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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Circolo ARCI Migliarino-6 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
a cura di Andrea Paganelli
"Ridurre gli ucraini come degli "indiani' in una riserva..."

17/6/2024 - 12:39

Quello che ho detto fino ad oggi...
La proposta/minaccia di pace/guerra russa...
"Ridurre gli ucraini come degli "indiani' in una riserva..."

A Vladimir Putin sono bastati pochi minuti, l’altro ieri, per mandare all’aria - ingenuamente, sia chiaro - quasi due anni e mezzo di propaganda basata sulla narrazione di una Russia smaniosa di sottoscrivere un accordo di pace, ostacolata però da un Occidente provocatore e guerrafondaio, che, pur di perpetrare il predominio americano, è disposto a sacrificare la vita di milioni di ucraini, mandati al macello.


Il capo del Cremlino ha infatti personalmente posto fine alle fantasiose fandonie che tanto hanno attecchito soprattutto in Italia, rilanciate dai Santoro, dai Travaglio, dai Conte e dai Salvini, rivelando la sua “seria proposta di pace”, i cui contenuti erano in realtà in parte già noti, che altro non sarebbe se non una richiesta di resa praticamente incondizionata.


La proposta, se così si può chiamare, prevede in sintesi il ritiro delle truppe di Kyiv dai 4 oblast’ ufficialmente annessi da Mosca, i cui confini però sono da intendersi come corrispondenti a quelli amministrativi delle regioni e non vanno confusi con l’attuale linea del fronte. Considerato che la Russia occupa attualmente il 98% del Luhansk, il 65% del Donetsk e dell’oblast’ di Zaporizhzhia e il 60% di quello di Kherson (negli ultimi due casi senza neanche controllare le rispettive capitali), si tratterebbe di consegnare all’invasore un’altra bella fetta del paese, nel quale risiedono quasi 2 milioni di persone.


Altre condizioni sarebbero il non allineamento internazionale, la rinuncia all’ingresso nella NATO, la denazificazione (cioè un cambio di governo), la smilitarizzazione (contingentamento di forze armate e mezzi), il divieto di dotarsi di armi nucleari, la rimozione delle sanzioni e il riconoscimento internazionale di tutte le annessioni fatte finora. Una proposta così sbilanciata in favore di Mosca e palesemente contraria al diritto internazionale da far sorgere il sospetto che sia stata redatta con il chiaro intento di essere rigettata per poi far passare nuovamente l’idea che sia l’Occidente a non volere la pace.


Chissà se dopo questa uscita di Putin il fronte pacifinto ricomincerà la solita litania dell’intesa mancata nel 2022 in Turchia, sposando di nuovo la narrazione della propaganda del Cremlino - in realtà già ampiamente smentita dalla rivista specializzata Foreign Affairs - secondo la quale furono i leader occidentali a fermare la mano di Zelensky, il quale era sul punto di firmare. Stavolta però potrebbe essere un po’ più complicato, visto che proprio ieri il New York Times ha reso note diverse bozze dei famosi accordi di Istanbul, quelle redatte a seguito delle trattative partite all’indomani dell'inizio della “operazione speciale”, rivelando la ragione per la quale l’ultima, quella del 15 aprile, saltò. Dopo che nella versione precedente l’Ucraina aveva accettato di non entrare nella NATO, in cambio di garanzie date da alcuni paesi, tenuti ad intervenire in caso di ulteriore violazione della sua integrità territoriale, la Russia aveva infatti aggiunto una postilla non proprio di poco conto. E cioè che l’intervento in difesa dei confini ucraini sarebbe scattato solo previo accordo di tutti i paesi garanti, definizione nella quale rientrava la stessa Russia. Insomma Mosca avrebbe potuto invadere, potendo per assurdo porre il veto ed impedire la reazione occidentale, obbligando Kyiv, disarmata e rimasta fuori dalla NATO, a capitolare. Non proprio gli elementi di una trattativa in buona fede.


L’obiettivo, almeno per una volta, è però dichiarato e fa riferimento ad un revanscismo, una forma di riscatto dopo la caduta dell’URSS che da 25 anni spinge Putin ad inventare guerre e che ha già causato 1 milione di morti e 25 milioni di sfollati. Era stato lui stesso a parlarne il 17 aprile del 2014, agli inizi dell’invasione mascherata del Donbas, quando il leader del Cremlino aveva espressamente nominato la Novorossiya, la Nuova Russia, una fascia di terra (quasi corrispondente a quella denominata così dal XVIII secolo), che include le regioni dell’est e del sud dell’Ucraina sulle quali Putin da sempre rivendica diritti, perché storicamente russe e abitate da popolazioni russofone. In una delle risposte date ad una intervista aveva lamentato l’ingiusta attribuzione di quelle aree all’Ucraina agli inizi del ‘900, come aveva fatto anche per la Crimea, donata a Kyiv da Krusciov nel 1954 e quindi, nella visione putiniana, legittimamente riannessa nel 2014.


Basta unire i puntini per ricavarne un disegno chiaro. Provare ad ottenere subito per via negoziale territori che la Russia, di questo passo, conquisterebbe in circa 15 anni e garantirsi un’Ucraina “nuda” e legata, pronta per il prossimo inevitabile stupro. Quello che con un pretesto qualunque (copione già visto innumerevoli volte) permetterebbe alla Russia di violare gli accordi, addossandone la responsabilità a Kyiv, e con pochi sforzi militari conquistare le regioni di Mykolaiv e Odessa, le ultime due che a quel punto la separerebbero dalla Transnistria (dove si trova anche un enorme deposito di armi sovietiche, attualmente non utilizzate), la lingua di terra occupata dall’inizio degli anni ‘90, la cui riunificazione, richiesta proprio pochi mesi fa dalle autoproclamate autorità di Tiraspol, comporterebbe la quasi immediata caduta della Moldova, alla cui destabilizzazione la Russia lavora ormai da anni con continue minacce e provocazioni. Ciò che resterebbe dell’Ucraina, privata delle risorse industriali e minerarie dell’est e dell’accesso al mare a sud, oltre che della risorse energetiche derivanti, tra gli altri, anche dall'impianto di Zaporizhzhia , il più grande d'Europa, diventerebbe una sorta di moncherino moribondo bisognoso di continua assistenza economica da gettare sulle spalle di Europa e Stati Uniti, mentre la Russia si appresterebbe a ricostituire qualcosa di molto simile ad una nuova Unione Sovietica.


Questa e non altro è la sostanza delle richieste di Vladimir Putin, accompagnate da esplicite minacce all’Occidente in caso di rifiuto. Quella che anche dalle nostre parti qualcuno insiste a chiamare “proposta di pace”, ma che in realtà altro non è un ultimatum in stile puramente mafioso.













Fonte: Marco Setaccioli
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