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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
di Emanuele Cerullo
"Tabucchi gitano"

27/8/2024 - 12:50


ho scoperto "La voce del Serchio" dopo aver visto un video di un incontro con Antonio Tabucchi pubblicato su YouTube.

Sono un insegnante napoletano di 31 anni, nato e cresciuto nelle famigerate vele di Scampia; per non pensare al precariato che mi travolge e che ancora mi attende mi metto a scrivere, di tanto in tanto.

Due anni fa, in occasione del decennale della morte di Tabucchi, ho pubblicato un saggio, "Tabucchi gitano", incentrato sulla presenza dei gitani nelle sue opere.

Il testo è stato pubblicato su "Gli Asini", rivista diretta da Goffredo Fofi. Mi fa piacere condividerla con voi ed avere un vostro parere al riguardo.Vi saluto cordialmente e vi auguro buon lavoro,Emanuele

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Dalla parte della realtà
In una pagina di Requiem (1992), l'opera con cui Tabucchi si congeda da Pessoa, la Vecchia Zingara legge la mano del protagonista e gli dice: "non puoi vivere da due parti, dalla parte della realtà e dalla parte del sogno". Questo ammonimento sembra anticipare la stagione dell'impegno civile di Tabucchi, inaugurata dal successo di Sostiene Pereira (1994) che gli trasmetterà la consapevolezza di potersi occupare dei più deboli e delle ingiustizie del nostro tempo. Ecco perché le "narrazioni vicarie" e visionarie di Sogni di sogni (1992) fanno spazio all'emarginazione di Manolo, il gitano che ne La testa perduta di Damasceino Monteiro (1997) scopre un cadavere e racconta la testimonianza dell'omicidio al giornalista-detective Firmino.

Nella Nota del romanzo, Tabucchi descrive Manolo come una entità collettiva coagulatasi in entità individuale in una storia alla quale, sul piano della cosiddetta realtà, lui è estraneo, ma che per contro non è estranea (la storia) a certe indimenticabili storie ascoltate dalla voce di vecchi gitani un lontano pomeriggio a Janas, durante la benedizione delle bestie, quando il popolo nomade possedeva ancora i cavalli.
 
Il romanzo trae spunto da un episodio realmente accaduto in quel periodo: in Portogallo un poliziotto sparò a un giovane drogato impegnato in un piccolo furto, gli tagliò la testa e la nascose in un bosco. Ma se in Sostiene Pereira e ne La testa perduta la società è quella portoghese e la forma è quella del romanzo, in un'opera successiva, non meno importante, il reportage con venature pamphlettistiche accende il faro su una questione della società italiana ancora oggi irrisolta.
 
I dannati della terra nella culla del Rinascimento
Gli Zingari e il Rinascimento esce nel 1999 ed è l'epilogo di un secolo che, soprattutto negli ultimi decenni, ha visto ridursi la vocazione ideologica e civile degli scrittori. La scintilla scatenante dell'opera è stato un bambino che in un ristorante voleva vendere le rose a Tabucchi. Fin dal titolo risulta lampante la dicotomia tra la marginalità e lo splendore; il sottotitolo, Vivere da rom a Firenze, sembra freddo, non indica precise coordinate storiche, anzi rafforza quei due termini che chi mastica un po' di storia reputa inconciliabili. Tabucchi definisce il libello un "reportage di un reportage", in quanto aveva accompagnato un'amica antropologa, Liuba, che aveva redatto un diario del suo soggiorno fiorentino. In realtà, un altro spunto gli fu offerto da una rivista che aveva proposto a diversi scrittori di lavorare ad un reportage su una realtà che meritasse di essere raccontata. Il progetto iniziale di Tabucchi era Osservare gli osservatori, che prevedeva un viaggio in alcuni dei più importanti osservatori astronomici del pianeta.

Poi, però, dovette accorgersi che a due passi da lui e ad altezza d'uomo c'era Firenze. Ma non la solita città del Rinascimento, bensì quel microcosmo collocato "dalla parte della realtà", appunto. E prima di rivelare quella realtà, lo scrittore, fin dalla Nota introduttiva, demolisce certezze e cliché: "Firenze è una città volgare", afferma, così tanto da simboleggiare la volgarità dell'intero paese. Il lettore che ha visitato le bellezze di Firenze può patire un colpo forte "nell'apprendere che una delle città più sporche, rumorose e inquinate d'Europa […] è spacciata all'estero, quale banconota falsa, come l'immagine della perfezione rinascimentale".

La Nota si conclude, si volta pagina. Ed è solo l'inizio dello sbriciolamento di una città. L'arrivo di Liuba a Firenze è festeggiato da Tabucchi con un aperitivo panoramico mancato: il bar dell'albergo è riservato ai clienti e il giardino proteso verso la città è proprietà privata. Segue un documento, uno dei tanti allegati riportati nel libello, che è una descrizione di due campi nomadi – quello dell'Olmatello e quello del Poderaccio – che Tabucchi consegna a Liuba per fornirle una prima infarinatura. L'Olmatello, in deroga alla normativa regionale a tutela dell'etnia Rom, si trova tra la ferrovia e l'autostrada ed è "simile a un campo di concentramento", privo di rete fognaria che causa la formazione di acquitrini melmosi assai dannosi per i nomadi, perché "attirano topi e parassiti" responsabili della diffusione di malattie infettive.

Il Poderaccio, invece, sorge su un cumulo di rifiuti sotto le mentite spoglie di una collinetta ed è diviso in due zone, quella alta e quella bassa: la prima accoglie i rom "storici", cioè residenti e cittadini italiani; la zona bassa, invece, è occupata prevalentemente da nomadi costretti a fuggire dal proprio paese a causa della guerra. Prima di addentrarsi nei campi, Tabucchi dedica alcune pagine ai Medici, definendo la loro ascesa "un golpe militare" e ricordando che la ricchezza della famiglia fu dovuta anche a degli escamotage come quello di pagare le tasse a se stessi. La digressione storica si fa altrettanto interessante quando lo scrittore sottolinea che la Firenze medicea non era una "novella Atene" ma una città chiusa come Sparta, perché i Medici difesero i loro privilegi escludendo dalla città ogni elemento esterno, compreso lo straniero. Per suffragare la sua tesi, Tabucchi riporta fedelmente un documento – condiviso con Liuba – risalente al 1547 che espelle gli Zingari dalla città. I campi nomadi fin qui menzionati sono quelli "autorizzati" dal Comune, che aveva fornito container comunque inadeguati ad ospitare nuclei familiari estesi.

Nelle pagine successive Tabucchi prova a stemperare l'indignazione col sarcasmo e, ancora una volta, lascia che siano i documenti a giustificare quella indignazione: articoli di giornali che, entusiasticamente, plaudono all'iniziativa sfarzosa della Biennale della Moda, per la quale, secondo la Repubblica, il Comune di Firenze sborsò trecento milioni e la Regione Toscana due miliardi. Una volta piegati i giornali, Tabucchi si reca con Liuba alle Piagge, una periferia che "Firenze la rinascimentale ha ripudiato come una madre che abbia partorito una creatura indesiderata", dove i rom sono "clandestini tollerati", appartengono al "sottoproletariato rom" e "sono privi di tutto. Non hanno nessun tipo di infrastruttura (acqua, elettricità, fognature, assistenza), né di sussistenza. Spesso neppure i documenti che provino che esistono come creature. Solo il loro corpo testimonia che ci sono persone vive". Qui Tabucchi conosce don Alessandro Santoro, un prete che si occupa degli ultimi e che qualche anno prima affidò la sua modesta abitazione ad un ragazzo-padre che altrimenti non avrebbe saputo dove andare a dormire con sua figlia, perché fu sfrattato. Ne seguì un polverone mediatico che per un soffio non si concluse con lo sfratto del prete, reo di subaffittare il suo appartamento ad altri. Tabucchi stringe amicizia anche con la famiglia Krasnich, fuggita dall'Olmatello oramai invaso dalla droga che stava devastando i giovani del campo. Intanto, sull'inserto fiorentino de la Repubblica, si racconta che durante il gran ballo per la Biennale i convenuti hanno pescato cristalli Swarowsky del valore di quasi un miliardo di lire, dopo aver affollato le cucine con pietanze semplici "come si conviene ai poveri": una goliardia amara, che oggi si potrebbe tradurre col "ciao povery" che affolla le storie instagram dei giovani intenti ad ostentare orologi di lusso e foto sullo yacht con donne e don Perignon. Finalmente una buona notizia: il Comune ha deciso di donare sei piccolissimi appartamenti ai rom. Tabucchi e Liuba notano, però, l'assenza delle Autorità sul palco, occupato solo da un Assessore con le chiavi in mano e due zingari pronti a raccoglierle. Intorno a loro, una folla inferocita di persone con dei cartelli che recano messaggi chiari: "Firenze ai Fiorentini!". Liuba decide, chissà perché, di anticipare la sua partenza.
Dopo qualche mese Tabucchi le scrive una lettera dove, tra le altre cose, afferma:
 
Ma non credere che siano moribondi, i Signori di Firenze. Essi continueranno a ballare. Perché, se non gli stessi (il che può essere), altre persone, da questi assolutamente diverse e a questi assolutamente uguali, apriranno le danze la prossima stagione. Perché ballare non è solo il loro kantiano imperativo categorico, ma la loro condizione ontologica, ed essi non possono fare altro che ballare. È per questo che esistono.
 
Il ritorno di Manolo
 Nel 2001, Tabucchi ricevette dall'Asociacion Nacional Presencia Gitana il Premio Hidalgo. Intervenne alla cerimonia con la lettura di un suo testo che stilisticamente si inserisce nel solco della tradizione orale, Diciannove di agosto, a lungo inedito e pubblicato nella nuova edizione de Gli Zingari e il Rinascimento (2019). Alcune analogie inducono ad accostarlo alla Testa perduta di Damasceno Monteiro. Il narratore, infatti, si chiama Manolo e, come nel romanzo, è il testimone di un assassinio avvenuto di notte, ma molti anni prima, quando lui aveva vent'anni e nel momento in cui racconta si sta tenendo, a Janas, la festa della benedizione dei cavalli. La novità risiede nell'identità dell'uomo fucilato: è un poeta, lo chiamano García Lorca. Quest'ultimo era già stato tra i protagonisti dei Sogni di sogni, dove pure la musica e la luna assumono un ruolo centrale, ma in questo scritto il poeta non viene descritto con la penna onirica, ma dalla viva voce di un gitano.
 
 I rom protagonisti. Un'esperienza teatrale
Una voce, quella del gitano Manolo, che sembra risuonare in un teatro. E a tal proposito Tabucchi fungerà da formidabile suggeritore. Qualche anno dopo l'uscita de Gli Zingari e il Rinascimento, Tabucchi conobbe Daniele Lamuraglia, un regista emergente che gli chiese di poter fare qualcosa "per i nostri rom". "Sì, d'accordo. Per Firenze", rispose Tabucchi. Il regista vide un film documentario realizzato da Soldini con Tabucchi ed ispirato al libello, infatti sullo schermo appare anche la famiglia Krasnich. Lamuraglia incontrò spesso Tabucchi e, tra una chiacchierata e l'altra, lo scrittore tirò fuori dai suoi archivi la leggenda del Cristo gitano che era stata trascritta da autori entrati in contatto coi gitani. Lamuraglia rielaborò la leggenda trasformandola in un testo teatrale. Questa volta, però, i rom dovevano salire sul palco: troppo comodo raccontarli dall'esterno. Il regista, quindi, con in testa le immagini di quel documentario, si recò più volte nei campi rom dell'Olmatello e del Poderaccio: i ragazzi furono entusiasti del reclutamento.

Il copione sarà poi pubblicato in un volume, Il libro di Cristo gitano (2005), con una prefazione di Tabucchi. Il quale, ancora una volta, tira in ballo anche García Lorca, che, a differenza degli studiosi, "da oggetto di studio" ha reso i gitani "soggetto, ha dato loro voce, riscattandoli da quel cliché pittoresco di un'Andalusia 'Sangre y fuego'", e ricorda che "Gli Zingari […] non si sono mai raccontati" a causa di svariati motivi, tra cui "il nomadismo, una cultura orale, lo scarso e spesso impossibile accesso all'istituzione in cui si fa la Storia e la si tramanda: la scrittura". Un'affermazione che ne ricorda un'altra, riportata nel romanzo Il sorriso dell'ignoto marinaio da uno scrittore morto, come Tabucchi, dieci anni fa, Vincenzo Consolo: "E cos'è stata la Storia sin qui, egregio amico? Una scrittura continua di privilegiati". Inoltre, Tabucchi ricorda che lo spazio scenico in cui solitamente gli Zingari si esibiscono oscilla tra il flamenco, il cante jondo e "la lettura della mano, che richiede un'interpretazione convincente da parte dell'attore e una posizione di credulità da parte di colui a cui la mano viene letta, che come lo spettatore al teatro deve abbandonarsi alla finzione che gli viene somministrata" (e come non ricordare la Vecchia Zingara di Requiem?).

E cita il gitano Andrei Guermano, che ha avuto un ruolo importante nella drammaturgia novecentesca. Lo spettacolo del Cristo gitano andò in scena al Teatro Rifredi: in platea c'erano famiglie fiorentine e famiglie rom. Purtroppo, però, il tour fu effimero, perché quando il teatro non viene finanziato bisogna chiudere il sipario.
 
Un continente intollerante
 La compagnia che portò in scena il Cristo gitano fu destinata allo scioglimento. Alcuni di loro ritornarono alla vita di prima, qualcun altro girovagò per l'Europa sperando in un avvenire migliore. Un continente, il nostro, che secondo Tabucchi stava, anno dopo anno, calpestando i diritti degli zingari. Nel 2010, su Le Monde Magazine, si scagliò contro la politica d'espulsione condotta dal governo di Sarkozy. Lo scrittore, infatti, affermò che "indicare un capro espiatorio è un vecchio riflesso europeo" e che "il capro espiatorio e il razzismo si alleano da sempre nei momenti più difficili dell'Europa". In Italia stava già accadendo da qualche anno con Berlusconi, con la schedatura "per rilevare le impronte digitali ai bambini zingari nei campi" attuata dal Ministro degli Interni Maroni, con "una campagna governativa" basata sul "concetto di sicurezza [che] indirizzava il disagio e il risentimento della popolazione italiana verso gli zingari" e con la legge Bossi-Fini che "considera ontologicamente criminali coloro che vivono in Italia senza documenti". Ne conseguì una crisi della democrazia, con un Consiglio d'Europa che accettò quella legge che "offende i più elementari Diritti dell'Uomo e che va contro l'espressa volontà delle Nazioni Unite".

Quello stesso concetto di sicurezza caratterizzò, a suo dire, le parole dell'omologo francese di Maroni, Brice Hortefeux, nelle quali lo scrittore ravvisò "il populismo più spicciolo", perché il collaboratore di Sarkozy ribadì che "l'azione intrapresa dal presidente della Repubblica unisce i francesi". Per Tabucchi, invece, il rimpatrio dei rom attuato da Sarkozy rischiava di "dividere profondamente i cittadini europei", perché bisognava rendersi conto che "gli zingari sono cittadini nelle loro persone sacre e inviolabili come tutti noi" e che "l'Europa esiste e nella sua essenza primaria il concetto di cittadinanza è fondamentale".
A futura memoria, non resta che rileggere le righe con cui Tabucchi chiude la sua prefazione al Libro di Cristo gitano: "Da tempo guardo gli Zingari per cercare nell'Altro l'estraneo che c'è in me. Non è nessun merito, è un semplice tentativo di capire chi sono, di capire chi siamo".
A distanza di oltre vent'anni, molte famiglie gitane stipate in quei luoghi "rinascimentali" descritti da Tabucchi attendono ancora una casa dignitosa.
 
Bibliografia:
A. Tabucchi, Gli Zingari e il Rinascimento, Milano, Feltrinelli, 1999.
D. Lamuraglia, Il libro di Cristo gitano, Firenze, Pagnini, 2005.
A. Tabucchi, Gli Zingari e il Rinascimento. Nuova edizione con l'inedito 'Diciannove di agosto' e altri scritti, Firenze, Edizioni Piagge, 2019.

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