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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Una passeggiata Oltreserchio.

14/11/2024 - 18:52


Le volte scorse, a Bocca di Serchio o nel bosco, ero contento di giocare in casa, ora sono in trasferta e quindi a disagio, a cominciare dalle etimologie e dai toponimi che, pur essendo la mia passione, Oltreserchio mi sembrano particolarmente complicati.


Ripafratta o Librafatta?
Su questo nome non ci sono dubbi perchè in cronache del 970 si parla di un Feudum Dominorum de Ripafracta, segno che i signori di quel tempo avevano già costruito un castello e quindi è assurdo prendere per buono Librafatta, anche se "Fatta libera" poteva essere appellativo significativo della zona dopo secoli di lotte lucchesi pisane e fiorentine, infatti in un memoriale del 18 maggio 1496 si parla che i "francesi entronno in Librafatta Loro tutti e non volseno v'entrassi altri soldati.... e in un altro del "16 ogosto detto (1500)” e Pisani presono Librafatta per, forsa e menati in Pissa trentotto…”
Resta semmai il dubbio se, lasciando sicura Ripa come riva o sponda, quel fracta-fratta sia aggettivo col senso di rotta, franata, forse per quel famoso raddrizzamento dell'Auser, oppure sostantivo col significato di pescaia o chiusa come si diceva latinamente a quel tempo.

 

Rupecava o Lupo cavo?
Il monastero degli eremiti agostiniani fondato nel 1214 da Guglielmo sul luogo dove nel 387 Sant'Agostino si fermò durante il suo viaggio da Milano in Africa e dove scrisse la sua maggiore opera, "De Civitate Dei", sorgeva in un posto chiamato Selva Livellia che Ottone III, nell'agosto del 996, donò a Magnifredo Ronciono con il monte detto “Lupocavo
Ma gli eremiti si sa che vivevano nelle grotte e quindi il monte con la grotta era per forza una Rupe cava.
Ora dell'eremo e della chiesa di Santa Maria, costruita sulle rovine di una precedente dedicata a San Jacopo, non rimane traccia se non avanzi di muri e forse anche la Goccia se ne è andata.
La leggenda vuole che il viandante che trova rifugio nella grotta di Lupeavo (qui il vernacolo si impone e sconvolge) e riceva in testa una goccia d'acqua. che l'infiltrazione della volta fa cadere, se ne vada benedetto e fortunato.
Un modo usato nel pisano, almeno nei nostri paesi per indicare una persona fortunata è appunto:
"ma sei stato a Lupeavo a prende la goccia!”
oppure per indicare una persona titubante o fatalista che aspetta la grazia o la famosa manna dal cielo si usa dire:

"ma cosa aspetti, la goccia di Lupeavo?".

 
Cerasomma
E qui ti voglio mascherina!
Sfido chiunque a non aver pensato alle ciliegie e a tutti quei luoghi che hanno con loro attinenza tipo Cerageto, Cerageta, Cerasa e compagnia.
ll romitorio di Rupecava è situato sopra l'odierno paese di Cerasomma e vicino ad un posto detto “Cella di Prete Rustico” che nel 1205, in un periodo di insediamenti eremitici, era considerato più che un luogo santo: era una Cella somma.


Molina di Quosa o Quosa?
A dire la verità né l'uno né l’altro.
II paese si chiamava Lugnano e Quosa e, solo dopo la costruzione dei molini mossi dalle acque del torrente Quosa, si cominciò a chiamarlo Molina per la scomparsa anche del luogo detto Lugnano.
Sopra il paese sorgeva un poderoso castello costruito occupato e perso dai pisani più volte e più volte distrutto fino all'anno 1286 quando i lucchesi, approfittando della situazione pisana disastrosa dopo la sconfitta della Meloria, nel mese di giugno: "vennero ad oste conta li Pisani e fecero assedio al Castello di Cuosa in prima e poi al Castello di Avane...".
Il nostro viaggio di oggi si snoda fra castagneti e oliveti, dominando il Serchio come già fecero i castellani di Ripafratta, i soldati delle due torri rimaste in piedi, gli eremiti di Rupecava e i viandanti che passavano da Pisa a Lucca attraverso i sentieri montani come fanno ora i nostri contrabbandieri sui valichi di frontiera per evitare la finanza. Allora però non era la paura di pagar tasse che spingeva i lucchesi a non usare la via pedemontana, ma quella maggiore di perdere una mano in una pratica che la leggenda a messo una volta tanto in ridicolo.
Le guardie pisane che riaccompagnavano al confine, poco dopo San Giuliano, i briganti o al più delle volte anche i soli sospetti, arrivati al limite con Lucca, tagliavano loro una mano in modo che si ricordassero per sempre di cosa era capace di fare Pisa.
Questa pratica atroce e disumana aveva messo paura a ogni lucchese che, e qui comincia la celia, doveva far di tutto, quando fosse stato nel territorio nemico, affinché passasse per pisano: stessa moneta, stessi abiti e soprattutto stessa parlata. I lucchesi, si sa, scempiano certe doppie e i pisani, saputo che vi potevano essere infiltrati fra di loro, alla dogana chiedevano a tutti di dire "mattoni". Gli amici avrebbero pronunciato bene mentre ai nemici sarebbe stato difficile dir correttamente quel doppio ti, ma le spie lucchesi sparsero la notizia e allora tutti a dire mattoni mattoni giorno e notte. Il diavolo però fece le pentole ma non i coperchi e i poveri lucchesi, dopo giorni di dura dizione, una volta scandito bene quella che era divenuta una parola d'ordine, se ne uscivano col dire: " 'io can ce l'ho fata" e....via la manina!
Quel luogo è detto ora Le Mammozze.
Da quassù si vedono le due sopracitate torri superstiti, la Torre Niccolai, detta così perché il colle è od era di proprietà della famiglia Niccolai, e la Torre Centino. Un'altra torre è quella detta Anonima di quota 117 della quale restano i basamenti, un'altra ancora era quella di Mucchieto, ora scomparsa, e nessuna, ma nessuna testimonianza della località termine della nostra breve escursione: quel Castel Passerino che esiste solo sulle carte, ma non sulla carta.
Per dire l'ultima sul sistema difensivo fra Pisa e Lucca va ricordata e ammirata la più bella e singolare torre della valle, anche se non è pertinente geograficamente al nostro tema: la Torre dell'Aquila, meta di una escursione dell'anno scorso, conosciuta come Torre segata per la nota vicenda del ripristino del confine.

Nel 1314 i fiorentini vincitori vollero che i loro sottomessi pisani ristabilissero i limiti territoriali con la nemica Lucca, che ebbe sì la soddisfazione di riprendersi terra e castella, ma non la metà della torre, che il caso volle essere costruita proprio sulla linea di demarcazione.
Ancora due parole sulla strana etimologia della località e del monte che ci ospita: La Romagna.
Con il ricordo torniamo un anno indietro e con la storia due millenni. Di là dal Serchio, di fronte, c'è una collina, Le Grepole, che in una passata escursione ci ha deliziato con la sua fioritura di orchidee.
Siamo al tempo dell'Impero romano diviso fra quello d'Oriente e quello d'Occidente. Ad est, a Bisanzio, parlano greco e l'influenza greca si fa sentire anche nei nostri paesi, come nel toponimo Filettole derivato da Filacterion, luogo fortificato; notevoli sono infatti i castelli di Santa Viviana, di Cotone, di Castiglione e, per ritornare in tema, anche il monte viene detto "de grecolis".
Al di là dei Serchio devono far qualcosa per distinguersi e prendono a prestito il nome dell'antagonista dell'oriente, Ravenna, nella sua forma più estesa, come il monte vicino che si chiamava appunto Monte maggiore; non basta Ravenna, ci vuole tutta la Romagna!
Ritorniamo a Ripafratta nel castello, precisamente all'ingresso principale, e con gli occhi della mente cerchiamo di rivedere le quattro torri che guarnivano la poderosa costruzione, ora completamente scomparse: la Torre del Giglio o Fiorentina, la Torre del Gufo, la Torre del Leone e quella di Mezzo.

Decine di cavalieri pisani, centinaia di operai migliaia di soldati abitarono questo antico maniero; legati imperiali e pontifici firmarono paci, dichiararono guerre e stabilirono leggi fra queste possenti mura; la famiglia del già citato Magnifredo Ronciono fece costruire il borgo fortificato ai piedi del Monte Vergaro per i suoi contadini e i suoi servi. Giunsero poi dei "bischerotti fiorentini" che il 24 maggio 1503,

“al campo vennero in Valdiserchio su per e' monti e accampassi a Orsegnano, di poi detteno ai guasto per tutto Valdiserchio e Val d'Oseri e abrugiò tutte le case e tagliorno e frutti e grani e fave e abrugiò le mulina di Quosa"
Erano forti a tal punto che impressero sul portale della maggiore preda la loro sigla: due stemmi gigliati con sopra la data della loro conquista, millecinquecentoquattro. Lo fecero nello stile di allora, ancora classico, quello con le lettere romane, ma qualcosa dovette andare storto e ora si legge M D 4
Questa sarà una gita tutta tranquilla, senza dover fare particolari attenzioni a bestie o piante, ma mi raccomando:

"non guardate da dove viene la goccia, sennò non vale."
 

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