio più diffuso per il 2024 sia la «pace», invocata dal 50% (al secondo posto la «salute», con il 40%), mentre la «vittoria» nella guerra contro l’Ucraina è stata chiesta a Babbo Natale soltanto dal 6% degli interrogati.
Considerando la scarsa affidabilità dei sondaggi, in una dittatura orwelliana che arresta perfino i sacerdoti che pregano per la pace, una metà di “pacifisti” è un risultato sorprendente. Anche se fosse vero, non avrebbe comunque alcuna possibilità di emergere dalle urne, perché dopo un quarto di secolo di putinismo, le elezioni si tengono non per far esprimere al popolo la sua volontà, ma per far legittimare Putin dal popolo. E Putin immagina il suo popolo come glielo mostra la sua televisione, come lui lo vuole vedere, in quel loop tipico delle dittature che prima alimentano gli istinti peggiori della folla e poi la schiacciano quando mostra scontento.
Putin vuole farsi eleggere come il presidente che bombarda l’Ucraina e minaccia l’Occidente.
È il suo metodo, è quello che alla fine sa fare meglio, anche perché con i ricavi delle grandi società russe dimezzati dalle sanzioni, e il rublo svalutato di un terzo rispetto all’euro in un anno, non ha molto da dire a chi gli chiede benessere e sicurezza.
Le mogli dei soldati furiose con il regime che manda a morire i loro mariti, le babushke con le pensioni falciate dall'inflazione, i malati rimasti senza medicine per le sanzioni, vengono esclusi dal panorama che si osserva dalla finestra del Cremlino.