Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
LA CATENA.
Nonostante se ne faccia sempre solo un accenno, come per esorcizzare un mostro tenuto nascosto in casa dietro una tenda infondo ad un corridoio buio, il primo e principale problema italiano è l’enorme debito pubblico che abbiamo tutti sulle spalle.
Sbaglia chi pensa che sia un problema solo economico.
Economici sono una parte dei suoi effetti che, però, si trasformano subito in problemi sociali e politici.
Perché il debito pubblico è frutto di scelte politiche che, nei decenni passati e fino ad oggi, hanno fatto capo ad un semplice principio di cattiva politica: stante che per governare in democrazia serve il consenso, compriamocelo coi soldi loro questo consenso. Tanto la gran parte di loro neanche lo capisce e chi ci arriva o ne trae qualche vantaggio, o pensa di trarne, oppure sta zitto spaventato che gli possa andare peggio.
Così siamo arrivati a circa 3000 miliardi di euro di debito pubblico.
I debitori siamo tutti, ma alcuni di noi sono anche creditori se, come forma di risparmio, hanno comprato titoli di Stato (Bot, Cct ecc.), cioè hanno prestato soldi che mancavano allo Stato in cambio di un interesse.
Dunque il debito non solo cresce negli anni, ma crescono anche gli interessi che, ormai, ammontano a oltre 90 miliardi di euro l’anno. Vale a dire che dalle entrate dello Stato le prime risorse da impegnare ogni anno sono quei 90 miliardi. Anche per rassicurare gli investitori che lo Stato è in grado di fare fronte agli impegni presi con loro che, se in ipotesi ritirassero impauriti i loro soldi, andremmo falliti.
Si tratta di 90 miliardi che non possiamo utilizzare per ammodernare le infrastrutture, migliorare i servizi pubblici, promuovere il sistema produttivo, sostenere i redditi più bassi e tanto altro.
Dunque la prima cosa da fare sarebbe arrestare l’emorragia e poi ridurla, sia per recuperare risorse da investire a beneficio di tutti, sia per abbattere le tasse di chi le paga davvero.
Ma come si abbatte il debito pubblico?
L’UE, che deve attuare una strategia di competizione economica con Usa e Cina e sa che la somma del debito pubblico dei suoi membri glielo impedisce, ha varato norme per abbatterlo progressivamente. Norme che il governo italiano ha contribuito a scrivere e che, tornando a Roma da Bruxelles, Meloni e Giorgetti hanno presentato come una vittoria del nostro recuperato prestigio.
Come la favola di Conte che aveva inventato il Pnrr.
In realtà non c’è stata vittoria o sconfitta, c’è solo una dura realtà che, anche se più attenuata, riprende le norme sulla stabilità che servono all’UE per competere e non rimanere schiacciata tra Usa e Cina.
All’Italia tocca un taglio alle spese, oppure un abbattimento “in soldoni”, di 12/13 miliardi l’anno per i prossimi 5/7 anni. Che sommati ai 90 miliardi di interessi fanno oltre 100 miliardi l’anno delle nostre tasse inutilizzabili ai fini di investimenti produttivi e servizi pubblici.
Inutile bestemmiare contro quella regola, giusta. Peggio ancora predicare contro l’UE matrigna, dato che lo stare pienamente nel sistema ci protegge dagli assalti speculativi e ci da la forza che da soli non avremmo.
Fuori dal sistema economico e politico UE, con quel debito pubblico, saremmo falliti in 24 ore.
Chi sostiene il contrario o non ha capito in che mondo vive, oppure è pagato da qualche concorrente politico e/o economico dell’UE.
Dunque, stringendo all’osso, i debiti vanno pagati e per farlo occorrono i denari.
Gli stati hanno solo tre modi per dotarsene. Tagliare la spesa pubblica e risparmiare; aumentare le tasse; sostenere un rilancio dell’economia che produca un ritorno fiscale alto, crescente e costante.
Fino ad oggi, tranne l’eccezione del periodo 2015/2018 (Renzi, con i programmi di incentivazione della produzione e occupazione che invertirono la precedente tendenza negativa), i governi hanno sostanzialmente risposto con tagli lineari al bilancio agli aumenti di spesa determinati dalle promesse elettorali. (epici quelli del Berlusconi – Tremonti) e aumenti di tasse. Pensiamo, da ultimo, alla follia del 110% che pagheremo tutti.
La strada giusta, viceversa, è quella della crescita economica che crea nuova ricchezza da utilizzare anche per abbattere il debito pubblico. Col vantaggio che con la crescita aumentano l’occupazione e i redditi di imprese e lavoratori.
E’ una catena. Se non si parte dalla crescita, dalla produttività, dalla capacità di competere nel mondo, non se ne esce e a pagare saranno ancora le fasce sociali meno protette.
Non si può governare un Paese che vuole essere grande programmando pochi spiccioli di assistenza, oppure indicando dall’opposizione una prospettiva analoga gestita dopo un semplice cambio di maggioranza.
Un bel tema di discussione per un nuovo centro sinistra: ci diciamo la verità e la diciamo uniti ai cittadini sottoponendogli un piano di progressivo rientro dal debito e di recupero di risorse da impiegare con lungimiranza, oppure insistiamo sostituendo cialtroneria a cialtroneria?
Su questo si può vincere e mandare a casa la destra.
Comodo andarne a discutere nella bolla politica che ti da ragione aspettando che diventi maggioritaria. Abbiamo già dato, grazie.
No, ora bisogna andare nell’inferno freddo di una opposizione pallida a discutere con buone ragioni per cambiare.
Questo è il compito di oggi.