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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Di Paolo Pombelli
Il centrodestra e la spina leghista

10/10/2024 - 9:18

L’appuntamento annuale di Pontida è per la Lega un rito, con una liturgia che per certi versi si concentra sulla celebrazione di antiche glorie, quel che serve per infondere entusiasmo ai propri militanti. Non tutto però si ferma a quel livello: come sempre, nelle cerimonie politiche si trova l’occasione per mandare messaggi che val la pena di cercare di decifrare.

Salvini ha costruito una comunicazione che è indirizzata ai suoi alleati nella coalizione di governo, ma che rivela tutta la sua preoccupazione per una fase poco felice per il partito che guida. Come si è visto dalle recenti prove elettorali e dai sondaggi, la Lega non è in questo momento una formazione che possa vantare un rating di successo: a livello nazionale è data più o meno alla pari con Forza Italia ed è lontana quasi 20 punti da quanto è attribuito al partito di Giorgia Meloni. A livello di elezioni amministrative non vede davanti a sé un momento favorevole.

In Liguria, dove pure avrebbe potuto avere un candidato governatore di un certo livello, l’on. Rixi, ha dovuto accettare un candidato sostanzialmente “civico” come è l’attuale sindaco di Genova Bucci. In Umbria la riconferma della presidente uscente, la leghista Tesei, è piuttosto incerta e se, come è possibile, venisse sconfitta dall’alleanza di sinistra, la colpa dell’insuccesso è già attribuita alle sue non proprio brillanti performance alla guida della regione. In Emila Romagna per il Carroccio non c’è proprio partita: non solo la candidata del blocco di centro destra è una civica moderata, ma i politici emergenti di quella componente sono tutti di FdI. Non proprio un grande successo per un partito che alle precedenti elezioni regionali aveva pensato di poter conquistare il fortino rosso del PD, uscendone già allora con le ossa rotte (la candidata di quella fase, l’on. Bergonzoni, è praticamente scomparsa dalle scene che contano).

Prossimamente non pare potrà andare meglio. L’anno prossimo vanno al voto cinque regioni: Campania, Marche, Valle D’Aosta, Puglia e Veneto. In nessuna delle prime quattro la Lega è in partita, neppure per una presenza simbolica di qualche peso: dovunque a contare è il partito di Meloni e se c’è un secondo che può farsi forse sentire è quello di Tajani. Il Veneto, che è una storica roccaforte leghista, sconta sino ad oggi l’incandidabilità di Zaia per un ulteriore mandato. Sorvoliamo sul fatto che l’attuale governatore di quella regione non può essere iscritto tra i pretoriani di Salvini, diciamo semplicemente che ad oggi sembra difficile che la Lega possa imporre come candidato alla sua successione un uomo o una donna estratti dalle sue file: Giorgia Meloni avrebbe già ipotecato, stando ai si dice, quella posizione per il suo partito.

Se non si tiene conto di questo scenario, non si comprende la radicalizzazione che Salvini ha impresso al posizionamento del suo partito. A Pontida è stato tutto chiaro. Prima una personalizzazione sempre più spinta del leader presentato come il vero baluardo contro la sorte avversa dei tempi (ipostatizzata nel problema dell’immigrazione illegale, ma non solo: vedi l’opposizione ad una legge che riconosca al cittadinanza a chi, risiedendo regolarmente, abbia frequentato un ciclo scolastico di dieci anni). A questo difensore della patria viene anche attribuito il carattere di martire della persecuzione da parte di chi vuole portare il paese alla rovina, cioè le autorità costituite (nella fattispecie la magistratura).

In secondo luogo c’è la messa in scena della rete internazionale di nuova destra “patriottica” che guarda con ammirazione il cosiddetto “Capitano”. Far sfilare sul palco da Orban a Wilders, alla Le Pen e Bardella, ai rappresentanti di Vox spagnola e della Fpö austriaca, serve per mostrare non un partito in difficoltà, ma una formazione che, sia pure nell’universo leggendario che si è costruita, marcia in sintonia con il vento nuovo che si ritiene scuota l’Europa.

Certo si tratta di tattiche di raccolta del consenso che convincono solo chi lo è già a prescindere da tutto, ma che sono essenziali per confermarli nella fede, cosa particolarmente necessaria in una fase che vede sì la crescita delle radicalizzazioni, ma anche il loro confinamento in quote sempre più ristrette e poco influenti della popolazione, mentre la gran parte dell’opinione pubblica appare stanca di queste esasperazioni e tende a rifugiarsi o nell’astensionismo o nel ritorno ad offerte politiche di tipo più moderato.

Da questo punto di vista sarà interessante vedere come Meloni e il suo gruppo dirigente leggono questa esasperazione della politica di Salvini. Prescindiamo per un momento dal fatto che per la presenza internazionale della nostra premier si tratta di operazioni che la danneggiano, dato che l’estrema destra raccoglie qualche crescita di consenso, ma non governa (e dove lo fa, come in Ungheria, alla fine fa gli interessi nazionali suoi e non certo quelli dei partner europei). La questione di fondo è se davvero, come sembrano credere gli strateghi leghisti affascinati da Vannacci, la demagogia di destra sia davvero in grado di togliere voti a FdI, per cui quel partito dovrebbe reagire tornando a sua volta ai vecchi lidi del populismo reazionario.

Ad oggi, anche per le ragioni che abbiamo rappresentato sopra, non sembra sia così. Meloni si espande perché tutto sommato fa una politica di accorto moderatismo, non disdegna una collaborazione per quanto competitiva con il centrodestra di FI, prende sul serio la sua posizione istituzionale. Il rischio è semmai che si faccia convincere a praticare una specie di politica dei due forni: accanto a quel tipo di politica che abbiamo descritto metta un soprassalto di populismo e qualche manciata di eccesso nell’occupazione del potere.

Se facesse così, farebbe penetrare di più la spina leghista nel suo fianco e non le gioverebbe.








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