L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
Cominciamo il decimo mese con l’esser serio e parlar di poesia, che ne abbiamo mooolto bisogno (non la poesia ma la serietà).
Questa è quella che amo di più nello sterminato mondo della letteratura, ma con uno stile che si differenzia per possedere un'espressione emotiva, provocando sentimenti nel lettore e vantando qualità estetiche che, sia attraverso un metro strutturato sia attraverso il verso libero, la rendono una forma d'arte accattivante:
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
“I gabbiani” è opera di Vincenzo Cardarelli, (1º maggio 1887– 18 giugno1959), grande poeta, scrittore e giornalista italiano, ma siamo qui per parlar di questo mese e allora richiamiamo Cardarelli e il suo:
Ottobre
Un tempo, era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
dal colore che inebria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest’aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulla vigne saccheggiate.
Sole d’autunno inatteso,
che splendi come in un di là,
con tenera perdizione
e vagabonda felicità,
tu ci trovi fiaccati,
vòlti al peggio e la morte nell’anima.
Ecco perché ci piaci,
vago sole superstite
che non sai dirci addio,
tornando ogni mattina
come un nuovo miracolo,
tanto più bello quanto più t’inoltri
e sei lì per spirare.
E di queste incredibili giornate
vai componendo la tua stagione
ch’è tutta una dolcissima agonia.
Passiamo l’oceano e incontriamo (26 marzo 1874 – 29 gennaio 1963) anch’egli un massimo poeta e drammaturgo statunitense:
Ottobre
O silenzioso mite mattino d’ottobre,
le foglie son mature per cadere;
il vento di domani, se avrà forza,
le spazzerà via tutte.
Chiamano i corvi sopra la foresta;
domani forse a stormi se ne andranno.
O silenzioso mite mattino d’ottobre;
lento comincia le ore di questa giornata.
Fa’ che il giorno ci sembri meno breve.
Non ci dispiace se tu dolcemente ci illudi,
illudici nel modo che tu sai.
Stacca una foglia allo spuntar dell’alba,
a mezzogiorno stacca un’altra foglia;
una dai nostri alberi, ed un’altra
molto lontano.
Trattieni il sole con nebbie gentili;
incanta la campagna d’ametista.
Ma piano, piano!
Per amore dell’uva, se non altro,
i cui pampini bruciano nel gelo,
i cui grappoli andrebbero distrutti
per amore dell’uva lungo il muro.
Questi due Poeti scrissero un aforisma ciascuno in nota ad uno dei loro libri, il primo:
«Due strade divergevano in un bosco, ed io —
Io presi quella meno battuta,
E questo ha fatto tutta la differenza»
ed il secondo:
«Così la fanciullezza fa ruzzolare il mondo e il saggio non è che un fanciullo che si duole di essere cresciuto.»
... e allora io, che mi rivedo in ognuna delle due, mi rimangio le prime righe dell’articolo e mi domando: ma Gregorio non poteva tra settembre e novembre e a seguire dicembre, non poteva metterci un ottembre?
p.s caro ottembre cominci male