Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Ride’ per ‘un piange’…
Grassa e grossa, pelle gonfia e grinzosa,
piena di frignoli e corta di ‘ollo,
ar culo sembra ni manchi ‘varcosa,
ma se llo tasti ci prendi l’ammollo.
Mai co’ nimmo ci fece franella
come la ‘ugina dolla cosciona,
e ce ne vorse a sartà’ la nzannella
ar poverino ‘he lla vidde un po’ bona.
Mapperò lei ‘un si move d’un velo
neanco se cc’è l’arrìsio vicino,
e prende ‘n giro chi tira er trapelo.
Per le su’ nozze vò ffa’ ‘n ber girino
e cor marito piovuto dar cielo,
va lemme lemme facendo festino.
L’anti diva
Qualche anno fa, in una trasmissione televisiva che andava in onda all’ora di pranzo con il solito immancabile premio, venne citato da Giampaolo Testi, notissimo e pisanissimo uomo di cultura, un detto pisano che doveva essere “tradotto e spiegato” dagli utenti ascoltatori delle altre città.
Il proverbio era:
“La bodda per ‘un chiede ‘un ebbe ‘oda! “
Non vinse nessuno!0
Povera bodda (o è meglio dire rospo?), sei grassa e grossa, con la pelle piena di rughe e pustolette, con la testa attaccata al corpo senza ombra alcuna di collo e con il maledettissimo vizio di piscettare addosso a tutti quelli che ti si avvicinano anche con buone intenzioni. Almeno ti fossi degnata di chiedere una parvenza di coda a Domineddio quando, finiti di fare gli animali, stanco e frastornato, Lui chiese a tutti se si fosse dimenticato, nella furia, qualche cosa che poteva essere utile alla loro nuova vita che si apriva nel mondo. La vanitosa giraffa chiese il collo più lungo perché voleva mangiare quello che gli altri erbivori non arrivavano, il ghiotto picchio chiese il becco più duro delle pine che nascondevano un cibo superlativo, i camaleonti vagabondi una lingua lunga per non doversi spostare tanto, neanche per mangiare, ma la timida “bodda” non ebbe il coraggio di chiedere niente, nemmeno una piccola piccola coda.
La cugina rana è vispa, colorata, allegra, agile, corteggiata, decantata da novellieri, eroina di romanzi di guerra, la vogliono far diventare principe, la espongono in giochi di salto in alto e in lungo, ma lei, “la bodda”, è evitata da tutti e lei allora evita tutti.
In una sola novella il brutto rospo è considerato un essere degno da salvare: è quella che racconta di un mulo che trascina un carico talmente pesante da farlo barcollare. Il crudele barrocciaio percuote l’animale a sangue e aumenta le percosse ancor di più quando lo vede fermarsi senza un’apparente ragione. Una povera bodda sta rannicchiata nel solco (la ‘nzannella) e sarebbe sicuramente morta se le ruote avessero percorso quell’obbligata via. Il mulo, stremato, fa un titanico sforzo per far uscire il carro da quel binario che gli facilita il traino, e, sebbene martoriato dalle frustate, riesce a caro prezzo a salvare il rospo.
Un altro detto pisano attribuisce alla bodda una serafica calma e una proverbiale filosofia nello scorrere del destino: “Disse la bodda all’erpio… a ritorno!”
Così disse il rospo, che se ne andava calmo e tranquillo fra le zolle di un campo cercando becetti e scarafaggi, all’erpice che stava pericolosamente (l’arrìsio vicino) lavorando ad un pelo dalla sua testa.
E così si dice ad un pericolo che si sa essere presente sul lavoro, nel gioco, nella vita in generale, ma che viene sottovalutato, o anche addirittura ignorato, nel e per il raggiungimento dello scopo prefisso.
Quando piove da molto tempo, la stagione è umidissima e i temporali frequenti, il contadino pisano giurerebbe che:
“E’ un tempo da bodde” oppure che:
“Gira gira piove anco ‘ boddicchi”
I grossi goccioloni di pioggia saltellano come rospetti sulla strada, la bodda esce dalla tana incurante dell’acqua, si fa montare dal piccolissimo maschio e, finalmente desiderata e amata, se ne va lemme lemme senza più preoccupazioni di code, muli, solchi, erpici, ma con il solo desiderio di andare a fare un …girino!
Fra curiosità e natura
Il rospo è, come il serpente, un animale molto poco ben visto dall’uomo che si dimentica della sua utilità nello sterminare milioni di insetti nocivi, presentandosi con una particolare bruttezza e goffaggine.
Fin dall’antichità al rospo erano attribuiti simboli demoniaci dovuti anche alla sua particolarità, solo in caso di pericolo, di secernere un liquido irritante ed a volte velenoso.
Solamente nei paesi orientali esso viene apprezzato per la sua divinazione della pioggia ed in Vietnam è detto “zio del cielo” e chiunque lo colpisce sarà fulminato dal Cielo.
Lato infernale e tenebroso della rana, alla quale invece è stato dato il simbolo della resurrezione, il rospo fino a tutto il Medioevo ha un ruolo predominante nella magia.
Si diceva che le streghe tenessero uno di questi animali sulla spalla sinistra, li vestissero di velluto nero e li facessero ballare per poi scorticarli a morsi e farne ingredienti per i famosi filtri magici dei fumanti calderoni.
Si diceva che fossero le reincarnazioni dei peccatori e che possedessero nella testa una pietra magica, la bufonius lapis, che serviva a scoprire i veleni e come rimedio contro molte malattie incurabili.
La cenere di tre rospi bruciati vivi e mescolata con miele o pece, era una potente medicina come quella ricavata dall’umore interno che colava dall’animale legato per le zampe posteriori sopra un vaso di aceto bollente e come l’altra fatta con il cuore e il fegato avvolti in un panno cenerino e portati addosso dagli appestati.
Al gesuita Anastasius Kircher venne in mente che il rospo fosse un contenitore dei veleni che erano nell’ambiente e l’animale godette finalmente di un po’ di pace, ma..
se il rospo aveva il potere di assorbire i veleni, quando non sarebbe stato più in grado di trattenerli sarebbe divenuto pericoloso per l’uomo e l’ambiente circostante e allora di nuovo la caccia al rospo!
Si dice anche che, e questa è notizia dimostrata dal ricamo sopra il mantello di papa Clemente V conservato in un museo francese, che Gesù offrì a Giuda non un pezzo di pane, ma un rospo e che in un quadro di San Michele, nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, il santo infilza un enorme rospo e non il solito drago.
Non vale, per la riabilitazione dell’animale gonfio e purulento, la credenza dei Maya che vedono nel rospo un dio della pioggia o che uno dei massimi studiosi di simbologia, Louis Charbonneau-Lassay, nel suo Bestiario di Cristo, dica che: ”Animale utile nell’economia generale della creazione, il povero rospo merita di essere trattato meglio dall’uomo che esso aiuta, a suo modo, quanto la rondine o la beccaccia”.
Pensiamoci.