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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
di Paolo Pombeni
La politica del super-leader

2/5/2024 - 18:05

                    La politica del super-leader


Se ne discute da più di un secolo: è la questione politica del leader politico nazionale che deve riassumere in sé senso e messaggio di una visione. Si sono sprecate le definizioni: demagogo, capopopolo, lider maximo, capo amato e venerato, il migliore, giusto per ricordarne qualcuna. Da questo punto di vista, poco di nuovo sotto il sole. Neppure l’indicazione sulla scheda elettorale di un candidato preminente può stupire: lo ha fatto Berlusconi e altri ne hanno seguito le orme.
Eppure quel che sta accadendo per le elezioni europee qualche novità la presenta. Infatti fino ad ora l’indicazione del nome del leader di una formazione in modo da certificare un consenso alla sua persona era connessa con la sua candidatura ad occupare il ruolo di guida di quella formazione nel contesto parlamentare e, se possibile, di governo.

Ora invece chiedono il voto per sé stesse personalità che si suppone guideranno l’azione delle loro forze politiche di riferimento (per alcune è quasi garantito, per altre è un’aspirazione), ma che lo faranno dall’esterno delle istituzioni per le quali si chiede agli elettori di scegliere i propri rappresentanti.
Nella sua banalità la questione è presto spiegata: Meloni, Schlein, Calenda, Tajani e qualche altro si candidano non per essere eletti al parlamento europeo, perché si sa bene che non ricopriranno la posizione in palio, ma semplicemente per testare il loro gradimento presso l’opinione pubblica nazionale. Poco importerà se, come prevedibile, la partecipazione elettorale sarà circoscritta, quel che conta è esibire una buona percentuale di consenso personale rapportandola a quella riscossa dagli avversari.
Giorgia Meloni l’ha detto con cristallina chiarezza: chiede agli elettori di esprimere un giudizio sulla sua persona come guida di una nuova fase politica. Gli altri fanno lo stesso, ma sono più cauti nel dichiararlo così apertamente. Anche in questo caso la ragione è semplice: solo Meloni può spingere a fondo sulla personalizzazione della leadership, perché in quanto alla testa di un governo sta facendo una politica di cose valutabili e che si propone di portare avanti (piacciano o meno) e perché non ha rivali all’interno del suo partito (ha brutalmente ricordato che non è nel PD…).
Gli altri candidati che la imitano non godono della stessa posizione. Per accentuarla “Giorgia” (come ha chiesto di essere indicata dai votanti sulla scheda per sottolineare questa personalizzazione) spinge al confronto con Schlein, che è caduta nel trabocchetto del duello a due, e marginalizza gli altri, o indicandoli in modo indiretto (Conte) o non prendendoli proprio in considerazione (Salvini). Evidentemente la premier punta a consolidare un accreditamento che sia ad un tempo nazionale ed internazionale. Il primo aspetto è stato colto da tutti, amici o avversari che siano, il secondo molto meno.
In fondo per la supremazia a livello interno a Meloni sarebbe bastato anche il successo del suo partito, che secondo i sondaggi staccherà nettamente non solo gli avversari, ma anche gli alleati: dunque non aveva veramente necessità di una specie di plebiscito a suo favore. È a livello internazionale che deve ancora ampliare il suo accreditamento, in modo che sia in Europa che fuori di essa ci si convinca che il nuovo equilibrio politico che si è instaurato non solo sarà stabile, ma farà irrimediabilmente perno sul suo carisma.
Naturalmente in politica nulla è mai garantito e quindi non è che questo modo di vedere le cose sia inossidabile. Per consolidarlo almeno nel medio periodo la premier avrà bisogno che le tornate di elezioni amministrative confermino la preminenza di FdI. E qui la faccenda si complica, perché a livello regionale e locale non può risolvere nulla avocando a sé la regia, mentre la sua classe politica è piuttosto debole, sia come radicamento che come spessore. Diamo per scontato che farà, come è tradizione, qualche sforzo per acquisire un po’ di transfughi dalle classi dirigenti burocratiche ed economiche che hanno servito sotto i precedenti equilibri, ma anche in questo caso ciò che a livello nazionale può essere più semplice diventerà più complesso sul territorio.
L’Italia è un paese tradizionalmente policentrico dove l’interesse per la politica internazionale è piuttosto relativo (le intemerate para-moralistiche e le visioni manichee non appartengono veramente a quel campo). In un contesto del genere puntare tutto sull’immagine del super-leader non è certo che sia profittevole. Ci sono molti problemi di cui soffre il nostro sistema e che non si possono risolvere con le dichiarazioni roboanti da comizio. È vero che le opposizioni e i loro leader sono altrettanto presi da questo tipo di vizietto, ma è altrettanto vero che i fallimenti in quei campi si fanno ricadere più sul governo che si ritiene abbia i poteri per mettervi mano che non sulle opposizioni per le quali si dà per scontato che non possano far molto di più che darsi ai proclami.
Per queste ragioni la scelta di Schlein di scendere sullo stesso terreno della personalizzazione imposto da Giorgia Meloni appare poco lungimirante. Innanzitutto perché non è in grado di proporsi come il “capo amato e venerato” sul modello della guida di FdI, ma soprattutto perché di un eventuale plebiscito a suo favore (tutto da vedere) non saprebbe che farsene: non le sarebbe sufficiente per guadagnare la leadership dell’opposizione (non è immaginabile che Conte gliela conceda, né che l’estrema sinistra accetti una sua guida condizionante) e al tempo stesso non le darebbe uno statuto internazionale in grado di condizionare dall’esterno la possibile guida europea ancora nelle mani del trio PPE, S&D e liberali.
Francamente la scelta del ricorso alla gara fra i super-leader non ci sembra una gran trovata: indebolisce il nostro sistema politico e non è proprio quello che dovremmo augurarci in questo momento.

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