Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Si avvicina il 27 gennaio che in molti paesi è considerata una giornata particolarmente dedicata alla Memoria: memoria di persone, gruppi, fatti storici da far conoscere, da non dimenticare per non commettere oggi e domani gli stessi irrimediabili, irreversibili tragici orrori. Pubblichiamo quindi una scheda su Mariella Mehr una scrittrice appartenente ad una etnia poco, pochissimo conosciuta, quella dei nomadi Jenisch che la democratica Svizzera ha stabilito di integrare, rendere stanziali, omologare e farne sparire le diversità. Il fatto che si tratti di numeri non eclatanti ha fatto sì che questo tentativo di genocidio, non solo culturale, sia meno conosciuto degli altri. Paola Bernardini ha dato voce attraverso la vita e l’opera di Mariella Mehr alle tragiche vicende di questa piccola minoranza la cui storia emblematica è da conoscere e non dimenticare.
La Redazione di Spazio Donna
Mariella Mehr Scrittrice jenisch che ha vissuto per molti anni in Toscana «Qui avevo bei ricordi – racconta Mariella Mehr – E qui, ho deciso che posso sentirmi a casa». Nel 1926, la Pro-Juventute (PJ), un’organizzazione privata che si impegna per la gioventù, sviluppa un progetto per la realizzazione della sedentarità dei jenisch svizzeri che verrà chiamato “Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse”. Alfred Siegfired è il nome del direttore di questo programma, già direttore della divisione “Schule und Kind” (“scuola e bambino”) della PJ. Il programma fu attuato dal 1926 al 1974 dall’associazione Pro-Juventute, organizzazione svizzera di beneficenza nata nel 1912 e fu il governo svizzero a condurre e sostenere una politica semi-ufficiale che verteva ad istituzionalizzare i genitori Jenisch come “malati di mente”. Secondo le teorie razziste ed eugenetiche il nomadismo è infatti un comportamento “ereditario-criminale che deve essere estinto. I bambini venivano sottratti ai genitori e messi in orfanotrofi, in istituti psichiatrici e in alcuni casi in prigioni. Il progetto prevedeva il cambio di identità dei bambini, così come la rieducazione linguistica. Alle giovani donne veniva praticata la sterilizzazione. Un progetto che rubò infanzia e vita a centinaia di bambini che, nelle famiglie affidatarie e negli istituti, subirono violenze e abusi indicibili dai quali è impossibile guarire. L’allontanamento coatto provocava sui bambini e sugli stessi genitori grandi traumi psicologici con manifestazioni di ribellione e grande risentimento anche verso le stesse istituzioni. Ma il dramma di questi bambini, non finiva lì, come fa sempre notare la Dottoressa Icovino: “Numerosi furono i casi di abuso sessuale sui bambini e soprattutto sulle bambine e sugli adolescenti, vittime di questo progetto di risanamento, non protetti dai genitori, che nel frattempo dovevano combattere con la depressione, l’alcolismo e i problemi interpersonali sorti tra i partner. Molti [furono] i casi di morte precoce.” Il programma coinvolse dai 600 ai 2000 bambini nomadi, che di fatto, furono allontanati in tenera età dalle famiglie originarie. Quel programma è tutt’oggi un tema molto scottante per la coscienza dei cittadini elvetici. Nel 1987, il presidente della commissione della fondazione, Bernasconi, pronuncia per la prima volta le scuse da parte della PJ [Pro-Juventute] verso gli appartenenti al popolo Jenisch e, nel 2000, la Svizzera ratifica la convenzione dell’Onu del 1948 riguardo alla prevenzione e alla punizione del genocidio. Oggi ci sono 35.000 Jenisch che vivono in Svizzera e sono concentrati per lo più nel Cantone dei Grigioni. Di questi, solo 5.000 sono nomadi. Mariella Mehr nacque il 27 dicembre del 1947, a Zurigo in Svizzera, da madre Jenisch. Come tutti i bambini nomadi svizzeri fece parte di questo programma. Fu quindi tolta alla propria madre, mentre era piccolissima, crescendo in 16 diverse case famiglia e in 3 istituzioni educative. Quando aveva 18 anni come per sua madre, le tolsero il figlio. Questa opera di sradicamento fece crescere la sua rabbia verso le istituzioni e divenne ben presto una ragazza ribelle. Subì 4 ricoveri in ospedali psichiatrici, violenze ed elettroshock e venne perfino reclusa per 19 mesi nel carcere femminile di Hindelbank nel Canton Berna. La Mehr ha fatto della denuncia della persecuzione del suo popolo in Svizzera (un fenomeno di cui si sapeva pochissimo fino alla fine degli anni Ottanta) il centro della propria scrittura. Dal 1975 ha sistematicamente denunciato con articoli giornalistici la condizione dei nomadi e scavato nella dimensione del dolore e della prevaricazione con i suoi romanzi e le sue poesie. Nel 1996 ha scelto di trasferirsi in Toscana , a Lucignano, con il compagno Ulli Ellemberger. Il soggiorno di Mariella Mehr in Toscana non è stato definitivo. Quando le ombre del passato hanno nuovamente preso il sopravvento, è ritornata alla sua condizione di alcolista. Da allora si è trasferita a Zurigo dove muore nel 2022. L’opera letteraria di Mariella Mehr è strettamente legata alla sua biografia. Il suo primo romanzo Steinzeit fu pubblicato nel 1981; in italia il libro fu tradotto con il titolo Silviasilviosilvana nel 1995. Era la storia di una “perdita di identità” narrata dal punto di vista di un donna maltrattata, seviziata, segregata. Il marchio, Labambina e Accusata sono i romanzi che compongono La trilogia della violenza, tre pannelli netti e crudeli per raccontare, tra sogno e realtà distorte dalla sofferenza, una storia di esclusione: l'accanita persecuzione di un'etnia nel cuore della ricca Svizzera del secondo Novecento. Ai libri autobiografici si aggiungono le raccolte poetiche: Notizie dall’esilio, San Colombano e attesa, Ognuno incatenato alla sua ora. Della persecuzione degli jenisch in Svizzera parla anche il romanzo di Mario Cavatore Il seminatore. Il seminatore è Lubo e la sua semina sono duecento figli. Duecento figli contro due: quelli che gli sono stati portati via senza ragione in una notte del 1939, quando il pensiero che certi popoli non avessero il diritto di esistere stava segnando il mondo. È questo il progetto di Lubo: inseminare il maggior numero possibile di donne svizzere, mescolare il sangue. Perché Lubo è uno zingaro, e questa è la sua vendetta contro la storia. Dal romanzo è stato liberamente tratto il film Lubo di Giorgio Diritti con Franz Rogowski, uscito nel 2023.Paola Bernardini