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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
di Claudia Fusani
Maggioranza senza programmi per le Europee. Avanti però con le riforme, una per ciascun partito

7/5/2024 - 22:56

Maggioranza senza programmi per le Europee. Avanti però  con le riforme, una per ciascun partito

I tempi di realizzazione sono assai incerti. E non si parla dei problemi veri. Domani l’esordio in aula al Senato del premierato (Fdi) che dovrà alla fine affrontare il referendum. In aula alla Camera anche l’autonomia regionale differenziata (Lega) che però non può essere finanziata. E sulla separazione delle carriere  (Fi) siamo alla solita inconcludente melina. I due emendamenti del gruppo dei costituzionalisti riformisti


A un mese dal voto per le Europee i partiti di maggioranza non hanno presentato uno straccio di programma - al di là del vannaccismo e dei leaderismi - ma in compenso sventolano “bandiere” di battaglie che sono però ben lontane dall’esser vinte. Parliamo del premierato, la “madre di tutte le riforme”, la “cifra del mio mandato” come dice Meloni. Parliamo dell’autonomia regionale differenziata,  la riforma-scudetto della Lega. E parliamo della separazione delle carriere tra giudici e pm, la ventennale ossessione di Silvio Berlusconi e ora la riforma identitaria di Forza Italia.Una riforma “storica” per ciascuno (delle tre forze di maggioranza) non fa male a nessuno. A bene vedere sono però assai poche le probabilità che le tre riforme possano andare in porto. Le due riforme costituzionali perchè hanno quattro passaggi parlamentari e poi, senza la maggioranza, devono passare il verdetto del referendum popolari. L’unica riforma ordinaria, l’autonomia regionale differenziata, magari completerà l’iter parlamentare ma poi resterà solo sulla carta perchè non ci sono i tempi nè i soldi (decine di miliardi) per realizzare e dare copertura ai Lep (livelli minimi essenziali) che sono essenziali come prevede la stessa legge. 
Donzelli e le riforme già in tasca    
Nelle prossime ore il cosiddetto premierato andrà in aula al Senato per la prima delle quattro letture necessarie. Sono cinque articoli che modificano la Costituzione, prevedono l’elezione diretta del premier, sottraggono quindi potere al Capo dello Stato, impediscono nei fatti rimpasti e cambi di premiership e di coalizione. In perfetto tempismo con la tabella di marcia di palazzo Chigi, nonostante la sfiancante maratona fisica e verbale organizzata dal Pd e dalle opposizioni “per modificare e migliorare” (Parrini, Pd) il testo di una riforma che tutti condividono negli obiettivi (maggiore stabilità) assai meno nel merito.  Il testo è stato in parte modificato in Commissione (piccoli ritocchi) ma d’ora in poi dovrà, così dicono i pretoriani di Meloni, “filare via liscio qui al Senato e poi andare alla Camera senza modifiche”. I Fratelli sono convinti di avere la riforma in tasca. Basta sentire Donzelli, il responsabile organizzativo di Fdi: “Da qui a fine legislatura procederemo con tutte le riforme che abbiamo promesso gli italiani”. Domani in aula al Senato arriva il testo della riforma sul premierato, “un ottimo testo che metterà fine ai ribaltoni e comunque siamo aperti a tutto ciò che può migliorare il testo, basta che non venga messo in discussione il voto dei cittadini e che non si offrono spazi agli inciuci”.

Donzelli rivendica anche “l’accordo sulla separazione delle carriere dei magistrati e sul Csm sdoppiato”. Peccato non ci sia ancora un testo del governo mentre in Parlamento sono già stati depositati disegni di legge (Costa, Azione) che aspettano da mesi di essere discussi. Il sospetto è che sia tutta una melina, un modo per prendere e perdere tempo. E alla fine non farne nulla. In fondo, la parte destra del centrodestra, non ha alcuna passione per la separazione delle carriere tra giudici e pm. 

I costituzionalisti riformisti
Donzelli ha smesso da un pezzo i panni del provocatore (ruolo che gli veniva benissimo nei primi mesi di governo), si mostra inclusivo e collaborativo. Almeno a parole.
Lo vogliono mettere alla prova un gruppo di costituzionalisti, la maggior parte dei quali ex di Camera e Senato, Natale D’Amico, Stefano Ceccanti, Gaetano Quagliariello, Claudia Mancina ed Enrico Morando rispettivamente responsabili di Fondazioni come IOcambio, Magna Carta, Libertàeguale, Riformismo e libertà. Ieri mattina, grazie al senatore Ivan Scalfarotto (IV), hanno fatto una conferenza stampa con animo costruttivo e positivo per consegnare, nella forma della lettera aperta a maggioranza e opposizione, due emendamenti . “Noi vogliamo la riforma, riteniamo sia necessaria e non più rinviabile, ma servono a nostro avviso correzioni importanti” ha detto il senatore D’Amico. Non si tratta, insomma, del solito gruppo di costituzionalisti “contro”. Questi sono di destra e di sinistra, stanno animando da mesi un interessante dibattito aperto con maratone oratorie e confronti anche serrati. Il problema, si legge nelle due lettere, è che “il testo che la Commissione del Senato ha consegnato all’aula non è frutto di una larga intesa e, pur muovendosi verso la forma del governo del primo ministro, presenta a nostro avviso limiti e contraddizioni serie”. 
Due emendamenti
Ecco quindi due emendamenti per “migliorare” e “colmare alcune lacune”. Quello che “chiediamo alle varie forze politiche che hanno messo a punto il provvedimento - spiega Quagliariello - è di approfondire in via preliminare la questione della legge elettorale e di cosa accada se nessuno dei vari candidati-premier raggiungesse la maggioranza”. Punti “significativi” a cui “sinora non è mai stata data risposta nè dalla maggioranza nè dal governo”. Anzi ci si ostina a rinviare buttando sempre la palla in tribuna e dando il via al consueto tormentone che da destra parte in batteria ogni volta che qualcuno prova ad introdurre il tema legge elettorale: “Noi vogliamo una riforma che faccia funzionare il paese e che rispetti il voto popolare. Basta con i governi nati in laboratorio (cioè al Quirinale, ndr)”. E’ chiaro che l’articolato costituzionale non può contenere i dettagli della legge elettorale ma almeno può indicare le modalità generali delle regole del gioco: proporzionale, maggioritario, ballottaggio sì o no, premio di maggioranza sì o no, e a quale soglia. Ricordando che la Consulta si è già pronunciata sia tema più volte alzando paletti insormontabili.   
Il ballottaggio
Ed ecco quindi i due emendamenti che possono essere inseriti nel testo della legge da domani in aula al Senato. Entrambi affrontano la questione della “necessità di una forte legittimazione del premier con la previsione di un eventuale ballottaggio”. Il primo emendamento sostituisce l’articolo 5 del ddl Casellati e riscrive in maniera più ampia l’articolo 92 della Costituzione. Punta “a risolvere le questioni della Circoscrizione Estero e del bicameralismo paritario”. Finora è stato adottato un modello che garantisce una sorta di diritto di tribuna (8 seggi su 400 alla Camera, 4 su duecento al Senato) indipendentemente dal numero di elettori all’Estero. Con l’elezione a suffragio universale diretto del premier i quasi 5 milioni di italiani che sono fuori dal Paese conterebbero per tutti i loro voti e potrebbero diventare determinanti ai fini della vittoria di un candidato. La soluzione proposta è quella di prevedere “che l'esito delle elezioni sia determinato in base ai seggi”. E, pertanto, non potendo immaginare l’elezione di un premier di minoranza, si dovrebbe optare per il ballottaggio. E dovrebbe toccare alla legge elettorale computare i voti degli italiani all'Estero “in coerenza con l'impostazione costituzionale”, cioè in base al rapporto tra il numero degli elettori e quello dei seggi rispettivamente della circoscrizione estero e delle circoscrizioni del territorio nazionale. In questo modo, al primo turno l’elettore con un unico voto può esprimersi sia per eleggere il premier che “per l'elezione parlamentare, senza possibilità di voto disgiunto”. Se nessuno vince perchè non è stata raggiunta la soglia minima (che la Corte Costituzionale ha ordinato in precedenti sentenze ma la legge non indica), è necessario il ballottaggio che a quel punto riguarda solo il premier.
Il gruppo dei costituzionalisti riformisti ritiene necessaria accendere un faro anche sul caso in cui si arrivasse ad un esito difforme nelle due Camere considerata la modalità del riparto dei seggi su base regionale al Senato e la diversità delle candidature. La soluzione è una sola: il ballottaggio. Nel rispetto della giurisprudenza costituzionale sulle soglie per assegnare il premio. 
Allargare la platea dei  grandi elettori
Il secondo emendamento sostituisce l’articolo 2 del ddl Casellati e modifica l’articolo 83 della Costituzione. Propone di allargare la platea degli elettori del Presidente della Repubblica facendo votare anche gli europarlamentari italiani e un “numero di delegati delle autonomie locali (cioè sindaci, ndr) pari a quello dei delegati regionali”. ”. In più, si vuole innalzare al 55% la maggioranza richiesta dopo il sesto scrutinio "in modo da ampliarne e rafforzarne la base di legittimazione".
“Noi contiamo che l’aula del Senato voglia emendare il testo della maggioranza - ha spiegato il costituzionalista Stefano Ceccanti - e che la Camera, dopo le Europee, non si adegui al monocameralismo alternato che è purtroppo diventato la prassi parlamentare”. Significa restituire al Parlamento il ruolo assegnato dalla Costituzione: scrivere le leggi e non solo approvarle. 








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