Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Le ferie
La Mina cor su’ amïo Paolino,
convinti a ttrovà’ pposto ‘n lucchesia,
van nell’acqua d’un tale Giaomino,
avant’he primavera vagga via.
“ O Pao, ‘un c’è neanc’una ‘alòcchia!
Tutto preso da’ neri di difòra!
‘Un c’è pposto né a ppoppa né a ccapòcchia,
come sse fuss’agosto già dda òra!”
“O Mina, te ‘un ci ‘ndà’ troppo rasenti!
Se ti sbriga chi vede fiòo ‘ llume,
ti mett’anco ‘r collino sott’a’ denti!”
“O Lino, te ‘un indà’ verso ‘r marciume!
Se vedi ‘ tu’ fratelli scot’a’ vènti,
rigira,…sennò perdi pel’e ppiume!”
Il passo primaverile
Due animine, così sono chiamati i beccapesci, fanno il loro passo primaverile sulle acque del lago lucchese di Massaciuccoli, presso la cittadina di Torre del lago Puccini (Giaomino).
I torredellaghesi chiamano questi uccelli anche paolinacci, quindi nel branco c’è la Mina e il Paolino.
Il passo primaverile non è molto copioso come quello “agostano”, dopo la cova, e gli animali non pensano certamente di non trovare posto sui soliti paletti piantati in acqua e dove piace loro sostare (la ‘alocchia).
Quest’anno però c’è stato anche un fitto passo di altri uccelli che si sono ben presto abituati al nostro clima ed hanno trovato nelle nostre acque un bel ristoro: i cormorani (neri di difòra). Anche questi uccelli amano sostare sulla sommità dei pali e i nostri due amici si sentono come i poveri emigranti che andavano in cerca di fortuna con le navi (né a ppoppa né a ccapocchia).
Una raccomandazione, rivolta da uno dei due uccelletti all’altro, è quella di non volare troppo vicino alle rive, dove sono i capanni dei cacciatori, perché, in mancanza di altre prede, anche le animine sono considerate commestibili per coloro che hanno fame (chi vede fioo ‘ llume).
La reciproca preoccupazione è quella di non volare verso le zone dove l’acqua è bassissima, dove a volte restano asciutte le piante palustri e si creano delle marcite (marciume), perché anche lì ci sono i cacciatori, questi con le reti, che, per attirare i beccapesci nella trappola, legano uno di loro con le ali troncate ad un picchetto piantato in terra, affinché il branco in aria scenda alla vista del compagno che si dibatte (scote ‘ a’ venti) invano.
Fra curiosità e natura
Nel padule di Massaciuccoli veniva dato alle animine, meglio dette mignattini o piombini, uno strano nome.
I cacciatori con le reti, col metodo crudele avanti descritto, catturavano centinaia di animine con il piumaggio estivo lucente e fine. Uccidevano con un morso alla gola l’animale, cercando di non far uscire sangue per non sporcare il piumaggio, e ne facevano mazzetti di dodici che vendevano poi a commercianti fiorentini di cappellini da donna per la somma di un paolo a fascetto.
Da qui il nome paolinaccio.
Quando andavamo a caccia sulla riva del mare, nei mesi di ottobre e novembre, e non c’erano prede migliori, un passatempo era sparare alle animine. Bastava prendere un pezzo di legno e gettarlo in acqua che subito quei curiosi uccelli si buttavano sull’oggetto per controllare forse che non fosse uno di loro in difficoltà e quell’amore gregario era la loro fine, come nella caccia con le reti.
Io credo che il nome “animina” derivi dalla figura che disegna in cielo, quando vola, questa miniatura di gabbiano.
Le sue ali sono come una piccola V bianca che si muove lenta lenta come l’ultimo respiro dei defunti nel simbolo pittorico dato alle anime nei quadri religiosi.
Qualche tempo fa ero in un bar di Torre del Lago e ascoltavo attento i discorsi di alcuni avventori locali che parlavano di caccia e di pesca.
Soliti discorsi di: quando si chiappò un luccio di tre chili, una ventina di marzaioli, una bettibellata di anguille, tinche in umido, crognoli fritti, finché una frase mi fece ritornare trent’anni indietro.
Disse uno:
”Sapete di cosa sento la mancanza? Di un bell’arrostino di paolinacci!”