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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Circolo ARCI Migliarino-6 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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Le scuole di mutuo insegnamento di Vecchiano e Pugnano
di Franco Gabbani e Sandro Petri

18/5/2024 - 16:28

In questo nuovo articolo di Franco Gabbani viene trattato un argomento basilare per la società dell'epoca, la crescita culturale della popolazione e dei lavoratori, destinati nella stragrande maggioranza ad un completo analfabetismo, e, anzi, il progresso culturale, peraltro ancora a livelli infinitesimali, era totalmente avversato dalle classi governanti e abbienti, per le quali la popolazione delle campagne era destinata esclusivamente ai lavori agricoli, ed inoltre la cultura era vista come strumento rivoluzionario. D'altra parte i problemi prioritari erano quelli della sopravvivenza.
Certo assistere ora, dopo le immani lotte per il diritto alla cultura e allo studio, ai discorsi di nostri politici che celebrano l'elogio dell'ignoranza, fa veramente male.
Per la verità, i primi timidi tentativi di offrire la possibilità di studiare era legata a fini professionali, quelli di insegnare il mestiere nei vari settori dell'iniziale industrializzazione, mentre ci si doveva astenere dal discutere aspetti dell'educazione e del carattere.
Ma presto tutto fini' nell'ambito gestionale del clero.
Non stupisce che i più convinti paladini di tale sviluppo fossero in Toscana le donne.
Sono certo che troverete di enorme interesse il lavoro di Franco.
Sandro Petri
  
LA SCUOLE DI MUTUO INSEGNAMENTO 
 DI VECCHIANO E DI PUGNANO.
 
di Franco Gabbani
 
Il Clero, almeno fino ai primi decenni dell’800, oltre al compito di salvare le anime, era anche responsabile dell’educazione della comunità.
Va aggiunto che per lungo tempo le parrocchie e i conventi erano stati gli unici luoghi dove si sapeva leggere e scrivere, mentre lo stato dell’istruzione popolare rimaneva in una condizione miserevole, con una percentuale di analfabetismo spaventosa, soprattutto nelle campagne.


I governanti erano contrari ad agni progresso culturale e sociale dei lavoratori, specialmente alle novità nel campo della scuola, convinti che la cultura rappresentasse un pericolo per la stabilità dei governi.
Il cammino verso l’alfabetizzazione sarà lungo anche per l’opposizione proveniente dalle diverse classi sociali: i benestanti ritenevano che la classe meno abbiente non avesse bisogno d’istruzione in quanto dedita al lavoro della terra; il clero era contrario sostenendo che il lavoro “ha bisogno di braccia e non dell’alfabeto”.


Andava, inoltre, considerato che le condizioni della maggior parte della popolazione erano al limite della sopravvivenza, rivolta soprattutto alla soddisfazione dei bisogni primari e quindi poco propensa a sprecare tempo e braccia per la cultura.
 
Ma, dopo la Restaurazione (1814/15), il problema dell’educazione divenne elemento di lotta politica e, anche nella Toscana Granducale, nacquero movimenti per l’istruzione popolare.
Si trattava di costruire un sistema scolastico per la formazione di persone capaci di immettersi nell’agricoltura, nel commercio, nei diversi settori dell’industria e dell’ amministrazione.


Per questo motivo fin dagli anni ’20 si erano andate diffondendo le “Scuole di Mutuo Insegnamento”.
Si trattava di un metodo diffuso, alla fine del ‘700, da due educatori inglesi, Bell e Lancaster, dove le spese erano contenute perché  un unico maestro aveva il compito di istruire un gran numero di allievi e di utilizzare la capacità di quelli che fossero risultati più preparati (chiamati monitori) per istruire, a loro volta, gruppi di compagni distribuiti secondo il livello delle loro conoscenze.
La finalità delle scuole condotte con il sistema del mutuo insegnamento soddisfaceva a quanto richiesto: “dare una sufficiente istruzione alla classe più bisognosa, renderla “costumata e civile” e avvezzarla all’operosità e all’industria”.
 
Il rescritto granducale del maggio 1818, contenente le disposizioni relative alle scuole di mutuo insegnamento, non poneva ostacoli eccessivi alla loro apertura, ma ne delimitavano in modo rigoroso la sfera di attività: “la polizia dovrà essere vigilante, perché non si sorta in questo dai limiti, ed oggetti della instituzione, che deve essere l’insegnamento di leggere, scrivere, e abbaco, e non si pretenda di passare alla instruzione religiosa, catechistica e morale”.
 
Nel Granducato la loro diffusione fu particolarmente osteggiata dal Presidente del Buon Governo che all’attività di tali scuole attribuiva “i progressi spaventosi fatti dal libertinaggio politico e religioso nelle classi educate, il decadimento delle virtù domestiche anche nelle classi degli artigiani e dei coloni, ed il buon tuono generale montato sul disprezzo di ogni autorità cominciando dalla paterna”.
 
A queste considerazioni si affiancavano quelle dei gesuiti  che si opponevano ad ogni istruzione “specialmente nelle ultime classi del popolo qual mezzo disorganizzatore della società, qual strumento distruttore d’ogni virtù sì morale che politica”. 
Da qui la convinzione dei governi e della Chiesa che la cultura popolare “fosse un’esigenza puramente rivoluzionaria” per cui, in seguito, queste scuole furono soggette a misure restrittive, in modo particolare quelle di campagna perché più difficilmente sorvegliabili.
 
Nel nostro territorio due sono le vicende che interessarono le scuole di mutuo insegnamento: quella di Vecchiano e quella di Pugnano.
 
La scuola di mutuo insegnamento  venne aperta a Vecchiano nei primi giorni di marzo 1833 dallo speziale Luigi Prato che aveva affidato l’istruzione ad un ex alunno della scuola di mutuo insegnamento di Pisa, sotto la guida del maestro/direttore di quest’ultima.
Dopo pochi giorni dalla sua apertura la scuola contava già diciotto alunni, ma, di lì a poco, fu chiusa  come risulta dalla lettera che, il 9 Marzo 1833, il Governatore di Pisa inviò al Presidente del Buon Governo in cui lo informava di avere ordinato, su richiesta dell’Auditore di Governo, la rimozione del cartello con la scritta Scuola di mutuo insegnamento e la sospensione immediata della scuola, in quanto ritenuta “sommamente pericolosa”.


Aggiunge di condividere questa opinione per ”tutte quelle simili che si vogliono diffondere nelle campagne dove mancano i mezzi di portarvi un’attenta vigilanza governativa, che sola può impedire o rendere meno sensibili le conseguenze della libera istruzione, che a ben ragione può nei presenti tempi temersi basata sopra erronei principi religiosi e sociali”.


In una successiva lettera, riservata alla Presidenza del Buon Governo, il Governatore affermava ancora:
 
L’oggetto dell’istruzione primaria non può che richiamare nei tempi presenti tutta l’attenzione governativa nell’impedire quella demoralizzazione e traviamento della gioventù crescente alla quale tendono le mire della propaganda rivoluzionaria”.
 
C’era un altro motivo che preoccupava l’Auditore di Governo l’istituzione di queste scuole “comincia ad essere accolta con piacere anche dalla gente rustica, e idiota della campagna, perché non si rendono conto della loro pericolosità”.
In effetti tale scuola era apprezzata dai contadini perché basata su un metodo di insegnamento rapido che permetteva di contare sull’istruzione elementare dei figli senza dover rinunciare per troppo tempo al loro contributo nella conduzione del podere.
L’Auditore aggiungeva che, non chiudendo la scuola di mutuo insegnamento di Vecchiano, si sarebbe commessa una “parzialità disgustosa” rispetto alla precedente misura del Regio Governo con la quale era stata chiusa la scuola di Pugnano, facendo credere che la  decisione adottata per quest’ultima “fosse influita da riflessi puramente personali”.
 
La scuola di mutuo insegnamento di Pugnano era stata aperta da Matilde Calandrini.
La Calandrini era nata a Ginevra nel 1794, discendente di una nobile famiglia lucchese, di religione protestante, ed era venuta in Toscana perché il clima era più confacente per la sua salute.
Donna di eccezionale statura per moralità e cultura, acutezza di giudizio, capacita di organizzazione e di azione,  stabilitasi a Pugnano, nel 1832 vi aveva aperto una scuola di Mutuo Insegnamento per i figli di contadini.
Sospettata di proselitismo protestante fu sempre sottoposta ad una rigorosa sorveglianza e la chiusura della scuola di Pugnano fu un atto di ostilità nei suoi confronti, anche se, la critica ricorrente alle scuole di mutuo insegnamento, da parte dell’autorità di governo, era: “la generalità biasima non poco questa innovazione perché la lunga permanenza nella scuola degli educandi distraggono i giovanetti da altre per loro necessarie faccende”. 
Tradotto significava: sottrarre i ragazzi di campagna dai lavori rurali.


La Calandrini intervenne anche sulla chiusura della scuola di Vecchiano (quel provvedimento aveva dato luogo ad un tumulto popolare)  e scrisse “ …il popolo è addirato all’eccesso … ha scritto per tentare di ottenere il ripristino” ed ancora “non c’è libertà bisogna chinare la testa e sottostare e rinunciare a fare quel bene che si vorrebbe”.
Insieme ad altri giovani, fra cui Montanelli e Rosellini, aveva fondato anche un periodico settimanale “L’educatore del Povero”, dedicato alle “classi inferiori” perché “attraverso un’istruzione sottratta all’influenza del clero imparino l’amore di patria , il senso del dovere e della moralità, e soprattutto acquistino la capacità di pensare”.
 
In seguito si verificarono una serie di scontri tra Matilde Calandrini e il vicario del vescovo, Monsignor Luigi della Fanteria, che le impose di porre fine a riunioni che teneva, su richiesta di alcune maestre, in quanto quelle lezioni pedagogico-didattiche e le sue riflessioni religiose potevano allontanare dalla fede e dalle pratiche cattoliche.
Alle preoccupazioni del monsignore si aggiungevano quelle degli ambienti di governo i quali sostenevano che l’educazione popolare, come mezzo di emancipazione sociale, poteva diventare un potenziale focolaio rivoluzionario.
Nell’ottobre del 1846 Matilde fu colpita da espulsione: rientrerà in Toscana nel 1862, dopo l’unificazione, troverà, però, un ambiente ostile per cui tornerà a Ginevra dove morirà nel 1866. A Pisa resta un asilo a lei intitolato.
 
Per concludere è da sottolineare che questo modello era piaciuto molto agli illuministi (1),  perché l’istruzione avveniva tra pari, ognuno dava agli altri a seconda delle sue capacità, veniva a crearsi tra gli scolari uno spirito di collaborazione  che sarebbe stato il fondamento della società del domani.
Tutti partivano dallo stesso livello e tutti potevano aspirare a diventare monitore con l’inica arma del loro impegno personale.
 
Di contro, questi stessi motivi, erano la ragione per cui i conservatori avversarono la scuola di mutuo insegnamento e guardarono sempre con sospetto questo metodo perché ritenuto capace di instillare negli scolari il gene della rivoluzione.
Ma furono, soprattutto, altri ostacoli che impedirono il conseguimento degli scopi che ci si proponeva di ottenere con il reciproco insegnamento: la mancanza di un sufficiente numero di giovani abili ad occupare il posto di monitore, l’insufficiente preparazione e capacità organizzativa dei maestri ed, in particolare, la mancanza di un metodo educativo.
L’educazione era affidata quasi esclusivamente ai mezzi disciplinari e non  ad un vero e proprio metodo di educazione morale che avrebbe dato al fanciullo una vera educazione, quella del carattere e della moralità.
 
Nel giro di pochi mesi le scuole di mutuo insegnamento sparirono dal territorio italiano e i municipi affidarono la gestione delle scuole esistenti a ordini religiosi.
 
Come evidenziato all’inizio di questo articolo il cammino verso l’alfabetizzazione sarà ancora molto lungo, ma l’800 vedrà anche nascere una nuoca categoria di proprietario terriero che assunse caratteri imprenditoriali a che darà seguito a quanto sosteneva Cosimo Ridolfi: “ la moralità del contadino è quasi sempre frutto della diligenza del proprietario e se il padrone desidera i frutti del suo podere deve affezionarsi il contadino, soccorrerlo, istruirlo… “.
 
L’istruzione, il sapere divennero lentamente una componente importante dell’attività produttiva che, come conseguenza, avrebbe dato terre meglio coltivate, prodotti meno costosi e contadini addestrati all’utilizzo delle nuove macchine.
Tutto questo era stato recepito ed attuato da Scipione Salviati.
Il Duca, infatti, sarà sempre attento a tutti gli aspetti della vita, non solo lavorativa, delle persone che vivevano all’interno delle sue tenute.
E’, a questo scopo,  che apre a Migliarino una scuola per i figli dei coloni e dei dipendenti la Tenuta di Migliarino e la Fattoria di Vecchiano.
 
Non tutti i proprietari terrieri capirono  le innovazioni che Cosimo Ridolfi proponeva in materia di agronomia e continuarono a imporre alle famiglie mezzadrili  condizioni pesanti e arretrate.
E’ questo il caso della Fattoria “La Cava” di Treggiaia (Pontedera) della nobildonna Elisa Toscanelli.
Qui negli anni ’50 del 1900 le famiglie coloniche erano ancora soggette alle servitù e alle prestazioni del secolo precedente (il 1800).
Per quanto si riferiva all’istruzione, tema di questo articolo, nella fattoria “La Cava" c’erano stati casi non solo di pressione e di intimidazione, ma anche di invio della disdetta al mezzadro perché i suoi figli, o i suoi nipoti, andavano a scuola.
 
Fonti Archivistiche:
Archivio Salviati - Scuola Normale Superiore – Pisa.
 
Archivio Storico Diocesano – Pisa.
 
Autori vari: L’uomo e la terra. Lotte contadine nelle campagne pisane, Editori del Grifo, 1992.
 
Imberciadori I., Sulle origini dell’struzione agricola in Toscana, Economia e Storia,  (1961).
 
Previti L. F., Educazione popolare, scuole di mutuo insegnamento e asili infantili di carità a Pisa  in “Una Città Tra Provincia E Mutamento”, Giardini Editori, 1985.
 
 NOTE
(1) Il movimento illuminista masce in Italia nella seconda metà del ‘700 e ha come fine quello di “liberare l’uomo dalle tenebre dell’ignoranza”.

 
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