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Ramanzina Quirinale - Mattarella prova a spegnere sul nascere le aspirazioni trumpiane di Meloni
Il Capo dello Stato ha espresso preoccupazione per il possibile allineamento del governo con le posizioni illiberali di Donald Trump e la conseguente tentazione di cambiare la politica estera italiana
Non ha solo preso per le orecchie il presidente del Senato dopo l’inverosimile frase assolutoria sulle botte al giornalista della Stampa Andrea Joly («Ogni atto contro l’informazione è eversivo»), e non si ricorda uno iato così stridente tra un presidente della Repubblica e un presidente del Senato. Alla cerimonia del Ventaglio Sergio Mattarella ha anche segnato un discrimine sulla politica estera. Lo ha fatto con il garbo che conosciamo, ma è il segnale che tra Quirinale e Palazzo Chigi non ci sia più sintonia. Il timore del Colle è che il governo italiano stia virando su posizioni ambigue, meno atlantiste. È un timore fondato. Il Capo dello Stato non parla a caso.
E dunque dopo aver conciato Ignazio La Russa per le feste (al punto che quest’ultimo non ha alternative a un silenzio prolungato), è passata più inosservata una pesante bordata a Giorgia Meloni, ovviamente nemmeno lei nominata, della quale i giornali anticipano da giorni l’incipiente trumpismo nel caso che l’uomo del tentato putsch di Capitol Hill il 5 novembre dovesse vincere.
Ecco cosa ha detto Mattarella: «Rimango sorpreso quando si dà notizia o si presume che vi possano essere posizionamenti a seconda di questo o quell’esito elettorale, come se la loro indubbia importanza dovesse condizionare anche le nostre scelte. Nessuno – vorrei presumere – ipotizza di conformare i propri orientamenti a seconda di quanto decidono gli elettori di altri Paesi e non in base a quel che risponde al rispetto del nostro interesse nazionale e dei principi della nostra Costituzione. Questo vale sia per l’Italia, sia per l’Unione Europea».
In altre parole, vuole ben sperare, il Capo dello Stato, che la presidente del Consiglio non modificherà la politica estera del nostro Paese acconciandosi a fare dell’Italia una cameriera di The Donald e acquiescente nei confronti dei suoi propositi illiberali: ma già formulare un auspicio evidenzia un certo scetticismo di fondo sul fatto che questo auspicio s’inveri. Perché sa bene, il Capo dello Stato, che Meloni ha perso via via autorevolezza, ruolo e autonomia.
Il suo bidenismo non è mai stato sincero, né poteva esserlo stante la sua collocazione nella destra mondiale, ma un fatto tattico, di facciata. Un domani che la musica americana dovesse cambiare, Giorgia farà a gara con Matteo Salvini a chi è più trumpiano. E chissà se anche la citazione di passaggio dell’Unione europea non riveli la contrarietà, che certo Mattarella non può esplicitamente esternare, alla scelta di Meloni di stare con la destra di Roberto Vannacci e non con Ursula von der Leyen con un voto che ha immediatamente messo l’Italia in difficoltà nel rapporto con la Nato: un fatto che Mattarella, Capo delle Forze Armate, non ha certo apprezzato.
Sicché il presidente della Repubblica vede incrinarsi il già timido rapporto con la presidente del Consiglio proprio sull’unico punto che li vedeva insieme, la politica estera. Altrimenti che bisogno avrebbe avuto il Presidente di impartire una lezioncina di Storia cone quella nota, notissima – persino triste il doverla ricordare – sull’ignobile capitolazione di Monaco 1938?
Evidentemente il Presidente ha capito l’antifona, ha annusato l’odore sulfureo di appeasement che già circonda il “pacifista” Trump. E allora, giacché «historia magistra vitae», ecco il paragone terribile tra i Sudeti e l’Ucraina e l’ennesimo monito: «L’Italia, i suoi alleati, i suoi partner dell’Unione sostenendo l’Ucraina difendono la pace, affinché si eviti un succedersi di aggressioni sui vicini più deboli. Perché questo – anche in questo secolo – condurrebbe a un’esplosione di guerra globale». Tra il Quirinale e il governo anche la strada sinora più agevole, la politica internazionale, comincia ad essere scivolosa.
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