Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Ospito su questa mia sezione un racconto di un caro amico, una commovente storia di un amore che oggigiorno non esiste più o almeno è molto affievolito.
"Vorrei chiederti di una storia che mi ha raccontato mio padre".
"Quale storia?"
"Sai mi pa’ spesso mi parla di un ambiente incantato che pare non esista più; quando me ne parla leggo nei suoi occhi una grande nostalgia. Mi pa’ mi ha parlato di tuo nonno e di tuo padre. Dice che loro conoscevano benissimo quell'ambiente che un tempo faceva parte della vita del nostro paese e che adesso è storia.
Credo che sia il Padule, il lago e la strada per arrivarci."
Mio padre ha avuto la gioventù molto difficile avendo un grande handicap dovuto alla vista, fino all'età di venti anni non vedeva, ma tutto si risolse dopo un intervento chirurgico eseguito in America, dove lui visse per qualche anno. In quei tempi a Vecchiano vi era un lavoro che era vissuto al contatto con quell'ambiente fantastico che era, il padulaio, ed era quello che faceva mio nonno, lavoro tramandato a sua volta da suo padre, erano cacciatori e pescatori. Mio padre nacque per primogenito ed in lui mio nonno aveva riposto molte aspettative per far diventare anche lui un padulaio nella contrarietà di mia nonna che sognava per lui un lavoro diverso, magari agricoltore o cavatore, senza passare le nottate in palude con le conseguenze per la salute dovute all'umidità (e alla malaria). Dopo qualche mese dalla nascita si accorsero che non vedeva, lo fecero visitare a diversi dottori ma senza speranza, almeno che in un miracolo. La delusione e la preoccupazione in mio nonno era tanta, voleva insegnare il mestiere a suo figlio ma questo handicap bloccava le sue idee. Intanto mio padre cresceva stando in casa insieme a mia nonna, finché una sera, all'ora di cena, proprio lei disse a mio nonno: “portalo ugualmente in padule non vede ma sente poi è giusto che anche lui abbia un ruolo in questa società”. Mio nonno si convinse e decise di portarlo con sé. La strada per arrivare al lago era lunga e veniva fatta a piedi e spesso di notte. Loro abitavano alla Fornace, un rione di Vecchiano sotto le pendici del Monte Castello dove sorge il santuario della Madonna della val di Serchio da dove da lassù si può vedere tutta la valle fino al mare in lontananza ed il lago e suoi chiari e la bonifica. Quella notte d'estate vi era la luna piena e la strada era illuminata, mio nonno conosceva quella strada come le sue tasche, ma con mio padre era molto difficile anche perché la strada era piena di buche. Partirono verso le quattro, mio padre era in incuriosito dai rumori e dai profumi che lungo la strada si alternavano tanto da riconoscere un luogo dai rumori e dai profumi. Il canto dei grilli e il profumo di mortella ed il canto della civetta facevano riconoscere che il monte era lì accanto, finché arrivarono al Fontanaccio e lì cambiarono i rumori, lo scrosciare dell'acqua ed il canto dei ranocchi ed il fuggire di una gallinella d'acqua impaurita faceva capire che vi era un laghetto ed una polla d'acqua, luogo che durante il giorno era meta di lavandaie e un abbeveratoio per i cavalli. Intanto la luna era offuscata da una leggera nebbia ed il vento di monte era rinforzato, erano sotto il Legnaio un piccolo monticello zona di cacciatori di tordi e di olivi, intanto un coniglio selvatico fuggiva tra i loro piedi, nei campi il grano era maturo e le lucciole facevano compagnia lungo la loro strada. Mio nonno era preoccupato, ma la voglia di riuscire nel portare mio padre in padule era tanta come le domande che gli faceva mio padre. “Stai attento ci sono due fosse nella strada sono fatte dalle ruote dei carri(barocci) che caricano la pietra per portarla con il barchetto a Viareggio per fare il porto. Li caricano sul fosso dei Navicelli, poi dal fosso Barra tirando il navicello con l’alzaio, che sono corde legate al navicello e tirate dall'argine da due barcaioli, fanno arrivare il barchetto carico di pietre al lago dove con la vela ed il vento di monte e la stanga arrivano fino a Viareggio per poi tornare, dopo avere scaricato e con l'aiuto del maestrale, al porto di partenza alla Fontina, una polla d'acqua che sa di ferro ma che è dissetante. La strada compariva nel racconto di mio nonno, mio padre non si stancava e continuava nel chiedere. Oramai il lago si avvicinava e l'odore della torba entrava nel naso, mio padre chiese cosa fosse e mio nonno rispose: “è terra nera strappata al Padule”, intanto il coro dei ranocchi continuava e gli scialbi dei pesci nei fossi rompevano il silenzio della notte, l’umidità era molta, fino a far bagnare i vestiti. Era quasi l'alba quando lungo lo stradone dei Boccali trovarono Rigoletto, pescatore di ranocchi con la rete a batti-ciglio. La notte i ranocchi si rimpiattavano nei cigli dei fossi tra la gramigna e lui, con una rete fatta a sacco, si penzolava sul fosso sbattendo con un bastone sul bodo e facendo saltare i ranocchi nella rete che,dopo essere stati puliti e sviscerati, andavano sulla tavola spesso fritti. Erano oramai alla barca, mio nonno disse a mio padre di non fare rumore anche se ora la caccia era chiusa, ma era bene che prendesse abitudine nel parlare piano per evitare di disturbare gli uccelli che pascolavano nel padule anche perché in seguito, quando la caccia sarà aperta, ci sono delle regole e persino sciogliere la catena della barca era un'operazione molto curata perché se eseguita male poteva destare noie con i cacciatori. Proprio in quel momento una germana, che aveva covato probabilmente nella palude cantò con una voce grossa che impaurì mio padre, mio nonno subito disse: “è una germana un uccello che di solito è frequente in inverno col freddo”. Presero la barca mio nonno, fece sedere mio padre dicendoli di stare fermo, e si inoltrarono nei calatini, strade sull'acqua che la barca solcava, quasi scivolava senza fare il minimo rumore. In quel luogo solo il rumore della natura doveva regnare e coloro che lo frequentavano conoscevano il rispetto, una legge tramandata da sempre. Montare sulla barca per mio padre era un'operazione difficile, ma diventò facile con l'aiuto di mio nonno. Mio padre chiese: “dove andiamo?” Mio nonno gli disse: “prima di andare al casotto voglio riguardà dei bertibelli, voglio vedere se si chiappa una tinca, così mamma stasera si fa un bel risotto”. Al primo che tirò su, mio padre chiese cosa co fosse, aveva sentito uno sciarbo, mio nonno gli rispose: “è un bel luccio, se un sì chiappa la tinca si mangia di sicuro il luccio sui carboni, a te piace molto”, mio padre gli disse “sì, ma speriamo di chiappa qualche anguilla che mi piacciano fritte ed anche con la pastasciutta”. Il mio nonno rispose “l'importante è intrugolà il tegame, la pesca si chiama così, altrimenti si chiamerebbe pescheria”. In un bertibello presero una tinca e diverse anguille. Intanto erano arrivati sur lago, era l'alba; il vento di monte rendeva il lago calmissimo dalla nostra parte, in lontananza si vedevano le vele dei barcaioli carichi di pietre che stanno per entrare nella palude lucchese. Il canto forte di un cannaiolone,un piccolo uccelletto di palude, scosse mi padre, mio nonno lo rassicurò: “qui sentirai molti rumori chiedimi pure che io ti dico cos'è”. Il marobbio, un’erba galleggiante, riempiva gran spazio dell'acqua e faceva la grande opera di ossigenazione. In cielo un branchetto di uccelli solcando l'aria procurò una ventata ed un canto che sgranellava, subito una domanda di mio padre, erano un branco di marzaiole, uccelli che arrivano in primavera che insieme ai cavalieri d'Italia e altri uccelli passano l'estate e nidificano nel nostro lago. Da quel giorno mio padre accompagnò sempre mio nonno in padule. Arrivò l'autunno, stagione di caccia. I signori che di solito mio nonno accompagnava a caccia lo contattarono per sapere se era tutto pronto e se si incominciava a vedere qualche folaga. Nonno disse subito di sì, così sarebbero subito venuti a caccia. C'era però da presentargli mio padre che con la sua diversità poteva recar loro problemi. Mio nonno era preoccupato e non sapeva come gestire la situazione e ne parlò con mia nonna la quale con serenità gli rispose: “lui è nostro figlio quindi prendono il capanno, te cacciatore e nostro figlio, non gli hai mia chiesto l’aumento! Quindi che stiano buoni e che si ricordino che loro sono nati con la camicia e che per loro la caccia è un divertimento e che per noi significa mangiare”. Mio nonno sorrise e rispose: “quando ti sposai sapevo che eri una grande donna e me lo stai dimostrando”. La mattina seguente i signori si presentarono per la caccia, mio nonno aveva preparato le Botti (Capanni di caccia) ed aveva già posizionato le stampe (uccelli finti), le anatre da richiamo erano già nella balletta pronte per essere legate alle pastoie (pesi per tenerle ferme). Mio padre era già seduto in barca e venne presentato da mio nonno. Un saluto e partenza, arrivati nel lago che erano le quattro e mancava un'ora all'alba scura, fece scendere nelle botti i signori e con mio padre andarono a mettere le anatre. Ritornati alle botti nello scendere uno dei signori si accorse dei problemi del ragazzo e bisbigliò negli orecchi di mio nonno: “scusa ma sarà il caso di tenerlo nel capanno?” Mio nonno a voce alta gli rispose: “questo è mio figlio quindi se volete venire a caccia con me c’è anche lui, si è cieco ma non è sordo e conosce il rispetto, vedrete che vi sorprenderà, sa fischiare e zampognare alle folaghe benissimo”.
Mio padre inizio a fischiare e zampognà alle folaghe ed i signori rimasero meravigliati e si congratularono con nonno dicendogli: “sei proprio un maestro bravissimo”.
Passarono le giornate di caccia ed i mesi, finché un giorno arrivo una lettera di un parente che era emigrato in America dove si diceva che a San Francisco c'erano dei dottori che potevano fare qualcosa per far tornare la vista a mio padre. Mio nonno subito riscrisse mandandogli una specie di cartella clinica e chiedendo di fargli sapere. Col passare i giorni l'idea del miracolo era nella testa di tutta la famiglia e persino nei cittadini del paese, inoltre c'era da pensare ad i soldi per andare laggiù finché un giorno arrivò la risposta: mio padre poteva vedere con un intervento in America. Forse un miracolo stava per accadere ma ora mancavano i soldi. Mia nonna subito non si perse d'animo, incoraggiò mio nonno e subito informarono la comunità Vecchianese tramite il curato, il quale dette la notizia del pulpito durante la messa della domenica. La povertà in paese era di casa ma questo miracolo andava sostenuto. Infatti anche i signori del tempo, compreso quelli che venivano portati a caccia nel nostro padule, si impegnarono negli aiuti. Nel giro di pochi mesi si arrivò alla quota che occorreva. Ora c'era però da pensare a chi doveva partire con il ragazzo, abbandonare la famiglia ed emigrare questa volta non per lavoro ma per una speranza. Venne presa la decisione, la nonna venne scelta mentre nonno rimaneva per lavorare ed accudire con l'aiuto dei parenti ed amici ai figli.
La partenza era da Genova con un grande bastimento e con un carico di speranza di un domani migliore e tra queste anche un miracolo con l'aiuto di Dio e del progresso della medicina.
Sulla banchina a salutare con tristezza e gioia mio nonno e i miei zii. La speranza e la tristezza sensazioni di una mattinata grigia, la speranza di una luce che mio padre non conosceva e la tristezza di mio nonno che vedeva partire la moglie ed un figlio per un paese lontano.
Piano piano, mentre il bastimento si allontanava, gli occhi di mio nonno si abbassavano ed il cervello correva verso l'idea del ritorno con la luce negli occhi di mio padre.
Alla fine mio nonno alzo gli occhi e guardo i comignoli del bastimento oramai lontano e disse: “andiamo a casa che domani c'è da tornare in padule, ora c'è solo d'aspettare il ritorno, che Dio ci faccia la grazia”. Dopo un viaggio di circa un mese mia nonna e mio padre arrivarono a San Francisco, sulla banchina c'erano i miei parenti che cercarono di metterli a loro agio, mia nonna vedendo quel mondo diverso rimase con la bocca aperta, quei grattaceli, i bus che sfrecciavano e quelle strade asfaltate con qualche macchina. Lei che era abituata alle strade inghiaiate ed ai carri tirati da cavalli rimase entusiasmata dalle differenze e il suo pensiero corse subito al miracolo che avrebbe dato la vista al figlio. Qualche giorno per ambientarsi e poi vennero chiamati dal gruppo dei dottori che avrebbero eseguito l'intervento, i quali li rassicurarono che tutto sarebbe riuscito perfettamente e che nel giro di pochi giorni sarebbe stato eseguito. La gioia si leggeva negli occhi di mia nonna e il sorriso di mio padre era raggioso. C'era da attendere e non farsi prendere dall'ansia. Decisero di fare un giro per la città. Mio padre non sentendo più i rumori di dove era abituato a vivere, chiedeva in continuazione cosa ci fosse intorno a lui. Mia nonna anche lei era frastornata da quel mondo nuovo e anche lei chiedeva ai parenti e riferiva al figlio. Il giorno prescelto arrivò. Mio padre venne portato in sala operatoria, mia nonna rimase in sala d'attesa con un rosario in mano, che spippolò per circa tre ore. Poi arrivarono i dottori che dissero “tutto ok” . Ora c'era da attendere qualche giorno per capire se tutto era andato per il meglio, inoltre c'era anche da pensare che alla psiche di mio babbo che non aveva mai visto la luce. Mia nonna chiese quando avrebbero levato le bende e il tempo di recupero. I dottori dissero qualche giorno, ma mio padre sarebbe dovuto rimanere lì per qualche tempo e sarebbe stato meglio magari anche qualche anno, anche perché l'Italia non era proprio lì dietro l'angolo. Mia nonna a queste parole prese carta e penna e scrisse a mio nonno riferendogli quello che le era stato detto. Parlando con i parenti decisero che mio padre sarebbe rimasto lì per qualche anno e che lei sarebbe tornata a Vecchiano entro un mese. Ora c'era da aspettare qualche giorno per vedere il risultato. Mio padre non stava più nella pelle. Venne il grande giorno, un miracolo stava per accadere, il giovane cacciatore vecchianese figlio di un padulaio stava per vedere il mondo fino a quel momento ascoltato. Il sole, il cielo e tutto il resto, piano piano insieme ai colori, furono parte di un ragazzo che aveva solo ascoltato quello che era intorno a lui, sua madre quasi sveniva quando venne abbracciata dal suo bambino oggi senza diversità . Piano piano mio padre prese dimestichezza con il mondo, c'era da imparare a scrivere e leggere. Mia nonna doveva tornare in Italia e mio padre rimase lì ma i rumori ed i profumi del suo padule vecchianese erano sempre nei suoi pensieri; imparò molto bene l'americano ma il vecchianese non l'abbandonava come quegli sciarbi di uccelli e di pesci nel suo amato lago. Mio padre ben inserito nella comunità italo americana conobbe una giovane toscana emigrata per fame, era viareggina della ripa lucchese del lago. Un amore profondo che presto divenne qualcosa di più e un altro sogno stava arrivando insieme alla voglia di tornare a Vecchiano. Lavoravano sodo mio padre e quella che un giorno sarebbe diventata mia madre. Passarono 15 anni e un giorno partirono con qualche dollaro in tasca e soprattutto amore e la contentezza di tornare nell’amata Vecchiano e ritrovare il suo mondo affascinante ricco di ricordi una volta ascoltato: il padule . Sulla banchina ad aspettarli a Genova mia nonna e il nonno, vedere suo padre maestro di caccia e di vita, per mio padre fu un momento di pianto di gioia, un abbraccio enorme come una calamita, fatto di singhiozzi poi di corsa al treno verso l’amata Vecchiano. In paese si era preparata una grande festa, l’americano stava tornando nella sua Vecchiano insieme al suo amore che avrebbe dato un frutto. Persino la fisarmonica vecchianese e il sindaco erano ad attenderli ed anche il curato. Erano tutti in piazza Garibaldi. Mio padre ringrazio la comunità vecchianese e subito chiese a mio nonno come era la caccia e la pesca in padule. La risposta fu una scrollata di testa, come dire lasciamo perdere, ma mio padre rifece la domanda e a quel punto mio nonno disse: “appena ti sei ripreso dal viaggio ti ci porto così ti rendi conto delle differenze dei rumori che hai lasciato molti anni fa e quelli di oggi e potrai anche vedere in che condizioni è oggi quel luogo per noi una volta ricco di fascino”. Vecchiano era cambiato, per le strade c’erano le macchine e con le cave in paese c’erano i camion e le mine che facevano tremare le case. Mio padre la mattina dopo tornò nel lago con mio nonno, ma non vi erano più i rumori che aveva ascoltato anni prima, erano arrivati i motori nautici, la strada per arrivarci era cambiata, tutte le modernità del progresso. Mio padre torno a casa con una grande delusione che ancora oggi si legge nei suoi occhi quando parla o sente parlare del suo lago amato.
“Ho capito adesso caro amico che è successo a tuo padre, una storia bella e per certi sensi anche malinconica, bisognerebbe scriverla un giorno per lasciare una memoria di un mondo che oggi è del tutto cambiato. Sai che facciamo? Andiamo a fare il percorso che faceva il tu babbo insieme al tu nonno per arrivare al lago? Si va in bici? Dobbiamo avvertire a casa, come si fa? Si va col motore e manda un messaggio col telefono che andiamo al lago così a casa lo sanno e non si preoccupano.
Ma che storia è questa qua?"
Molta fantasia ma sull’ambiente è tutta verità!
Massimo Cerri