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Fuori gli estremiL’isolamento di Mélenchon modera gli entusiasmi (mal riposti)
Dopo aver sconfitto Marine Le Pen, sembra che Macron abbia messo in ombra anche la France Insoumise, tra lo sgomento di politici e analisti anche di casa nostra
Il rapido isolamento politico di Jean-Luc Mélenchon e della sua France Insoumise era ampiamente prevedibile. Solo i commentatori superficiali ed eccitati (del tipo i dispettosi locali) la sera del 7 luglio (il secondo turno delle elezioni legislative francesi) potevano strillare che sì, Marine Le Pen aveva perso ma anche Emmanuel Macron era finito, aveva stravinto Mélenchon e dunque vive la France à gauche.
Commentatori sbrigativi seguiti da politici italiani facili a scambiare lucciole per lanterne – tra questi tanti giovani dirigenti del Partito democratico, «uniti si vince», ripetevano a pappagallo: ma come, dove? Calma ragazzi: ora forse capirete che uniti si può certamente impedire a un altro di vincere ma poi governare è un’altra cosa e che dunque “desistenza” non equivale a “governo”.
Dieci giorni dopo il voto infatti Mélenchon è isolato da un cordone sanitario allestito dai suoi compagni di strada nel Nouveau Front Populaire, socialisti, ecologisti e persino comunisti, che hanno avanzato come possibile premier il nome di Laurence Tubiana, economista, grande esperta di ambiente, profilo di indipendente progressista, «non incompatibile con Macron», hanno detto quelli di France Insoumise come se fosse un insulto e che invece può essere la chiave di volta. Vedremo.
Il fatto che in ogni caso non sfugge è la marginalità in cui lo stesso Mélenchon si è confinato: invece di usare la sua forza contrattuale per favorire una soluzione buona anche per gli Insoumis, il tribuno della gauche ha fatto il pazzo un attimo dopo la chiusura delle urne rivendicando l’incarico, un cosa che nessuno ha preso seriamente in considerazione. Meglio di lui il piccolo partito comunista – ed è tutto dire –, dove evidentemente circola ancora qualche goccia di politica.
Tutto ciò che sta accadendo sembra corrispondere al disegno di Macron: prima sconfiggere i parafascisti anche grazie agli accordi di desistenza con France Insoumise e poi cercare una soluzione di governo che la tagli fuori. Non è Macron che ha creato il caos politico: anzi ha evitato che si passasse dalla padella del caos politico alla brace di un governo autoritario cercando di favorire un governo democratico. Se riesce è un capolavoro politico. Che avrebbe il consenso di quella parte della Francia estenuata da un conflitto lungi, aspro, drammatico e persino violento.
Di quella Francia malmostosa ma che amerebbe lavorare in un Paese organizzato, moderno, liberale e più giusto guidato da un governo serio, se possiamo usare una parola semplice diremmo un governo normale, con dietro di sé un presidente ben in sella e un Parlamento rimotivato.
Sarebbe una risposta (europea, certo non americana) per certi versi inattesa al populismo dominante di questi anni che in Francia è stato cavalcato innanzitutto dall’estremismo nero e in misura minore dal nuovo populismo di sinistra, un’uscita razionale, moderata e possibilmente riformista dal caos agitato da Marine Le Pen e specularmente rilanciato da Jean-Luc Mélenchon, i due tribuni di una fase politica che forse va a chiudersi.
E questa possibile normalità democratica, che si appaierebbe a quella che è venuta avanti in Gran Bretagna e che si riverbera a Bruxelles (fortissimo ieri il consenso per Roberta Metsola, vedremo domani se ci sarà il bis per Ursula von der Leyen), sarebbe una lezione anche per l’Italia, il Paese dominato dalla «malinconia», come dice il Censis: «Le grandi narrazioni di ascesa individuale – secondo l’ultimo rapporto – non catturano più: le simbologie mobilitanti del turbo-consumismo sono destituite di vigore», mentre tra gli italiani prevarrebbe «la voglia di essere se stessi, con i propri limiti, ispirandosi a una filosofia di vita molto semplice: lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi». Ecco, c’è da chiedersi se il “melonismo” corrisponda a questi orientamenti diffusi, e se l’alternativa sarà in grado di fare a meno degli estremismi. Come pare possa accadere a Parigi, nella fase nuova che si apre.