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Netanyahu resta cattivo, però è efficace
La carneficina resta orrenda, ma con la strategia del premier Israele oggi è messo meglio di prima, al contrario dell'Iran, e più fra i paesi arabi che all'Onu
29 Settembre 2024 (Huffington post)
Le piazze descrivono la complessità di un mondo isterico: a Roma si radunano militanti propalestinesi, molto in equivoco sulla causa palestinese, e inscenano un minuto di silenzio per l’uccisione del leader trentennale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Confondono la tirannia terroristica con la resistenza, ignorano il giubilo del popolo iraniano che si è ritrovato i miliziani di Hezbollah in casa, a sparargli addosso durante le proteste a mani nude per il diritto a indossare, leggere, dire quel che si ritiene e non quello che ritengono gli ayatollah, e per quella parolona repellente ai tipi alla Hezbollah: democrazia. Un minuto di silenzio è gravemente insufficiente: un decennio sarebbe meglio.
Altre piazze, le piazze sunnite in Libano, in Siria, in Iraq, festeggiano la morte di Nasrallah sventolando anche la bandiera palestinese. Se non si colgono i dettagli, se si trascura l’ultramillenaria divisione nel mondo islamico fra sunniti e sciiti, è difficile comprendere la guerra scatenata con il 7 ottobre, ormai un anno fa, ed è difficile cogliere il senso del messaggio lasciato all’Onu da Benjamin Netanyahu, liquidato con la prevalenza attribuita alla frase infelice - ma non così campata in aria, lo ha scritto qui ieri Janiki Cingoli - su un’Assemblea ridotta a un pantano antisemita. Sempre l’hashtag e sempre lo slogan hanno la meglio sul senso profondo delle cose.
Con il pogrom del 7 ottobre, architettato da Hamas con il sostegno dell’Iran, si intendeva far saltare gli accordi di Abramo per una nuova fase, di collaborazione, nei rapporti fra Israele e Emirati Arabi, cioè un paese cardine del Medio oriente e di tradizione sunnita. Molti di noi, io per esempio, eravamo convinti che la reazione di Israele su Gaza avrebbe avuto l’effetto di distruggere gli accordi, e invece sono ancora lì, intatti. E stamattina, con due editoriali gemelli, Maurizio Molinari su Repubblica e Federico Rampini sul Corriere della Sera, segnalano la grande verità: l’isolamento di Israele all’Onu non equivale all’isolamento di Israele in Medio Oriente. Paradossale? Solo all’apparenza: per gli Emirati Arabi, ma anche il Bahrein o l’Egitto o il Qatar, Israele rimane un nemico con cui tocca trattare, mentre l’Iran sciita, patrigno di Hamas e di Hezbollah, è il nemico da battere per la stabilità della regione.
All’Onu, Netanyahu non si è limitato a parlare di palude antisemita - dallo stesso palco da cui Recep Tayyip Erdoğan lo aveva paragonato a Adolf Hitler - ma ha offerto un’idea: quale mondo volete? In estrema sintesi: quello che hanno in mente a Teheran o quello che hanno in mente ad Abu Dhabi? E oggi, un anno dopo il 7 ottobre, la strategia di Netanyahu conduce più verso il mondo che ha in mente Abu Dhabi. Per l’anima bella (definizione ironica e autoironica, meglio sottolinearlo) che sono, rimane il problema di conciliare la strategia e la carneficina. Sulla carneficina a Gaza e in parte in Libano fatico a cambiare posizione: le guerre combattute sul sangue dei popoli mi fanno orrore e sono un terribile rovello etico. La grandezza occidentale risiede anche sulla capacità di riflettere e dibattere su Dresda e su Hiroshima, sullo scandalo che furono, se necessario o no a spazzare via nazismo e fascismo. I mezzi sì, ma l’obiettivo è mai stato messo in discussione.
Sulla strategia di Netanyahu mi trovo costretto a riconsiderare le mie idee. Chi oggi intuisce nell’eliminazione di Nasrallah il punto d’avvio di un’inevitabile escalation, di una guerra totale e globale, temo abbia qualche problema di miopia. La decapitazione del serpente di Hezbollah, quella quasi altrettanto drastica di Hamas, mette l’Iran spalle al muro. La sproporzione di potenza con Israele, l’incapacità di intercettare le sue capacità di intelligence, da Ismail Haniyeh, leader di Hamas ucciso a Teheran, a Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah ucciso a Beirut, e l’incendio del mondo arabo che non s’è appiccato, consolidano l’ipotesi che non è il nemico con cui trattare - Israele - ma il nemico da battere - l’Iran - ad avere adesso meno carte in mano.
A me oggi, dopo l’annientamento dei vertici di Hezbollah, la guerra totale e globale pare più lontana, non più vicina. E mi pare che un Medio Oriente stabile, se non proprio pacificato, avrà ancora sulle mappe geografiche Israele, e non necessariamente la Repubblica islamica iraniana degli ayatollah, non nella sua espressione feroce e sovversiva attuale. Bisogna che l’Occidente sincronizzi le sue piazze e le sue priorità con quelle di laggiù.