Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Meloni mette l’Italia all’opposizione dell’Europa. Vince il richiamo della foresta. La rabbia di Fitto
Ursula von der Leyen rieletta senza i voti di Fratelli d’Italia. Che si mette all’opposizione con le destre estreme e nazionaliste. Per “disinnescare Salvini” è la spiegazione. Ha prevalso la leader di partito rispetto alla premier italiana, due ruoli spesso in conflitto. Meloni mette le mani avanti: “Il peso dell’Italia non dipende certo da un voto”. Il timore dell’isolamento. Il ministro Fitto vede “ballare” il ruolo da supercommissario. E’ la prima volta che un paese fondato della Ue va all’opposizione dell'Europa
Ursula, ci ho pensato, anche seriamente, ci ho provato ma poi non ce l’ho fatta: la mia casa è quella là, le mie radici, il mio dna sono la destra, antieuropeista, nazionalista, identitaria. Firmato, Giorgia Meloni. L’idea, per qualcuno la speranza, per altri un progetto serio e anche necessario che Giorgia Meloni, da diciotto mesi davanti a quel famoso bivio tra una destra europeista e istituzionale e la destra antisistema, avrebbe finalmente scelto ieri, nel giorno in cui l’Europarlamento decideva il bis di Ursula von der Leyen, si è frantumata nel responso dell’urna elettorale. Per quanto Ecr , la famiglia politica europea di Meloni e dei Fratelli, avesse lasciato libertà alle singole delegazioni di decidere cosa fare; per quanto, nonostante il silenzio imposto dall’altro, arrivassero dagli stessi Fratelli e Sorelle indizi abbastanza chiari che sarebbe stato Sì, i 24 europarlamentari del partito di maggioranza italiano hanno votato no. O, almeno, così dicono. Il voto è segreto e non lo sapremo mai. Sappiamo però che von der Leyen è stata votata con 401 voti, quaranta in più di quelli necessari (361). Sono esattamente i voti del suo perimetro politico originale, quello che l’ha scelta e indicata il 27 giugno: Popolari, Socialisti e Liberali. E’ impossibile però che l’abbiano votata tutti, i franchi tiratori sono anche a Strasburgo in una percentuale tra il 10 e il 15% dei 720 eurodeputati, e una trentina di loro erano anche venuti allo scoperto. Quindi è stata eletta anche con i voti di altri gruppi. Il voto è segreto ma i Verdi hanno dichiarato pubblicamente il loro via libera. Un tesoretto di circa 54 voti al netto, anche qui, di qualche contrario.
Una larga maggioranza
Uno esperto dei meccanismi elettorali europei e degli umori dell’aula come Martusciello (Fi) dice “anche qualche voto è arrivato anche dai Conservatori e anche dai Fratelli”. Non lo sapremo mai e lo speculazioni finiscono qua. Restano i fatti, incrontrovertibii: Ursula ha una larga maggioranza autonoma che si è ritrovata soprattutto nell’appello “alla centralità dell’Europa, in nome dei diritti e della difesa Ucraina”. A questo appello hanno deciso di non rispondere i Patrioti, tra cui Lega, Orban e Le Pen, The Left, cioè la sinistra tra cui i 5 Stelle, larga parte di Ecr tra cui la delegazione di Fratelli d’Italia. Guardando la votazione dall’Italia, due partiti di maggioranza (Lega e Fdi) su tre hanno deciso di votare contro la nuova Commissione europea. Solo Forza Italia, da sempre pilastro dei Popolari, è rimasta fedele a se stessa e alla sua tradizione, al suo programma. Giorgia Meloni non ha saputo - non ha voluto - assumere il ruolo di capo del governo e Presidente del Consiglio di un intero Paese ma ha preferito il ruolo di capo di partito. E lo ha imposto a tutta l’Italia. Davanti a quel famoso bivio ha fatto la scelta di tornare indietro e di non guardare avanti. Il risultato finale è che l’Italia, paese fondatore dell’Europa, ha deciso di mettersi contro la sua storia e la sua tradizione. La leader che un mese fa accoglieva i leader del G7 dicendo e mostrandosi come vincitrice, è finita all’opposizione insieme con altri tre gruppi di destre becere e imbarazzanti nel programma e nelle intenzioni.
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Il solito video
Una decisione insensata dal punto di vista dell’interesse comune, un gigantesco pasticcio che Giorgia Meloni, in un video veicolato sui social ben quattro ore dopo il voto (non ha voluto incontrare i giornalisti italiani che erano al suo seguito a Oxford al vertice della Comunità europea) ha spiegato appellandosi alla “coerenza della scelta dopo che avevamo criticato il metodo e il merito del modo di procedere di Popolari, Socialisti e Liberali che hanno agito da vincitori quando non lo sono”. Meloni, che in questa storia ha mescolato pasticciando tre ruoli assai diversi tra loro - leader dei Conservatori, leader di Fratelli d’Italia e presidente del Consiglio italiano – ha comunque fatto auguri di buon lavoro a Ursula von der Leyen e ha preventivamente messo le mani avanti. “Sono convinta che tutto questo non potrà compromettere il ruolo e il peso dell’Italia come paese fondatore, la seconda manifattura e la terza economia europea, un governo solido e stabile. Sono questi e solo questi fattori che definiscono il peso dell’Italia”.
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E’ una faglia di frattura pesante dentro la maggioranza, con un impatto negativo a livello internazionale nella speranza di ridurre il danno a livello interno. Ci sarebbero tutti gli elementi per una crisi di governo.
Alle 14 e 13 minuti del 18 luglio, dopo una riconcorsa lunga mesi, una campagna elettorale “roller coaster”, da montagne russe e una mattinata con il pallottoliere in mano, Roberta Metsola, presidente appena rieletta dell’europarlamento, annuncia la rielezione di von der Leyen con 401 voti, quelli contrari sono 284, 15 astenuti, sette schede bianche, 709 i votanti. “Altri 5 anni. Non riesco ad esprimere quanto sia grata per la fiducia di tutti gli eurodeputati che hanno votato per me” le prime parole della neo eletta Presidente. “Il mio obiettivo – ha continuato - è tenere insieme questa grande coalizione che mi ha ascoltato negli incontri di queste sostenuto nei lunghi incontri di queste settimane, ha creduto in me e mi ha votato. Sono tutti partiti pro Europa, pro Ucraina e pro Stato di diritto. Lavorerò al meglio possibile con Ppe, Renew, S&D e con con il gruppo dei Verdi che mi ha sostenuta dopo scambi intensi su tutti i temi”.
Il programma
La giornata era iniziata con le comunicazioni programmatiche della candidata presidente. Molti gruppi, anche Meloni, avevano rinviato la decisione alle comunicazioni della candidata. Cinquanta minuti da cui dipendeva la sua rielezione che non é mai stata blindata ed è stata oggetto fino agli ultimi minuti oggetto di complesse trattative. Il Green deal era uno dei punti dirimenti. Da questo dossier sarebbe dipeso il voto dei Verdi. Von der Leyen lo ha citato due volte nel discorso e 4 volte nelle trenta pagine di linee programmatiche per i prossimi 5 anni di mandato. Il Green deal resta - non è rinnegato - ma cambia il modo con cui leggerlo, cioè “con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione”. Significa un nuovo Patto per l’industria pulita che Ursula presenterà nei suoi primi 100 giorni di mandato. L’obiettivo resta la riduzione delle emissioni del 90% per il 2040. E’ il QB necessario per conquistare il voto dei Verdi. Tutto sommato la promessa di “revisione con pragmatismo” suona bene anche agli avversari del Green deal, una larga fetta dei Popolari tra cui Forza Italia.
Il documento è declinato in sette capitoli: un nuovo piano per la prosperità sostenibile e la competitività dell’Europa; una nuova era per la difesa e la sicurezza europea; sostenere le persone, rafforzare le nostre società e il nostro modello sociale; sostenere la qualità della nostra vita: sicurezza alimentare, acqua e natura; proteggere la nostra democrazia, sostenere i nostri valori; un’Europa globale: sfruttare il nostro potere e i nostri partenariati; realizzare insieme e preparare la nostra Unione per il futuro. Grandi macrotemi con alcune specifiche importanti: ci sarà il commissario per la Semplificazione e per il Sud in chiave anche immigrazione (doppio gancio alle destre); ci sarà un commissario per la casa perchè l’Europa dovrà essere “il luogo dove si cresce e dove si invecchia meglio”. E sarà istituita una commissione sui social e i loro effetti sui più giovani. Un documento programmatico frutto di ascolto e mediazione che politicamente scommette, ha detto von der Leyen, sul “centro democratico motore dell’Unione, all’altezza delle preoccupazioni e delle sfide che i cittadini devono affrontare nella loro vita”.
Il silenzio
Un discorso tarato in ogni parole per soddisfare anche Fratelli d’Italia, portarla dalla parte “giusta”, farle fare quel ruolo di “ponte” tra il centro e le destre di cui Giorgia Meloni ha parlato tante volte. Tra il discorso - concluso alle 10.30 e il voto passano due ore e mezzo. Fratelli d’Italia resta forse l’unica delegazione che non vuole rivelare la sua intenzione di voto. Procaccini e Fidanza, i due fedelissimi della premier a Strasburgo, giocano a mosca cieca con i giornalisti perché non potevano dire ciò che ancora non sapevano: la decisione di Meloni. Che alla fine è arrivata, assicurano fonti di maggioranza, “perchè le è stato fatto vedere il video in cui lei stessa diceva mai con le sinistre e mai con i Verdi e quindi ha deciso per il No”.
Von der Leyen punta a comporre la squadra dei commissari entro agosto. L’Unione forte, unita, con le idee chiare è il miglior messaggio che si possa dare alla Russia di Putin (Mosca scommetteva sul flop del bis e ieri ha avuto la prima brutta notizia dopo giorni), alla Cina di Xi (dove meloni andrà in visita la prossima settimane) e anche ad Israele e Hamas: serve il cessate il fuoco immediato, “ora” ha detto von der Leyen. E’ anche il miglior messaggio per gli Stati Uniti che stanno per consegnarsi al bis di Donald Trump.
“Italian case”
E poi c’è “the italian case”, l’hanno già ribattezzato così. Molti, anche dentro Fratelli d’Italia, avevano scommesso per il Sì perché “abbiano bisogno di essere organici a questa Commissione da cui dipendono molti dei nostri dossier”, il Pnrr e la prossima legge di bilancio giusti per dirne un paio. Alle 14 e 30, quando la notizia del No della Meloni rimbalza in Transatlantico alla Camera dove è in corso l’ennesimo voto di fiducia, molti restano sbigottiti. Anche tra i leghisti, a dir la verità: “L’ha fatto davvero…”.
Il più arrabbiato di tutti pare sia il ministro Fitto:
ha lavorato molto, anche con Tajani, per ricordare a Meloni i suoi obblighi istituzionali e ora vede il suo posto da super commissario ad alto rischio. “Ma noi restiamo quello che siamo” può gonfiare il petto il copresidente del gruppo a Bruxelles Nicola Procaccini. Sui telefonini rimbalzano le dirette da Strasburgo. Accanto a Procaccini che sembra il gatto con il sorcio in bocca c’è un molto più cauto Carlo Fidanza: “Vi ricordo che nel 2019 i Verdi votarono contro von der Leyen e poi sono stati i suoi più stretti interlocutori in questa legislatura. Lo stesso sarà per Ecr e Fratelli d’Italia: valuteremo il dà farsi dossier su dossier. Non cambia nulla”.
Ma se così è, perché non dirlo subito? Perché non annunciare la propria intenzione di voto? Una versione comprensiva delle ragioni di Fratelli d’Italia parla di una “trattativa molto incerta - raccontano fonti di Forza Italia che adesso hanno di problema di non restare isolati in maggioranza - fino all’ultimo minuto per cui i Fratelli avrebbero votato No solo quando hanno avuto la certezza che von der Leyen ce l’avrebbe fatta. S’erano impegnati comunque a sostenerla”. Una volta avuta la “certezza” – che nel segreto dell’urna in realtà non c’è mai – sarebbe arrivato l’ordine di non votare.
“Disinnescare Salvini”
Se per un senior esperto di queste dinamiche come Bruno Tabacci “questo è il primo vero segnale che Meloni ha perso la testa”, fonti di Fdi alla Camera parlano di “scelta tattica obbligata”: “Se avessimo votato a favore adesso avremmo Salvini che ci sparerebbe addosso. Forza Italia e i Popolari capiranno che per noi era necessario sterilizzare gli attacchi delle destre estreme”. E’ una lettura possibile perché in effetti dal minuto dopo Salvini (“come vedete le destre sono unite, non si sono spaccate, che è sempre stato il nostro auspicio”) avrebbe rinfacciato l’incoerenza di Meloni e avrebbe fatto ballare la maggioranza più di quello che già ogni giorno. Ma “sterilizzare Salvini” è anche un furbo diversivo. In realtà Giorgia Meloni – e questa è la convinzione di Provenzano (Pd) che ha chiesto al governo di venire in aula a spiegare cosa diavolo ha combinato - in questo modo si tiene aperta la strada verso le destre alla sua destra (che pure l’hanno umiliata portandole via da Ecr il gruppo Vox e altri iscritti) nel caso a novembre vincesse Trump con cui lei non ha mai coltivato alcun rapporto.
In ognuna di queste ragioni, c’è un minimo comune divisore: impedire a Salvini di fare quello che Meloni ha fatto per anni: stare all’opposizione e bombardare e logorare. Ma questa è la piccola storia italiana cui è stata piegata la grande storia europea. Un errore irresponsabile che neppure i 5 Stelle, nel massimo della loro potenza, osarono fare.
di Claudia Fusani 19-07-2024
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